“Il Figlio dell’Uomo troverà la fede sulla nostra terra?” Ecclesia in Europa, dieci anni dopo

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Lo scorso 24 giugno il Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione Europea ha adottato le linea guida UE sulla libertà di religione e di credo. Un passaggio salutato con un benvenuto dalla Commissione Chiesa e Società del Consiglio delle Chiese Europee, le quali avevano sostenuto, durante il processo di stesura delle linee guida, che i diritti umani di tutte le persone e tutte le nazioni partono dal presupposto che la libertà di religione o di fede è inalienabile. Ed è una ironia del destino che la risoluzione sia stata approvata quattro giorni prima del decennale della Ecclesia in Europa, l’esortazione post-sinodale di Giovanni Paolo II. Riletta oggi, sembra essere una fotografia non della realtà di allora, ma di quella di oggi. Una delle rare foto in cui lo scatto ritrae il futuro, e non solo il presente.

Ci erano voluti quattro anni e 130 pagine di testo perché Giovanni Paolo II tirasse le conclusioni del sinodo dei vescovi del 1999 sull´Europa. Il 28 giugno 2003, finalmente fu consegnata l’esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa, in cui il Papa leggeva la situazione della Chiesa in Europa alla luce dell’Apocalisse. Perché, come tra le sette Chiese dell´Apocalisse ve ne furono di povere di fede, lo stesso accade – diceva Papa Giovanni Paolo II – per le Chiese dell´Europa d´oggi.

Scriveva Giovanni Paolo II: “´Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?´ (Lc 18, 8). La troverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? È un interrogativo aperto che indica con lucidità la profondità e drammaticità di una delle sfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare”.

C’era, ovviamente, anche largo spazio al tema della libertà religiosa. Tema che negli ultimi tempi è diventato preponderante, tanto che lo scorso anno la Santa Sede ha dovuto inviare una nota per spiegare che le comunità religiose non sono zone di non diritto, ma spazi di libertà.

La Chiesa – scriveva Giovanni Paolo II – chiede libertà religiosa, e ribadisce “che la reciprocità nel garantire la libertà religiosa sia osservata anche in Paesi di diversa tradizione religiosa, nei quali i cristiani sono minoranza”.  E per questo “si comprende la sorpresa e il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l’unica ammessa e promossa”.

Ma l’Ecclesia in Europa parla prima di tutto di evangelizzazione. E sottolinea persino che il problema non è la nuova evangelizzazione dei territori un tempo cristiani, ma addirittura la prima evangelizzazione. “È compito urgente della Chiesa offrire nuovamente agli uomini e alle donne dell’Europa il messaggio liberante del Vangelo”, scriveva Giovanni Paolo II.

Più che un’enciclica, una profezia. Giovanni Paolo II segnalava i “numerosi segnali preoccupanti che all’inizio del terzo millennio agitano l’orizzonte del continente europeo”. Prima di tutto,  “lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane” accompagnato «da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale, come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia”. È questo smarrimento che oggi impedisce di riconoscere che il cristianesimo è l’unico motivo che ha costituito nei secoli un’idea unitaria di Europa.

“Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza. E non pochi cristiani condividono questi stati d’animo” e questo provoca “una sorta di paura nell’affrontare il futuro”, segnalata dal “il vuoto interiore che attanaglia molte persone, e la perdita del significato della vita” che si rivela “nella paura di fare figli e nel rifiuto di impegni definitivi, nel sacerdozio come nel matrimonio”.

Scriveva Giovanni Paolo II: se non c’è un luogo, come la fede vissuta, che costituisce il centro dell’esistenza, il nucleo del proprio cuore, “l’esistenza diventa frammentaria” e ci si rinchiude su di sé o nel proprio gruppo, e nascono i fenomeni che oggi tutti osserviamo: “razzismo, egocentrismo, conflitti etnici, una generale indifferenza etica e una cura spasmodica per i propri interessi e privilegi”. Si assiste a una globalizzazione “che invece di indirizzare verso una più grande unità del genere umano, rischia di seguire una logica che emargina i più deboli e accresce il numero dei poveri della terra”. E con il diffondersi dell’individualismo, c’è «un crescente affievolirsi della solidarietà inter-personale e molte persone si sentono più sole, lasciate in balia di se stesse, senza reti di sostegno affettivo”.

Eccola, l’Europa descritta da Wojtyla, dove nemmeno si discute più e per questo “si è aperto un vastissimo spazio per il libero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gnoseologico e morale, del pragmatismo e dell’edonismo cinico nella configurazione della vita quotidiana”. Il tutto senza drammi, senza conflitti interiori, anzi dando al cristianesimo quel rispetto sociale che permette di imbrigliarlo in categorie conosciute. Ma senza lasciarsi interrogare. È una specie di “apostasia silenziosa”.

Cosa può offrire la Chiesa? Offre la fede in Gesù Cristo e una speranza che “non si fonda su un’ideologia utopistica”. E poiché le istituzioni europee hanno per scopo dichiarato la tutela dei diritti della persona umana, il Papa chiedeva ai responsabili di “alzare la voce quando sono violati i diritti umani dei singoli, delle minoranze e dei popoli, a cominciare dal diritto alla libertà religiosa; di riservare la più grande attenzione a tutto ciò che riguarda la vita umana dal suo concepimento fino alla morte naturale e la famiglia fondata sul matrimonio”. E chiedeva di “affrontare secondo giustizia ed equità e con senso di grande solidarietà il crescente fenomeno delle migrazioni, rendendole nuova risorsa per il futuro europeo, e di fare ogni sforzo perché ai giovani venga garantito un futuro veramente umano con il lavoro, la cultura, l’educazione ai valori morali e spirituali”.

Per tutto questo “è necessaria una presenza di cristiani, adeguatamente formati e competenti, nelle varie istanze e Istituzioni europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici e attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò, conforme al bene comune”.

Sono parole da rileggere ancora oggi. L’Europa, ormai senza radici, ha vinto persino un Nobel per la pace. E nel frattempo il cristianesimo viene sempre più relegato ai margini della società, quasi senza diritto di parola.

La risoluzione sulla libertà religiosa forse è un piccolo passo verso una nuova attenzione nei confronti delle religioni. Scrive il Consiglio delle Chiese Europee che grazie a queste linee guida, le Chiese, le comunità religiose e gli individui fuori dai confini europei possono fare rapporto riguardo la libertà religiosa o le violazioni del credo alle delegazioni UE di nazioni terze. E, come risultato delle violazioni riportate, l’UE può prendere posizione attraverso i meccanismi a sua disposizione”. Tra questi, il porre la questione della libertà religiosa o delle violazioni sul credo in dialoghi bilaterali.

Questa è forse uno spiraglio per superare la minacce contro libertà religiosa e contro la libertà di coscienza in Europa (e in questo senso c’era già stata un’altra risoluzione). Ma a questo deve aggiungersi la vita nel Vangelo. Lo diceva Giovanni Paolo II. È un appello ancora drammaticamente attuale. Altrimenti, quale fede troverà il figlio dell’uomo in Europa?

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