Giornata della Pesca: il card. Turkson chiede dignità per i pescatori

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Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Pesca, celebrata dal 1998, che dà lavoro e sostentamento a circa il 10% della popolazione lavorativa globale; infatti sono più di 800.000.000 le persone che dipendono, come fonte di reddito e di approvvigionamento alimentare, dalla pesca; il 97%  vive nei paesi in via di sviluppo.

In Italia il consumo pro capite di pesce è pari a 25 kg/anno, dei quali 6 kg provengono da produzione locale e 19 kg sono importati:  di questi a loro volta dal 30% al 40% proviene da paesi in via di sviluppo, secondo quanto dichiarato da Marco Costantini, responsabile del mare del WWF Italia:

“L’Italia importa il’76% del pesce che consuma. E non dimentichiamoci che l’Europa è il più grande importatore di pesce a livello mondiale, di cui la metà proviene da paesi in via di sviluppo possiamo pertanto affermare che la pesca nei paesi in via di sviluppo stia nutrendo l’Europa e l’Italia in misura sostanziale.

I consumatori, dunque, devono essere consapevoli della forte dipendenza dalle importazioni di pesce. La scelta degli italiani per quanto riguarda il pesce che consumano ha un forte impatto globale”.

Il 61% degli stock ittici mondiali sono completamente sfruttati e il 29% sono sovra sfruttati; 3.000.000.000 di persone fanno affidamento sul pesce come una fonte essenziale di proteine.

In Italia, il 54% dei cittadini ritiene che ‘scegliere pesce sostenibile aiuti a ridurre gli impatti della pesca eccessiva e faciliti la conservazione delle specie marine’. Solo il 15%  non ha mai sentito parlare del termine ‘pesce sostenibile’, mentre l’84%  d’accordo con l’affermazione che ‘è di fondamentale importanza avere la possibilità di acquistare pesce sostenibile’.

Per questo nel messaggio per questa Giornata il card. Peter A. Turkson, prefetto del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, si  è soffermato a riflettere sul settore della pesca industriale/commerciale che “già da troppo tempo è impigliato in una rete di difficoltà e sfide legate alle violazioni dei Diritti Umani in mare, le cui conseguenze sono state aggravate dalla pandemia di COVID-19 che ha reso ancor più problematica la vita dei pescatori e delle loro famiglie”.

Il card. Turkson ha sottolineato i pericoli del mare: “Nonostante i continui sforzi profusi dalle organizzazioni internazionali per implementare le diverse Convenzioni ed Accordi riguardanti le condizioni di lavoro, la sicurezza in mare e la pesca INN, dobbiamo ammettere che la maggior parte delle volte quando il peschereccio esce dalle acque calme del porto, i pescatori diventano ostaggi di circostanze estremamente difficili da monitorare.

Questo perché si trovano a miglia e miglia dalla terraferma, e l’equipaggio è impossibilitato a sbarcare regolarmente in quanto il peschereccio non lascia la zona di pesca per mesi, se non anni”.

Inoltre altro problema sono le minacce e gli infortuni che essi subiscono: “Mentre si trovano nella zona di pesca, i pescatori subiscono minacce e intimidazioni da parte dello skipper e degli ufficiali, sono costretti a fare turni infiniti di giorno e di notte per pescare il più possibile, con qualsiasi condizione atmosferica.

A causa del sovraffaticamento, frequenti sono gli infortuni sul lavoro. Con più di 24.000 morti in un anno, possiamo definire l’industria della pesca mortale.

Poco o niente viene offerto come compensazione alle famiglie e ai parenti dei defunti; spesso essi non hanno neanche la consolazione di una tomba su cui pregare e deporre un fiore, perché i corpi vengono prontamente seppelliti in mare”.

Ed in mare la vita del pescatore è sempre in pericolo: “L’età media della flotta mondiale della pesca industriale supera i 20 anni e dovrebbe essere fonte di grande preoccupazione per i proprietari e i governi, soprattutto per quanto riguarda la questione della sicurezza.

Le condizioni a bordo sono disumane, poiché le cucine e le dispense sono sporche, i serbatoi d’acqua arrugginiti, l’acqua potabile limitata, il cibo di scarsa qualità e inadeguato.

Le cabine dell’equipaggio sono piccole, senza ventilazione e con poco spazio per muoversi. Andare in bagno, spesso, è un rischioso gioco di equilibrismo su due pezzi di legno che sporgono sul mare aperto”.

Altro problema sottolineato riguarda lo stipendio: “Gli stipendi non sono proporzionati al numero di ore lavorative svolte; il lavoro straordinario non viene pagato.

Una parte del salario mensile viene trattenuto dal mediatore fino alla scadenza del contratto triennale. In questo modo i pescatori sono costretti a tacere e a non lamentarsi con l’autorità, se non vogliono perdere i risparmi che l’agenzia trattiene”.

Inoltre i proprietari alimentano altre attività illecite: “Per compensare il guadagno della pesca, ridotto a causa dell’intensa concorrenza di troppe flotte pescherecce che inseguono sempre meno pesce, proprietari di pescherecci senza scrupoli praticano la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) e altre attività criminali transnazionali, come la tratta di persone, la schiavitù, nonché il contrabbando di droga e armi”.

A questi problemi il prefetto richiama l’attenzione sui problemi della pesca, anche se riconosce alcuni miglioramenti: “Come Chiesa cattolica, riconosciamo alcuni miglioramenti nelle condizioni umane e lavorative dei pescatori; purtuttavia ci rendiamo conto che ci sono ancora troppe violazioni dei diritti umani in mare.

Ancora una volta, ci appelliamo alle organizzazioni internazionali, ai governi, alle società civili, ai diversi attori della filiera della pesca e alle ONG affinché uniscano le loro forze per fermarle!

I problemi che affliggono il settore della pesca sono interconnessi. Se non concentriamo la nostra attenzione su questi continui abusi e violazioni in mare e non lavoriamo insieme per creare un’industria della pesca in cui i diritti umani e lavorativi dei pescatori siano garantiti e sostenuti, potrebbe diventare più difficile sradicarli e il costo umano ed economico sarebbe molto alto per l’industria”.

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