Il canto della Liturgia cristiana

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L’origine del termine “musica” risale al greco mùsa, nome generico delle nove mitiche Muse protettrici delle arti, nessuna lingua antica possiede, infatti, un termine rispondente al concetto moderno di musica. E’ da notare che, sin dal secolo IX dell’era cristiana, tutte le civiltà hanno separato la pratica del canto da quella degli strumenti musicali: musikè tèchne, ars musica, dalla teoria dotta, musiè episteme, musica scientia.

La musica fu studiata dagli scienziati dell’antichità, essi, però, coglievano la natura matematica di quest’arte, la accostavano al mondo ideale dei numeri, attribuendo suoni diversi alla fantasmagoria cosmologica dei pianeti. Questa teoria dell’armonia delle sfere fu elaborata dalla celeberrima scuola pitagorica, verso la metà del secolo V a.C. In seguito allo studio dei teorici greci e latini, essa diede origine a quelle numerose variazioni aritmosofiche e astrologiche che, tramite Boezio e Cassiodoro, pervennero ai teorici del Medioevo.

Boezio classificò la musica distinguendo la musica mundana, ossia l’armonia delle sfere, dalla musica humana, cioè la musica dell’anima e l’armonia psichica, dalla musica instrumentalis, cioè, la musica pratica creata a imitazione delle altre due.

Marziano Capella, all’inizio del secolo V, aveva incluso la musica fra le arti scientifiche del Quadrivium . Lo studio di queste quattro arti era considerato indispensabile per la completa formazione intellettuale.

Con l’Umanesimo, si avrà poi una nuova tendenza, quella cioè di assumere a modello le opere musicali, studiarne le strutture formali per desumerne le regole fondamentali. La concezione e la definizione dell’arte musicale sono date dalla maestria del combinare organicamente i suoni. La musica, come scienza, sarà accostata, non più alla matematica ma alla medicina: la terapia del corpo dovrà occuparsi dell’equilibrio dello spirito.

Il Rinascimento considererà l’arte musicale, non più sotto l’aspetto metafisico ma come fenomeno connesso ai riflessi psicologici in rapporto con l’ideale cinquecentesco di bellezza. Adriano Coclicus nel 1552 introdusse il concetto di musica reservata indicando un genere musicale molto raffinato, quasi cerebrale, contrapposto alla così detta musica comuna, che indicava un’arte musicale più a portata di tutti e d’immediata comprensione.

Nel secolo XVII il concetto di musica reservata si evolse nella teoria degli affetti, cioè l’antica dottrina dell’ethos musicale che fa simbiosi tra musica e animo umano.

Il razionalismo sei-settecentesco orientò il pensiero scientifico e filosofico in senso matematico e meccanicistico. Per gli illuministi la musica è allo stesso tempo scienza e arte, essa occuperà un posto centrale nel vasto movimento filosofico e culturale.

Il periodo romantico pone l’arte musicale nel cuore della gerarchia delle arti, evidenziandone l’aspetto metafisico e trascendentale. Per Herder, la musica è il “manifestarsi dell’invisibile”, per Schelling è l’“espressione dell’infinito”. L’Ottocento e il Novecento continueranno a considerare l’arte musicale sotto questi stessi concetti ma arricchiti da visioni culturali, pratiche, sociali e politiche.

Il lungo e variegato cammino del canto sacro, all’interno della storia della musica, lo  percorrerò, brevemente, alla luce della prospettiva biblico-teologica ed ecclesiologico-liturgica. Itinerario di fede che diventa esperienza d’amore nel canto della speranza.

L’enorme spartito della storia della musica occidentale, dopo l’incipit che pone l’ascolto al canto dell’esperienza musicale delle antiche civiltà, avvolte dal mistero tra mito e storia, si apre col farci ascoltare il Canto della liturgia cristiana, la mistica melopea che, dai primi vagiti della nascita, sino alla pienezza del canto della maturità, abbraccia un lungo periodo di ben dodici secoli. Questo canto trae le proprie origini dalla melopea giudaica, la cantillazione ebraica e dall’arte della recitazione greca. Le prime comunità cristiane cantavano certamente ispirandosi alle cantilene delle tradizioni locali. Provenendo dall’ambiente ebraico, sicuramente i canti della sinagoga, come anche, più tardi, quelli delle tradizioni orientali, furono all’origine del primo canto cristiano. Questa, però, è soltanto un’ipotesi probabile, perché sino al secolo IX si ha soltanto la tradizione orale. I modelli di cantillazione erano imparati a memoria. Isidoro di Siviglia (+ 633) lo tramanda: “Se i canti non vengono tenuti a mente, vanno perduti, perché non è possibile metterli per iscritto” (Etymologiae 3, 15). E’ probabile il fatto che le prime comunità cristiane abbiano letto i Sacri Testi nella forma della “cantillazione” sinagogale, anche se poi, quando le formule in canto si svilupparono, esse assunsero un proprio stile. Le preghiere, quindi, avevano il modus canendi sinagogale della preghiera improvvisata. L’intimo rapporto tra testo sacro e melodia, pur nelle diversità espressive e stilistiche, nelle celebrazioni resterà sempre legge fondamentale per la Parola in canto. Tra il canto “tenuto a mente” e la sua scrittura, vi fu un enorme ritardo se consideriamo che il manoscritto più antico di canto ebraico a noi pervenuto è l’Eulogia sulla morte di Mosè, stesa su quattro linee di neumi beneventani, ritrovato al Cairo ma proveniente da Ravenna. La scrittura, che richiama forme del gregoriano più elaborato, segue la prassi italiana ma con influenze bizantine del sec. XI.

Come ogni vita, l’evolversi di quest’arte canora non è immobile conservazione e monotona ripetizione ma crescita e interiore sviluppo. Sappiamo che ogni dinamismo storico si manifesta, non soltanto nella sua intrinseca evoluzione, ma anche nella sua fecondità generatrice di varie forme e di diversi generi che da esso promanano per trovare propri sviluppi. Si è quindi passati dai modi arcaici di oralità e vocalità irricuperabili, verso formalizzazioni e codificazioni di repertori fissati da grafie chiamate neumatiche. Il canto liturgico, detto gregoriano, si presenta, al culmine della maturità, come arte dotta e perfetta e, perciò, in sé conclusa. Si arricchisce dell’opera di raffinati compositori, per lo più anonimi, e, come limpida acqua di sorgente, ha donato vita ai grandi fiumi della musica europea. Si pensi alla straordinaria generazione del vasto e variegato mondo dell’arte polifonica. Essa non è semplicemente la somma armonica delle voci, ma qualche cosa che aggiunge il valore di un’intesa di individualità.

Indubbiamente, ogni evoluzione storica porta in sé, attraverso il naturale processo d’intrinseco svolgimento, anche la decadenza che è, molto spesso, condizione inevitabile per la rinascita e il rinnovamento. Il gregoriano, dove testo-voce-musica rappresentano un’ideale di unità, è canto che sgorga dal cuore e fiorisce sulle labbra dei cristiani attratti e illuminati dal Verbo del Padre incarnato nell’umana natura. E’ canto che, assumendo nomi diversi in rapporto a luoghi e a culture in cui nasce, fiorisce e vive, costituisce il linguaggio musicale della preghiera liturgica della Chiesa cattolica.

Nei secoli in cui avveniva la decadenza della raffinatissima cultura ellenistico-romana e fioriva quella nuova cristiana, le melodie, come dicevamo, raccoglievano il retaggio musicale della Grecia e dell’Oriente, portando in sé la ricchezza di sapienza e di esperienza formale e la potenza dell’ispirazione orante. E’ importante notare che la sua evoluzione storica, come ogni altra manifestazione d’arte, non dev’essere intesa come progressione di pura estetica teologica ma espressione di mistica teologia estetica.

 

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