Migrantes, quando ad emigrare sono gli italiani…

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L’emigrazione italiana ha un secolo e mezzo di storia ed è stata molto intensa anche nell’ultimo dopoguerra coinvolgendo tutte le regioni italiane, dal Nord al Sud. È quanto emerge dal “Rapporto Italiani nel Mondo 2008” della Fondazione Migrantes, presentato a Roma. Secondo il rapporto, i cittadini italiani residenti all’estero ad aprile 2008 sono 3.734.428. Di questi oltre la metà (54%) è costituito da giovani al di sotto dei 35 anni.

Dei giovani 3 su 10 sono minorenni. L’emigrazione italiana è in prevalenza euro-americana: più della metà in Europa (56,7%) e più di un terzo in America (37,9%). Non si possono, però, trascurare le collettività insediate negli altri continenti, non solo l’Oceania (3,4%), ma anche l’Africa (1,3%) e l’Asia con lo 0,8%. Il Paese con più italiani è la Germania (600.443) seguita da Argentina (544.037) e Svizzera (507.943).

Secondo i dati forniti dal rapporto la regione italiana con più emigrati è la Sicilia con 629.114 residenti all’estero, seguita dalla Campania con 395.064, la Calabria con 328.910 e il Lazio con 308.966. Il comune con più presenze è Roma (207.769), seguita da Milano con 41.894 e Napoli con 32.179 residenti all’estero. La presenza italiana all’estero, secondo il Rapporto Migrantes – significa anche corsi di lingua e cultura: ne sono stati promossi 34.689 dal Ministero degli Affari Esteri nell’anno scolastico 2006/2007, per un totale di poco meno di 650 mila iscritti, e con la Società Dante Alighieri che con i suoi corsi coinvolge oltre 200mila studenti.

Il rapporto – di oltre 500 pagine realizzato con il contributo di circa 60 autori – pubblica anche una ricerca sperimentale promossa dalla Fondazione Migrantes, insieme a un gruppo di Patronati (Acli, Epasa, Inas, Sias) che ha coinvolto più di 500 persone in diverse città europee e d’oltreoceano. Seppure non si sia trattato di un campione pienamente rappresentativo – spiegano i ricercatori – le interviste hanno consentito di individuare alcuni punti fermi, che inducono a “rimuovere la patina di assistenzialismo con cui spesso si inquadra l’emigrazione”. Infatti i nostri connazionali sono riusciti a migliorare la loro situazione, hanno la casa di proprietà (e non pochi una seconda casa in Italia), trascorrono parte delle vacanze in Italia, e sono molto legati alla religione. Seguono le vicende del nostro Paese, leggono i giornali italiani, guardano i programmi della Rai e sentono l’Italia vicina, ma mai in misura “uniforme e del tutto totalizzante”.

Inoltre, “vi è chi teme la condanna all’invisibilità della comunità italiana, avendo essa raggiunto una stima pressoché unanime presso le popolazioni locali ed essendo considerata come un gruppo che non crea problemi. Ma la sfida non è il rischio della invisibilità, ma la creatività pastorale”. E’ quanto scrive padre Graziano Tassello, direttore del Centro Studi Emigrazione di Basilea, nel “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes, parlando dell’emigrazione italiana e il ruolo delle Missioni Cattoliche italiane che “avendo imboccato un cammino di comunione, devono essere icone di comunione in una Chiesa spesso ancorata, per i più svariati motivi, ad un modello monoculturale. Per Tassello è il tempo del “consolidamento della pastorale migratoria. Da una pastorale frammentaria si punta su una azione più organica nei contenuti e nelle modalità, più attenta alla conversione, alla comunione e alla cattolicità”.

La Chiesa cattolica italiana ha una lunga storia a favore della diaspora italiana. Attualmente nel mondo – secondo i dati forniti dal Rapporto – sono 431 i centri che forniscono una cura pastorale in lingua italiana con 543 sacerdoti, 166 suore e 51 laici. La maggioranza di queste strutture si concentra in Europa. Infine, I tanti connazionali e discendenti sparsi nel mondo “non sono un rimasuglio del passato bensì un supporto dinamico per affrontare meglio il futuro che attende il nostro paese”, ha affermato Franco Pittau, coordinatore del Rapporto: “questo futuro è contrassegnato da molte difficoltà, perché si tratta di competere in un mondo globalizzato con molti più protagonisti rispetto al dopoguerra”. Il Rapporto ci ricorda che “possono impegnarsi con noi sia gli italiani all’estero che gli immigrati esteri in Italia, costruendo una rete che di per se stessa è garanzia di riuscita”.

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