Papa Francesco, i mezzi (nascosti) servono il fine?

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Non è facile, a prima vista, associare Papa Francesco ad attività legislativa effettiva. Fin dall’inizio del pontificato, l’immagine del Papa è quella di un Papa dei gesti, che vuole dare il buon esempio e tirare fuori la Chiesa dalle sue mura istituzionali [QUI], e portarla verso le periferie. Una Chiesa missionaria, in uscita come ama dire Papa Francesco. Una Chiesa in stato di Sinodo permanente, senza quelli che Papa Francesco chiama “chierici di stato”.

Lo stesso Papa Francesco ha contribuito a costruire questa immagine con grande cura e attenzione alla sua immagine pubblica e alle dichiarazioni pubbliche. A una domanda specifica, il Papa non risponde mai né sì né no. Chiede invece del discernimento e una risposta pastorale, senza definire come procedere – ultimo esempio, sulla questione dell’accesso alla comunione per i politici abortisti [QUI]. Pertanto, Papa Francesco sottolinea sempre una presunta continuità nelle sue decisioni senza mai assumersi effettivamente una responsabilità diretta.

Un’analisi più profonda, oltre ciò che si vede, mostra una realtà molto diversa. Papa Francesco prende le decisioni personalmente, quasi sempre aggirando gli organi che dovrebbero aiutarlo a legiferare, in molti casi con documenti formalmente scritti a mano dopo delle udienze (i famosi Rescripta, i Rescriptum ex audientia Ss.mi [*], e in altri casi adeguando con Motu proprio le prime versioni delle leggi.

In pratica, Papa Francesco usa tutti i suoi poteri di monarca assoluto per “forzare” in qualche modo le riforme che intende fare, senza attendere le consultazioni o le necessarie armonizzazioni con il Codice di diritto canonico.

Per comprendere il significato di questa scelta, bisogna anche capire come la Santa Sede ha sempre operato. Il Papa è il monarca assoluto che può fare e disfare le leggi a suo piacimento. Un antico detto romano lo spiega ironicamente: ” Il Papa bolla e il Papa sbolla”.

Tuttavia, pur essendo un monarca assoluto, il Papa ha sempre concepito se stesso prima di tutto come colui che deve portare l’unità alla Chiesa. Le sue leggi non sono le sue leggi, ma sono l’applicazione delle leggi di Dio. La Curia, dunque, è sempre stata considerata il corpo del Papa, il braccio che lo aiutava a prendere le decisioni, non qualcosa di distaccato.

Per questa ragione, i Papi non hanno mai legiferato da soli. Pur avendo il potere di farlo, e nonostante ci siano stati casi di monarchi assoluti nella storia, i Papi hanno sempre cercato di fare uso della loro energia in modo collegiale. Nel Medioevo venivano convocati tre concistori alla settimana per le decisioni che non riguardavano solo le leggi ma anche il governo dello Stato. Il Sant’Uffizio è stato istituito non solo per controllare le eresie, ma piuttosto per verificare uno sviluppo armonico della dottrina della fede. E ogni testo legislativo doveva essere attentamente soppesato per mantenere la continuità con il diritto canonico, la prima fonte normativa.

Non a caso, il diritto canonico nasce dall’opera di Graziano, che armonizza e classifica tutte le fonti del diritto per farne un corpus unico e armonioso [QUI]. C’è insomma una tendenza all’unità, che ignora i papi e i loro indirizzi, che in qualche modo supera il sistema della monarchia assoluta. Questa tendenza all’unità è presente anche nel Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, istituito da Paolo VI con il compito, infatti, di verificare e armonizzare ogni legge della Chiesa con il corpo del diritto canonico.

Con Papa Francesco, questa tradizione è stata alquanto interrotta, perché Papa Francesco ha fatto un uso estremo delle sue prerogative legislative. Questo è illustrato nel libro “Finis Terrae for Canon Law?”, portato agli onori delle cronache da una recensione dell’esperto vaticano di lunga corsa Sandro Magister [QUI].

Nel testo si osserva che Papa Francesco ha preso molte decisioni (quasi tutte) semplicemente scavalcando il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, andando avanti con successivi adeguamenti, e creando una situazione problematica nella Santa Sede, proprio perché c’è incertezza nella legge.

Molte correzioni sono state apportate inizialmente su impulso della Segreteria di Stato della Santa Sede, che ha cercato di fare da bilanciere. Eppure, adesso tutto sembra uscire direttamente dalle mani del Papa, senza consultazioni esterne e armonizzazioni con il diritto canonico.

Il caso più recente, e il più eclatante, riguarda il processo in Vaticano per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Il Papa è intervenuto nel processo con quattro rescritti, arrivando fino alla sospensione di alcune garanzie procedurali [QUI]. Alla fine è dovuto tornare indietro su alcune decisioni, le indagini hanno dovuto ricominciare da capo, ma il fatto rimane che lo stato di diritto è stato messo tra parentesi.

Le scelte di Papa Francesco sono trasparenti e coerenti non solo con il diritto canonico ma con la dottrina sociale della Chiesa? In alcuni casi, la risposta sembra essere di no. Ma “sembra”, perché non c’è possibilità di ulteriore analisi, l’attività legislativa è così veloce, e l’attività di consultazione è così ridotta.

Papa Francesco usa tutti i mezzi a sua disposizione per traghettare il Vaticano dove pensa dovrebbe essere. E la Santa Sede, da punti di vista specifici, cerca di mantenere la trasparenza della comunicazione, garantendo l’accesso dei giornalisti ai processi e alle varie attività del Papa. Ma tante altre decisioni, anche importanti, vengono comunicate direttamente, senza spiegazioni, senza conferenze stampa per porre domande – dalle riunioni del Consiglio cardinalizio sulla riforma della Curia ai bilanci dello IOR e più recentemente l’annuale rapporti dell’Autorità di Informazione Finanziaria – e stabilendo una narrazione che non consente l’approfondimento.

A parte delle proteste dei media (l’ultima contro la cancellazione della diretta televisiva della visita del Presidente Biden [QUI]), non ci sono stati intellettuali cattolici che hanno preso una posizione forte. Eppure, qualsiasi resoconto della situazione senza dire che la situazione è problematica rischia di legittimarla. Nessun racconto può ignorare un fatto: il Papa si è preso tutte le prerogative di un Papa-Re, ma così facendo ha messo a rischio la Santa Sede. Pur se abbia preso decisioni in buona fede, ha creato una situazione problematica e, per quanto riguarda lo stato di diritto, in alcuni casi inaccettabile. E questo è il punto di partenza necessario per qualsiasi analisi.

Questo articolo è stato pubblicato in inglese oggi, 8 novembre 2021 sul blog dell’autore Monday Vatican.

[*] Il Rescritto [dal latino “Rescriptum”, neutro sostantivato del participio passato di “rescribere” (rispondere per scritto)] è una delle fonti del diritto romano: la risposta su una determinata questione di diritto privato, che l’imperatore promulgava di propria iniziativa. I Rescripta andavano a regolare anche situazioni di contenzioso nel settore più propriamente privato. In pratica si tratta di una risposta data ad un quesito, attinente a questioni giuridiche, rivolto all’imperatore da parte di un privato o un pubblico funzionario. Queste risoluzioni imperiali, apposto in calce ad una istanza, divennero spesso fonti di diritto. In genere contenevano la clausola: “Si vera sunt ea quae complexus es” (Se sono vere le affermazioni che hai riassunto). Il Rescritto imperiale, che affrontava i problemi dal punto di vista generale, non si pronunciava sul merito della questione. Quindi il principio trovava applicazione nella fattispecie concreta, solo se i fatti riassunti nel quesito corrispondevano a verità [N.d.R.].

Corollario

Papa Francesco, legislatore nella crisi del diritto canonico
Un libro mette in luce l’attività legislativa di Papa Francesco, con tutti i problemi ad essa connessi. Il diritto canonico è arrivato alla sua corsa finale?
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 10 novembre 2021

Nel novembre 2013, l’arcivescovo Carballo, da poco nominato da Papa Francesco segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, raccontò in un convegno all’Antonianum di una conversazione avuta con Papa Francesco. Questi, nell’ambito di una conversazione sul calo delle vocazioni nelle congregazioni religiose e delle difficoltà che c’erano nel mantenerle attive secondo il diritto canonico, rispose: “E allora cambieremo il diritto canonico”.

Non si è andati così lontani. Se nel 2017, Il Regno notava che Papa Francesco avesse legiferato il 50 per cento in più di Benedetto XVI (e nella metà del tempo), oggi l’attività legislativa di Papa Francesco ha avuto il suo picco nel momento in cui è persino intervenuto a cambiare le norme di un processo in corso, con quattro rescritti ad hoc arrivati durante le indagini.

Una eccezione o un modus operandi? Un modus operandi, risponde Geraldina Boni, canonista esperta e dal 2011 consultore del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Boni ha delineato le caratteristiche del Papa Francesco legislatore in un volume, Finis Terrae per lo ius canonicum, disponibile in open access, che non manca accenti critici. L’occasione è quella di far nottare come il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi sia stato in pratica esautorato dai suoi compiti, estromesso dalle discussioni per le grandi riforme, utilizzato solo in rarissimi casi e quando si tratta di dare una copertura alle situazioni.

Quello di Boni, però, è un libro più ampio, che si configura come un vero e proprio grido di dolore, una presa di coscienza di un canonista (che però ne rappresenta molti altri) trovatasi di fronte a un Papa che fa le leggi e ha anche il coraggio di disfarsene, senza mantenere una omogeneità nelle decisioni.

È il problema di un fare legislativo accentratore, nota Boni, che ha messo da parte il ruolo del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, non più chiamato a dare le cosiddette interpretazioni autentiche delle leggi, i cui pareri su alcuni progetti vengono semplicemente non considerati. E il frutto di questa attività legislativa sono anche leggi più complesse e di più difficile lettura e interpretazione, che rende così la certezza della giustizia ancora più complicata.

Uno degli esempi è la questione dell’eventuale colpevolezza di negligenza dei vescovi sul tema degli abusi contenuto nel motu proprio “Come una madre amorevole” sulla lotta agli abusi, con la competenza delle decisioni “spostata” alle Congregazioni. Cosa che ha fatto sottolineare anche all’arcivescovo Giuseppe Sciacca, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura, che “statuire la competenza delle Congregazioni invece che quella di un Tribunale (che comunque dovrebbe giudicare ex commissione pontificia, attesa la competenza esclusiva del Romano Pontefice sui Vescovi in poenalibus) significa evidentemente lasciare alla discrezionalità del Dicastero sia la valutazione dei ‘seri indizi’ di negligenza, sia la stessa scelta di aprire il procedimento e i relativi tempi di svolgimento”.

E sempre Sciacca nota che “non si deve trascurare – prudenzialmente – la pericolosità insita nella possibilità di adoperare lo strumento in parola per usi distorti motivati da dissensi gravi nei confronti di un Vescovo o, addirittura, all’interno dell’episcopato di una regione”.

La citazione di Sciacca è una delle molteplici del poderoso apparato bibliografico che mostra che la preoccupazione di Boni non è quella di una studiosa isolata. Anzi, i canonisti più volte, in questi anni, in testi più o meno specialistici, hanno notato i rischi insiti in questo movimento riformatore che si è sostanziato nella riforma del processo della nullità matrimoniale, nelle riforme delle leggi per la lotta agli abusi, in varie altre attività che sono arrivate anche a toccare i processi attualmente in corso in Vaticano.

La domanda di fondo è dove siano finiti gli organismi di controllo. La lamentela è che il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi è stato in pratica messo da parte, così come tutto il diritto canonico, a favore di una legislazione centralizzata e che – spiega Boni – “coglie alla sprovvista la dottrina”. La preoccupazione è che, con la prevista derubricazione del Pontificio Consiglio ad “Ufficio” secondo alcune bozze della riforma della Curia circolate, il diritto canonico non abbia davvero più cittadinanza nell’attività legislativa del Papa. Ma, al di là delle tesi di fondo, è il quadro dipinto dallo studio che non può non suscitare alcune domande.

In questa situazione, c’è una certezza della giustizia? C’è una certezza del diritto? O tutto è invece affidato al legislatore supremo, che non esita ad “aggiustare” i suoi provvedimenti a seconda delle situazioni o quando questi non si rivelano consistenti con la cornice legale già posta in essere e in funzione?

Alla fine, è questa la domanda di fondo di Sant’Agostino: “Senza la legge, che cosa è lo Stato se non una banda di briganti?”.

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