Le comunità religiose, via per la pace. L’intervento della Santa Sede all’UNHCR

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Le comunità religiose, vie per la pace. In un intervento del 26 giugno di fronte all’Alto Commissario Onu per i rifugiati (UNHCR), Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU di Ginevra, sottolinea con preoccupazione che “negli ultimi dodici mesi il numero di persone” di competenza dell’Alto Commissario (ovvero i rifugiati) è aumentato.  Mette in luce che questo succede a causa di conflitti per la risoluzione dei quali non c’è volontà di dialogo. Ma allo stesso tempo plaude al fatto che l’UNHCR ha iniziato ad “esplorare il ruolo delle comunità di fede”, che sono “portatrici di protezione”.

 

In particolare in Siria – dove un sacerdote è stato di recente ucciso – c’è “una organizzazione cattolica internazionale cattolica” che sta “lavorando con più di venti comunità di fede, cattolici, ortodossi, protestanti e musulmani, per fornire cibo, medicine, un tetto e un supporto psicosociale a più di 100 mila persone a Damasco, Homs, Aleppo e nelle circostanti aree rurali”. I beneficiari di questa attività “sono soprattutto musulmani, perché la popolazione della Siria è in maggioranza musulmana”. Gli aiuti, infatti, sottolinea Tomasi, “non sono distribuiti a seconda del credo, ma a seconda del bisogno. È un caso di siriani che aiutano altri siriani”.

Perché le comunità religiose sono così importanti? Prima di tutto, perché non sono soggette – spiega Tomasi – alle regole dello UNDSS (il dipartimento Onu che si occupa della sicurezza del proprio staff nel mondo) né “alle tattiche della politica che spesso impediscono la distribuzione di assistenza”. Le comunità religiose “non sono parte del conflitto, ma cercano di servire i bisogni di altri non combattenti che soffrono”.

La Santa Sede sottolinea la necessità che il legame tra questi gruppi e l’UNHCR “sia rafforzato, in modo da raggiungere meglio il mandato di protezione”.

La situazione generale è difficile. L’osservatore permanente plaude al contributo di Giordania, Libano, Turchia e Iraq, che hanno ricevuto più di un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria, facendo fronte a un notevole sforzo economico. Vero, la comunità internazionale ha fatto molto. Ma “c’è ancora bisogno” di fondi, e il rischio – sottolinea la Santa Sede – è che focalizzarsi troppo sull’emergenza siriana porti a una restrizione di servizi di protezione in altre parti del mondo. “Un bambino malato che ha bisogno di medicine in un campo di rifugiati in Zambia – dice Tomasi – non è differente da un bambino malato che ha bisogno di medicine a Damasco o ad Amman. Entrambi sono in situazione di bisogno ed entrambi meritano protezione, perché la vita di tutti è preziosa”.

C’è un’altra questione messa sul tavolo dalla delegazione della Santa Sede: l’accesso allo spazio di protezione. Giordania, Libano, Turchia e Iraq fanno ricordare “la loro volontà di permettere ai forestieri di entrare nel loro territorio per la protezione”. Sono nazioni che mostrano “la strada al resto della comunità internazionale”, perché le “generose politiche adottate e implementate da queste nazioni” non devono solo essere ammirate, ma anche emulate. Allo stesso tempo, la Santa Sede chiede all’UNHCR di “espandere lo spazio per il primo asilo e lo spazio per il re insediamento e altre soluzioni durevoli”.

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