Venti di guerra nel Caucaso. Non più solo l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) ma l’Armenia nel mirino azero-turco. Verso il disastro

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Quanto accaduto lo scorso 16 novembre [*] non può essere inquadrato alla stregua della perenne conflittualità armeno-azera sul Nagorno-Karabakh. La questione, almeno secondo il pensiero del dittatore azero Aliyev, è chiusa con l’accordo trilaterale del cessate il fuoco il 9 novembre 2020 e se le forze armate dell’Azerbajgian non sono entrate ancora a Stepanakert, la capitale della autoproclamata Repubblica di Artsakh (Nagorno-Karabakh). è solo perché la presenza dei peace keeper russi lo impedisce. Almeno fino al novembre 2025…

Il monastero di Tatev del IX secolo si trova su un ampio altopiano basaltico vicino al villaggio di Tatev nella provincia di Syunik, in Armenia sudorientale. Il complesso monastico sorge sul margine di una profonda gola del fiume Vorotan. Tatev è la sede del vescovo di Syunik e ha giocato un ruolo significativo nella storia della regione assurgendo a centro economico, politico, spirituale e culturale. Nel XIV e XV secolo il monastero di Tatev ha ospitato una delle più importanti università medievali armene, l’Università di Tatev, che ha apportato progressi in scienze, religione e filosofia, oltre che un notevole contributo alla preservazione della cultura e del credo d’Armenia mediante la riproduzione di libri e lo sviluppo della miniatura armena.

D’altronde, dello status del Nagorno-Karabakh non si parla più, la Russia gioca le proprie carte nello scacchiere sud caucasico mentre l’Unione Europea si disinteressa del destino della popolazione armena e guarda solo ai propri interessi economici.

L’attacco azero al territorio della Repubblica di Armenia (iniziato peraltro dallo scorso maggio con lo sconfinamento di centinaia di soldati) rientra piuttosto nel quadro di un’operazione politica militare volta a indebolire ancora di più Yerevan.

Significativa è la zona degli scontri, sulle alture di Sisian, sulle quali gli Azeri voglio avere pieno possesso per almeno tre motivi:
– Controllo della località dove peraltro insiste una pista aeroportuale utilizzata dalle forze di pace russe e dagli Armeni per approvvigionare l’Artsakh.
– Controllo dell’asse stradale nord-sud che collega la capitale armena a Goris e giù fino a Meghri.
– Pressione sull’Armenia nel tratto più stretto del suo territorio, proprio all’ingresso della regione di Syunik che nei proclami di Aliyev dovrebbe essere inglobata nell’Azerbajgian o comunque tagliata in due dal Corridoio di Zangezur, che di fatto costituirebbe un colpo mortale per l’economia armena e i suoi legami commerciali con l’Iran.

Già alcuni mesi fa, un alto funzionario del governo azero si era lasciato scappare (o forse no) che l’Azerbajgian avrebbe dovuto creare una zona cuscinetto di una decina di chilometri all’interno della Repubblica di Armenia per proteggersi e dava per scontata una nuova guerra di posizionamento.

Conquistare posizioni in altura significa non solo controllare il territorio armeno dall’alto ma anche impedire che il nemico faccia la stessa cosa e possa dunque affacciarsi a vedere cosa accade oltre la cresta di monte.

Aliyev e la sua leadership, oltre a sfoderare il solito motivetto dell’attacco preventivo (che, da quanto si è letto sulla stampa internazionale in questa settimana non è stato preso molto sul serio e pure la lobby filo azera in Italia si è ben guardata dal riproporlo…) punta sulla questione dei confini tra i due Stati e sulla necessità di definirli una volta per tutte vista l’attuale incertezza della linea di demarcazione.

Solo che il suo sistema è decisamente sbrigativo: si posiziona con la forza dove gli fa comodo e poi stabilisce che quella è la frontiera da rispettare. Invero, solo a Mosca con i dati di epoca sovietica sulla geolocalizzazione della frontiera si può avere una qualche certezza di dove sia effettivamente posizionabile la stessa e sarebbe dunque opportuno, che le parti si accordassero una volta per tutte con la benedizione russa sull’accordo.

L’intesa però non è facile e sostanzialmente per tre motivi:
– il primo, lo abbiamo visto, riguarda la volontà azera di guadagnare posizioni di vantaggio militare e politico;
– il secondo concerne la insistenza di Baku all’apertura del Corridoio di Zangezur (la rotta Zangilan—Meghri—Nakhchivan), per cui non viene firmato alcun accordo di confine finché non arriva il via libera da Yerevan;
– il terzo questione da risolvere afferisce le exclavi azere ed armene che in epoca sovietica punteggiavano il territorio dell’una e dell’altra parte ma che dopo trenta anni hanno perso il loro valore simbolico e certo non possono essere rispristinate (come soprattutto l’Azerbajgian richiede per motivi strategici).

C’è anche da dire che la mancata firma di un accordo è in buona parte legata al diverso approccio che le parti hanno sulla questione: gli Azeri provocano escalation bellica come minaccia per costringere la controparte a sottoscrivere un trattato; gli Armeni invece subordinano l’adesione ad una intesa sulla fine delle ostilità.

Quanto alla leadership armena, va detto che non traspare la massima chiarezza (o trasparenza) nella gestione postbellica. In un anno sono stati cambiati quattro Ministri della Difesa e un paio di Ministri degli Esteri, interrompendo di fatto una continuità di mandato.

Alcune dichiarazioni recenti del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan riguardo al fatto “che oggi l’Armenia occupa territori azeri” – si riferiva presumibilmente alle citate exclavi azere – paiono rilasciate a sproposito, specie in questo periodo così turbolento e finiscono con il dare stura alle ambizioni di Aliyev (dimenticando fra l’altro che vi sono territori armeni sotto occupazione del nemico).

Il 15 ottobre scorso, durante un video-vertice della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), Pashinyan ha dichiarato che l’Armenia è pronto a fornire all’Azerbajgian quelle connessioni autostradali e ferroviarie che, traversando i territori meridionali dell’Armenia, che collegherebbero l’entroterra azerbjigiano con l’exclave della Repubblica autonoma di Nakhchivan. Baku si riferisce solitamente a questo passaggio terrestre come al Corridoio di Zangezur, con il nome che loro danno alla Provincia armena di Syunik (che rivendicano come territorio loro). Sebbene Pashinyan, in passato, abbia confermato dei piani per la costruzione di un collegamento ferroviario tra le due parti dell’Azerbajgian, attraverso la regione Meghri della Provincia di Syunik, ha rigettato la richiesta di Baku inerente alla realizzazione di una autostrada lungo lo stesso tragitto. Quest’ultimo rifiuto rappresenta una delle maggiori fonti di disaccordo tra Baku ed Erevan da quando è terminata la seconda guerra del Karabakh (27 settembre-9 novembre 2020). Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, in un’intervista al canale CNN Turk Tv il 14 agosto, aveva protestato contro il rifiuto dell’Armenia reiterando l’ostinazione dell’Azerbaigian nel volere un’autostrada attraversante la Regione del Mehri della Provincia armena di Syunik: “È necessario che ci siano sia una ferrovia sia un’autostrada affinché il Corridoio di Zangezur diventi pienamente operativo. Noi dovremmo poter essere in grado di andare comodamente in auto da Baku a Nakhchivan e in Turchia”. I commenti di Pashinyan al vertice della CSI, alla luce di tutto ciò, sono stati ampiamente interpretati dagli Azeri in termini di consenso dell’Armenia allo stabilimento del Corridoio di Zangezur.

Sembra che Pashinyan era pronto per approvare un corridoio per Azerbajgian, ma gli è stato consigliato di non farlo. All’inizio di novembre ha ribadito: “È importante affermare che la nostra percezione è che l’Azerbajgian dovrebbe essere in grado di comunicare con il Nakhichevan attraverso l’Armenia, non lo neghiamo, lo accettiamo, siamo pronti”. Però, in concreto, garantire le comunicazioni non vuol dire essere d’accordo con un corridoio. Pashinyan ha sottolineato che la dichiarazione trilaterale del 9 novembre non menziona né “Zangezur” – ovvero la Provincia di Syunik in Armenia – né la parola “corridoio” e che l’accordo riguarda solo lo sblocco delle comunicazioni regionali.

La “logica del Corridoio di Zangezur”

L’Azerbajgian vuole avere a tutti i costi un corridoio di collegamento con la sua exclave Nakhichevan e – in definitiva – con il suo alleato Turchia. Il cosiddetto Corridoio di Zangezur, a volte indicato anche come Corridoio di Nakhchivan, dovrebbe passare attraverso il territorio armeno, ma l’Armenia non accetta di avere una strada sulla sua terra – la Provincia di Syunik – sotto il controllo dell’Azerbajgian.

Invece, la questione del Corridoio di Zangezur è politicamente importante per Ilham Aliyev, che in aprile di quest’anno si è impegnato a “costringere” l’Armenia a fare concessioni sul corridoio. E il mese successive è passato – come è abituato a fare – dalle parole ai fatti. E questo si dovrebbe ricordare, quando si ascolta i suoi discorsi dai toni folli.

Le autorità azere traggono la rivendicazione del Corridoio di Zangezur dal nono termine dell’accordo di cessate il fuoco del Nagorno-Karabakh del 9 novembre 2020, firmato da Nikol Pashinyan, Ilham Aliyev e Vladimir Putin per l’Armenia, l’Azerbajgian e la Russia. Questo accordo trilaterale menziona i collegamenti e le comunicazioni di trasporto, ma non contiene le parole “corridoio” o “Zangezur”. Il testo dell’accordo afferma: “Tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione saranno sbloccati. La Repubblica d’Armenia garantirà la sicurezza dei collegamenti di trasporto tra le regioni occidentali della Repubblica dell’Azerbajgian e la Repubblica Autonoma di Nakhchivan al fine di organizzare la libera circolazione di persone, veicoli e merci in entrambe le direzioni. Il servizio di frontiera del servizio di sicurezza federale della Federazione Russa è responsabile della supervisione dei collegamenti di trasporto. Come concordato dalle Parti, saranno costruiti nuovi collegamenti di trasporto per collegare la Repubblica Autonoma di Nakhchivan e le regioni occidentali dell’Azerbajgian”.

Prima dell’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, i collegamenti aerei e terrestri tra l’Azerbajgian e l’exclave (Repubblica Autonoma di) Nakhchivan dovevano essere effettuati attraverso il territorio turco o iraniano. Diversi vantaggi che il Corridoio di Zangezur potrebbe presentare a livello nazionale (azero) e regionale (Caucaso) sono stati evidenziati dall’Azerbajgian, come costi di trasporto e tempi di viaggio inferiori, aumento del turismo e del commercio e maggiore sicurezza durante lo svolgimento di qualsiasi di queste attività.

In epoca dell’Unione Sovietica, c’erano due collegamenti ferroviari che collegavano la Repubblica Autonoma di Nakhchivan con il territorio principale dell’Azerbajgian. La linea più breve che passava attraverso la regione di Syunik fu costruita nel 1941, mentre la linea via Qazakh a Ijevan fu costruita negli anni ’80 come rotta alternativa che collegava Erevan a Baku. Entrambe le linee furono abbandonate nel 1992. Mentre l’Azerbajgian preferisce ripristinare la linea via Syunik, l’Armenia preferirebbe la linea Qazakh—Ijevan. Tuttavia, quest’ultimo ha un costo di ricostruzione più elevato. Secondo le stime, la rotta Zangilan—Meghri—Nakhchivan costerebbe circa 220 milioni Euro per il ripristino, mentre la rotta Ijevan costerebbe 400 milioni Euro.

Il 21 aprile 2021, durante un’intervista con l’AzTV, Ilham Aliyev ha affermato che “stiamo implementando il corridoio di Zangezur, che l’Armenia lo voglia o no” e che se non lo volesse, l’Azerbaijan lo “deciderà di rigore”. Aliyev ha anche detto che “il popolo azero tornerà a Zangezur, che ci è stato portato via 101 anni fa”. Il Difensore dei diritti umani dell’Armenia, Arman Tatoyan ha definito queste dichiarazioni “atti di intimidazione” e le ha collegato al genocidio armeno. Il portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia, Anna Naghdalyan ha affermato che “l’Armenia prenderà tutte le misure necessarie per proteggere la propria sovranità e integrità territoriale”.

Per quanto riguarda la rivendicazione azera sulla provincia, Syunik era una delle 15 province del Regno di Armenia. In tempi diversi, la regione dell’attuale Syunik era conosciuta anche con altri nomi come Syunia, Sisakan e Zangezur o Zangadzor. Tuttavia, il nome attuale della provincia deriva dall’antica dinastia armena dei Siunia, che erano i Nakharar (governatori) della storica provincia di Syunik sin dal I secolo. Storicamente, l’attuale territorio della provincia occupa la maggior parte della storica Provincia di Syunik dell’antica Armenia. Syunik confina a nord-ovest con la provincia di Vayots Dzor, a est con l’Azerbajgian (dalla guerra del 2020 e prima, dal 1992 con la provincia orientale di Kashatagh della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh), a ovest con l’exclave azera di Nakhchivan e a sud con l’Iran (separata dal fiume Aras).

Pashinyan è fortemente criticato in Armenia. Durante tutto l’anno passato, non fortificò l’esercito nel sud. Guardando le sue tattiche durante la guerra dei 44 giorni nel Nagorno-Karabakh, purtroppo perdere la Provincia di Syunik potrebbe diventare realtà per l’Armenia, come ha perso 2/3 dell’Artsakh.

A dirla tutta, anche il rapporto di Yerevan con Mosca – che allo stato attuale, piaccia o non piaccia e con tutti i distinguo del caso, è l’unico argine allo strapotere turco-azero – è oscillante e umorale.

Quel che all’opinione pubblica deve essere chiaro è che l’attacco azero al territorio dell’Armenia iniziato a maggio di quest’anno, non è più solo una questione che ruota sulla controversia della autoproclamata Repubblica di Artsakh (Nagorno-Karabakh), ma che si tratta di una chiara strategia politica di strangolamento della Repubblica di Armenia da parte degli Azeri.

L’Armenia, non dimentichiamolo, fa parte del Consiglio d’Europa ed è membro a pieno diritto delle Nazioni Unite. Sarebbe il caso che le cancellerie, soprattutto europee, non lo dimenticassero mai.

“IL MONDO TURCO”
A sinistra: “Il leader dei nazionalisti turchi ha presentato a Erdogan una “mappa del cosiddetto mondo turco”, con Syunik e metà della Russia inclusi nel mondo turco. Mi chiedo quali segnali positivi arrivino dalla Turchia, di cui Pashinyan sta parlando” (Armenian Breaking News).
A destra: mappa dal canale turco TGRT.
Se c’era ancora bisogno di un disegnino per capire a cosa gioca il Turco (e il suo alleato Azero contro l’Armenia cristiana), ecco, serviti. Putin lo sa già da tempo. L’Europa non lo sa, drogata con il gas azero. La Santa Sede non lo sa, drogata con i soldi azeri. Pashinyan non lo sa, apparentemente.

Nel corso della sua visita nella capitale azera Baku, dopo la seconda guerra nel Nagorno-Karabakh, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha riaffermato il suo appoggio agli Azeri (la vittoria delle forze armate azere è stata possibile grazie alle forniture militari dalla Turchia, in particolare droni di ultima generazione) e ha affermato anche che la Turchia è pronta a stabilire rapporti normali con l’Armenia se questa chiude il contenzioso con Baku. Tornando in Turchia, Erdogan ha poi chiesto formalmente al Parlamento di Ankara l’autorizzazione per l’invio di truppe in Azerbajgian. Ufficialmente il motivo sarebbe stato una missione di  monitoraggio dell’accordo raggiunto il 9 novembre 2020 con l’Armenia sul cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh. L’accordo era stato negoziato e gestito dalla Russia, ma evidentemente Erdogan desidera contrastare l’influenza di Mosca nella zona. In questo modo Ankara tornerebbe a un antico progetto a tenaglia nei confronti dell’Armenia e rafforzerebbe il suo ruolo nella regione, guardando anche ai territori di etnia turca verso il centro dell’Asia.

[*] L’invasione dell’Azerbajgian in Armenia
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