Procedimento penale n. 45/2019 RGP vaticano: il Papa tirato in ballo e tutto ridotto ad un’arrampicata sugli specchi. Uno spettacolo indecoroso con Becciu già giustiziato – Seconda Parte

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Riportiamo l’articolo dell’amico e collega Renato FarinaIl processo in Vaticano. “Mancano le frasi del Papa”. Il caso Becciu può finire qui. Panella, avvocato del coimputato Crasso, chiede perché non siano agli atti le dichiarazioni di Franceso ai pm. Il giudice Pignatone aggiorna l’udienza – pubblicato oggi su Libero Quotidiano. Farina tratta in modo chirurgico la giornata di ieri: “Verso le undici nell’aula vaticana del processo contro il Cardinale Angelo Becciu è scesa una specie di caligine bianca. È accaduto quando l’avvocato Luigi Panella, difensore di uno degli altri imputati, il finanziere Enrico Crasso, ha pronunciato il nome del Papa. Di più: lo ha evocato come testimone cardine dell’accusa. Nessuna gola profonda e neppure una deduzione. A dirlo – ha sostenuto Panella – è stato lo stesso promotore di giustizia (il pm nel lessico del piccolo-grande Stato) Professor Alessandro Diddi. La prova? Sta in uno dei video interrogatori: voce dal sen fuggita. Peccato che però le (supposte) dichiarazioni di Francesco non siano agli atti. «Il codice italiano del 1913 che vige in Vaticano non ammette che il Monarca possa essere sentito. I promotori dicono loro stessi di averlo fatto». A questo punto dovevano verbalizzare. Non l’hanno fatto. Nullo tutto. Negli Stati democratici i presidenti, per il principio di uguaglianza, accettano questo dovere. La legge vigente intorno al colonnato del Bernini, no”.

L’Udienza del 17 novembre 2021 (Foto Vatican Media).

Il processo in Vaticano
“Mancano le frasi del Papa”
Il caso Becciu può finire qui
Panella, avvocato del coimputato Crasso, chiede perché non siano agli atti le dichiarazioni di Franceso ai pm. Il giudice Pignatone aggiorna l’udienza
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 18 novembre 2021


Verso le undici nell’aula vaticana del processo contro il Cardinale Angelo Becciu è scesa una specie di caligine bianca. È accaduto quando l’avvocato Luigi Panella, difensore di uno degli altri imputati, il finanziere Enrico Crasso, ha pronunciato il nome del Papa. Di più: lo ha evocato come testimone cardine dell’accusa. Nessuna gola profonda e neppure una deduzione. A dirlo – ha sostenuto Panella – è stato lo stesso promotore di giustizia (il pm nel lessico del piccolo-grande Stato) Professor Alessandro Diddi. La prova? Sta in uno dei video interrogatori: voce dal sen fuggita. Peccato che però le (supposte) dichiarazioni di Francesco non siano agli atti. «Il codice italiano del 1913 che vige in Vaticano non ammette che il Monarca possa essere sentito. I promotori dicono loro stessi di averlo fatto». A questo punto dovevano verbalizzare. Non l’hanno fatto. Nullo tutto. Negli Stati democratici i presidenti, per il principio di uguaglianza, accettano questo dovere. La legge vigente intorno al colonnato del Bernini, no.

Il Presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone si è gelato, un’onda di emozione anomala ha percorso il banco dei promotori di giustizia, le postazioni degli avvocati e dei giornalisti. Pignatone ha proposto, un po’ impacciato, la pausa caffè. Diddi, chiamato in causa, ha chiesto più tempo per consultare le carte «in ufficio». È stata un’ora di attesa drammatica. Diddi, ripresa l’udienza, ha replicato, negando. Ha detto che, citava sì quanto udito dal Papa, ma non a tu per tu, bensì riferendosi all’intervista data da Francesco sull’aereo di ritorno dal Giappone il 26 novembre 2019.

A giudicare il contenzioso tra accusa e difesa sarà il Presidente Pignatone, che ha rimandato tutti al 1° dicembre. Se dovesse dar ragione a Panella, il processo salta. Nel caso confermasse la versione di Diddi (francamente equivalente a un’arrampicata sugli specchi) resterebbe un’ombra pesantissima tale da compromettere la credibilità della giustizia vaticana, totalmente aliena dal concetto di giusto processo.

Pessima storia

Qualcuno dirà. Queste sono schermaglie procedurali. Formalismi rispetto alla sostanza. Certo che ci sono stati pasticci, e probabili ruberie, nell’acquisto dell’ormai famosissimo palazzo di Chelsea-Londra, costato 300 milioni di sterline, con un danno stimato, se lo si vendesse oggi, di 100 milioni. Una pessima storia. Che meritava indagini. Ma c’è modo e modo di provare e valutare le colpe. Il rischio di impiccare degli innocenti, quando i metodi non rispettano canoni di civiltà, è altissimo. Ieri in aula e fuori si registrava la percezione dell’ineluttabile condanna e insieme la delusione per uno spettacolo sciagurato che non giova all’autorevolezza morale degli organi centrali della Chiesa.

Insomma, a questo punto della storia, piccolo bilancio. Nel merito: non si capisce cosa c’entri il sostituto Becciu con i reati, visto che le sue mosse erano state preventivamente autorizzate per lettera dal suo superiore, Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin (lo ha documentato Libero il 14 luglio scorso, lo ha scritto di nuovo Domani lunedì scorso). Nella procedura: le indagini sono state condotte usufruendo di leggi eccezionali pensate e deliberate durante l’inchiesta; il peso enorme della «crocifissione cautelare» (Alberto Melloni su Repubblica) del cardinale sardo, decisa ed eseguita dal Papa il 24 settembre del 2020; tutto ciò contrasta con qualsiasi forma di giustizia accettabile secondo i trattati internazionali e il buon esito degli esami a cui si sta sottoponendo da anni il Vaticano  con tanto di pagelle di Moneyval, organo di controllo del Consiglio d’Europa.

Torniamo in aula, e al colpo alla Perry Mason di Panella. Negli scorsi mesi c’era stata una sequenza di ordinanze del Tribunale nei confronti del Promotore di giustizia. La legislazione – anche quella vigente presso il Cupolone – prevede che siano depositati tutti gli atti dell’accusa onde essere studiati dalla difesa. Pignatone aveva accertato che mancavano proprio le prove decisive: gli interrogatori del grande pentito, Monsignor Alberto Perlasca, braccio destro di Becciu, trasformatosi in accusatore e premiato perciò con il proscioglimento. Infatti i pm avevano messo a disposizione verbali striminziti invece dei video integrali. Infine hanno depositato effettivamente decine di ore di video-registrazioni, con molti omissis, adducendo ragioni che non risultavano dai verbali. L’avvocato Fabio Viglione, difensore di Becciu, ha denunciato il taglio di decine di ore di interrogatori, dunque una violazione palese del codice di procedura ivi vigente con nocumento per i diritti degli imputati e conseguente nullità, non solo in Vaticano, ma anche – aggiungiamo noi – a Timbuktu. Panella, a sua volta, ha fatto trascrivere da un perito l’enorme materiale. Ed ecco la scoperta di un vero e proprio autodafé dell’accusa.

Perlasca parla

Il legale lo ha pescato in un alluvionale interrogatorio a Perlasca dell’aprile 2020, quando il sacerdote non si era ancora pentito: «A partire dal minuto 05.33.40 del video, i promotori di giustizia confutano animatamente quanto affermato da monsignor Perlasca sulla trattativa con Torzi alla fine del 2018, sostenendo che vi sarebbe stata un’estorsione». Il problema è su cosa basano la confutazione. I pm, sostiene Panella, «affermano, su questo fatto specifico, di aver sentito il Santo Padre».   La trascrizione è lì, e canta. Eccola.

Promotore Diddi: «Monsignore, (quello che dice) non c’entra niente! Noi, prima di fare questo che stiamo facendo, siamo andati dal Santo Padre e gli abbiamo chiesto che cosa è accaduto e, di tutti posso dubitare fuorché del Santo Padre…».
Monsignor Perlasca: «Eh, certo! Beh, è chiaro!».
Diddi: «Non ne possiamo dubitare».
Diddi inchioda dunque Perlasca alla testimonianza del Papa. Questo dice alla lettera il pm, e il contesto lo conferma. Ovvio che il monsignorino ne sia schiacciato. Come si diceva una volta: Roma locuta, causa finita.  Ma questa testimonianza agli atti non esiste. E Diddi ha risolutamente negato il fatto.

C’è chi ha già dedotto che coinvolgere nominare il Santo Padre (vedi Huffington post) per difendere il proprio cliente sia «contro» il Pontefice. Forse era meglio non tirare la tonaca di Bergoglio da parte dei magistrati, o quantomeno non avvalersi della potenza del suo nome. Ora, più ancora che le decisioni di Pignatone, aspettiamo da Francesco una sorpresa.

Foto di copertina: l’Udienza del 17 novembre 2021 (Foto Vatican Media).

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