San Martino di Tours, ora pro nobis

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Oggi, 11 novembre 2021 la Chiesa Cattolica Romana fa memoria del vescovo San Martino di Tours (Sabaria 316/17 – Candes, 8 novembre 397), nel giorno della sua deposizione. Nato da genitori pagani in Pannonia, a Sabaria ora Szombathely in Ungheria, fu chiamato al servizio militare in Gallia. Quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso, celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di Sant’Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes (oggi Candes-Saint Martin, Indre-et-Loire, Francia) fece ritorno al Signore.

O Dio, che vedi
che noi non possiamo sussistere

per nostra virtù,
concedi, propizio, per intercessione
del tuo beato confessore e vescovo Martino,
che siamo difesi contro ogni avversità.
San Martino di Tours,

proteggi il nostro cammino
e quello delle persone che amiamo.
Prega per tutti noi,
benedici questo giorno,
intercedi presso Dio,
per esaudire le nostre preghiere
:
per noi stessi,
per i nostri cari,
per i nostri fratelli,
per la Chiesa di Cristo,
per il suo Vicario in terra,
per tutti il mondo e tutti i suoi abitanti.
Amen.

Peeter Balten, Sint Maartensfeest [Festa di San Martino] o Sint Maartenskermis [Fiera di San Martino], 1550/99, olio su legno, 109x 146.5cm, Museum Catharijneconvent, Utrecht, Paesi Bassi. Sulla bandiera due stampelle incrociate e la scritta: SINT MAE[RTEN]. Sulla destra San Martino a cavallo che si taglia il mantello per un mendicante.

Sint Maarten

Questo giorno per me è memorabile dalla mia infanzia, perché ogni anno mia papà Alfonso, che era originario dalle Fiandre Orientali, ci portò in viaggio per la festa di Sint Maarten (San Martino), molto sentito nella regione del suo Paese di origine. Quel giorno il forno rimase chiuso (e se non mi ricordo male, succedeva solo quel giorno e qualche altro giorno per Pasqua e per Capodanno, sempre per lo stesso motivo… mio papà era molto legato con la sua terra di origine). Allora, negli anni cinquanta, era un lungo viaggio e difficile, attraversando tutto il Paese, dal sud della Provincia di Antwerpen, da Balen-Neet, nella Provincia di Oost Vlaanderen, a Hofstade che oggi fa parte della Città metropolitana di Aalst. Non c’erano ancora autostrade e con l’inverno le strade erano ghiacciate e le finestre del Vanguard senza riscaldamento si coprivano di giaccio all’interno… Per noi era come un Sinterklaas (San Nicola) anticipato, perché nella regione dove abitavamo, i regali arrivano la notte di San Nicola da Bari (… non con il Bambin Gesù), mentre nella regione di origine di mio papà invece con San Martino di Tours (e poi c’era da aspettare Capodanno e la Pasqua successiva). Per noi bambini il viaggio era un divertimento (per mio papà meno, penso), anche perché nostro papà ci portò a visitare tanti famigliari, un cugino pittore, una cugina insegnante, cugini agricoltori che mi mettevano sul cavallo… come Sint Maarten (e comprava la riserva di patate…). Sul viaggio di ritorno era tradizione che papà ci comprò dei sacchetti appuntiti con delle patatine fritte e maionese. Festa!

San Martino di Tours
di Domenico Agasso
Famiglia Cristiana

San Martino nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest’epoca che si colloca l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo. Lasciato l’esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio). Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario. Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Muore a Candes nel 397.

Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale.

[Sint Maarten è anche una nazione, costitutiva del Regno dei Paesi Bassi, assieme a Paesi Bassi e agli stati caraibici di Aruba e Curaçao. Il territorio è costituito dalla parte meridionale dell’isola di Saint Martin, situata nel sud del Mare Caraibico. Il capoluogo è Philipsburg. Sint Maarten confina a nord con Saint-Martin, una collettività d’oltremare dipendente dalla Francia, il cui territorio costituisce la parte settentrionale dell’isola].

San Martino nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. È in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.

Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.

Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.

Nel 371 viene eletto Vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora “il Dio che si adora nelle città”. Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.

Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.

L’estate di San Martino

L’estate di San Martino è un periodo dove venivano rinnovati i contratti agricoli, tradizionalmente durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo abbinato alle prime castagne. Questa tradizione è celebrata anche in una famosa poesia di Giosuè Carducci, San Martino:

La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor dei vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

L’Estate di San Martino è legata alla leggenda del Santo, che divise in due un mantello per coprire un povero mendicante nudo e freddoloso. Il Signore “ricompensò” il Santo inviando un clima mite e temperato quando oramai esso volgeva al freddo dell’Inverno incipiente.

San Martino ci aiuta a caprie il senso della frase: ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza

«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,31-46).

Questa Parola del Signore secondo San Matteo evangelista boccia in tronco – più autorevole di così… – coloro che insegnano: Dio “non fa selezione” di nessuno. Gesù non ha aperto le porte del Paradiso affinché possano entrare “pecore e capre”, perché in questo brano evangelico ci viene detto come entrambi saranno separati “questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”. Ma da cosa dipenderà questa “selezione divina”? Certamente non dalla scelta del Creatore, che è amore e misericordioso, ma dalle opere della sua creatura.

Quando, terminata la corsa in questa valle di lacrime, l’Uomo starà davanti a Lui e vedrà il suo Volto Santo, sarà dura la risposta di Gesù, ma sarà la Verità su cui si fonda l’Amore: chiunque ha rifiutato la mia Volontà, non eredita il Regno. Questa sarà la risposta a tutti, anche se fossero stati religiosi, sacerdoti, vescovi, cardinal o papi (e questi per primi, il posto che hanno sempre occupati in terra), se non si sono comportati da pastori, ma da “chierici di stato” o da mercenari. Perciò, se non si adoperano per istruire “coloro che non hanno conosciuto l’Amore di Dio”, facendogli conoscere la Verità, preoccupandosi non tanto del corpo (alla cui cura ci pensa il medico) ma dell’anima (la cui salvezza è compito del pastore) sarà difficile che vedranno il Regno dei Cieli. Gesù ritornerà quando meno se lo aspetteranno e presto gli chiederà conto di quelle anime che gli erano state affidate: “Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere” (Ap 22,12).

Detto questo, noi laici del Popolo di Dio non dobbiamo pensare di essere esentati del fare la stessa medesima opera – la salvezza dell’anima – per noi stessi e per i fratelli, ognuno nelle condizioni in cui si trova nella vita terrena, con la Missione che il Signore ha affidato a ciascuno di noi… Pro tempore (un termine che i “chierici di stato” conoscono tanto bene, come pare).

Foto di copertina: S. Tosi o Rosi, San Martino a cavallo e il povero, 1945, Chiesa di San Martino Vescovo, Ferno.
La chiesa di San Martino a Ferno (Provincia di Varese) fu restaurata nei primi anni del Novecento, e in quell’occasione la sua parte anteriore venne ridotta a cappella di Nostra Signora di Lourdes, erigendovi grotta e altare apposito: una cappella molto frequentata dalle operaie della vicina Manifattura. Nel 1945 la grotta venne rimossa e fu ricostruita più piccola con gli stessi materiali lungo la parete settentrionale prima dei gradini di accesso al presbiterio. In quell’occasione nella parete sopra l’altare fu posizionato un quadro che raffigura San Martino a cavallo, nel gesto famosissimo di dividere il mantello con un povero. A una prima occhiata, la tela sembrerebbe riconducibile sotto il profilo stilistico al secondo Ottocento, ma non è mai menzionata nelle carte delle visite pastorali del passato.
Un grande cavallo bianco, con zampa anteriore alzata e bardature dorate, riempie tutto il quadro, un cavallo perfetto the richiama i meravigliosi animali dei pittori e degli statuari del Quattrocento. Martino è effigiato da giovane come un soldato romano, con il cimiero sull’elmo, corazza sul petto, maneggia la spada nell’atto di tagliare per il povero un pezzo del suo mantello. Il povero, in piedi, scalzo, coperto nelle cosce ma nudo nel torace, rivolge lo sguardo implorante verso il cavaliere. Gli alberi molto carichi di fogliame e il cielo sanno di Ottocento romantico.
Il pittore ha lasciato il suo nome e la data nell’angolo inferiore destro della tela: “S. Tosi [o Rosi] 1945”, una data che spiega la mancata citazione nelle visite pastorali. Forse il pittore è partito da un’immaginetta devozionale di disegno ottocentesco raffigurante il santo, il che spiega la prima impressione che se ne riceve. La tela ha una cornice centinata di gusto settecentesco, in tema con le modanature settecentesche esterne e interne alla chiesa.

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