A Tolentino inaugurata un’area dedicata alle ‘Aquile Randagie’

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Nella parrocchia ‘Santa Famiglia’ di Tolentino, in provincia di Macerata, è stata attrezzata dai gruppi Agesci un’area con altare, ambone, edicola, croce e alzabandiera, dedicata alle ‘Aquile Randagie’, in occasione del 75^ anniversario della nascita dello scoutismo in città, a cui è intervenuta Elisa Cella, componente della fondazione Baden.

Infatti quello dello scoutismo clandestino è una lunga storia di resistenza, passione e fedeltà all’ideale che ancora oggi continua a destare fascino e ammirazione. Ed ha spiegato le ‘Aquile randagie’:

“Le Aquile randagie erano un gruppo di scout che durante il ventennio fascista hanno fatto le proprie attività clandestinamente; quindi si sono nascosti dai fascisti e dalle persone che non volevano che l’associazione continuasse.

Essi continuarono a fare le loro attività ed è bello che ci sia quest’area attrezzata che è memoria storica di quello che è stato. Il fatto che noi siamo qui oggi è grazie al loro coraggio. E’ bello che dopo tutte le difficoltà legate alla pandemia siamo qui a raccontare questa storia”.

Ma chi erano questi giovani che componevano il gruppo?

“Erano coraggiosi e forti ma si sentivano normali, si sentivano ed erano scout fino al midollo e non potevano abbandonare la loro promessa. Anche a fronte delle richieste pressanti di adulti, di educatori di cui si fidavano. Ragazzi intraprendenti accompagnati da qualche sparuto adulto, come il ‘bad boy’ Kelly, ma in fondo supportati anche da molte complicità coraggiose.

Ragazzi con l’uniforme tatuata nell’anima, mentre il mondo andava in un’altra direzione. Mentre si invocava prudenza a volte, al limite della pavidità, i ragazzi sapevano che potevano conquistare il mondo, o almeno lo sognavano, e in qualche modo l’hanno fatto”.

Cosa significava per questi ragazzi essere clandestini?

“Lo scoutismo clandestino affonda le sue radici all’interno del dualismo presente in Italia tra stato fascista e Chiesa cattolica. Mussolini dopo il discorso del 3 gennaio 1925 cominciò il processo che portò negli anni successivi alla promulgazione delle leggi fasciste. Così definite perché furono i passaggi legali per istituire in Italia la dittatura.

Al contempo il Duce era molto attento al profilo internazionale che il suo Governo assumeva: in questa direzione si prodigò per raggiungere un accordo con la Chiesa. Il papa infatti si rinchiuse in Vaticano dopo l’unità di Italia e, per circa 60 anni non vi fu mai un accordo volto a regolare la vita della Chiesa all’interno dello Stato italiano, nonostante qualche iniziativa personale di qualche singolo prelato.

I governi in Italia si susseguirono senza risolvere questo stallo diplomatico. La Chiesa era stata per secoli l’unica entità in grado di accomunare la vita degli italiani: l’Italia, pur con non poche difficoltà, era unita politicamente e territorialmente, ma mancava ancora la soluzione a questo annoso problema.

L’avvento del fascismo, prima con il fenomeno dello squadrismo, parve complicare questa coesistenza: vi erano stati piccoli conflitti locali tra cattolici e fascisti. Il caso più eclatante fu quello di don Minzoni, ucciso ad Argenta nel 1923 in un agguato squadrista”.

E perchè divennero ‘Aquile randagie’?

“A Milano diversi ragazzi si radunarono attorno a Giulio Cesare Uccellini e Virgilio Binelli, coadiuvati dapprima da mons. Merisi; poi, alla sua morte, da don Enrico Violi, per tenere accesa la fiamma dello scautismo. Nell’aprile del 1928 invece di consegnare le fiamme in arcivescovado, cominciarono le attività scout clandestine con la cerimonia di una promessa, opponendosi al divieto imposto dal regime.

Al nucleo iniziale si aggiunsero presto nuove leve tra cui spiccavano i fratelli Ghetti, Andrea il più grande, allora sedicenne, e Vittorio ancora bambino. Il ruolo di Andrea fu determinante fin dall’inizio: non appena si scoprì che a Monza, attorno a Beniamino Casati, si erano radunati altri scout che volevano continuare nonostante il divieto di legge, il futuro don Ghetti si prodigò immediatamente per mantenere i contatti con gli scout monzesi facendo la spola da Milano in bicicletta”.

Da dove deriva questo nome?

“Questo nome è un po’ particolare. ‘Aquile’ perché volarono sempre alto;  ‘Randagie’ perché non avevano una sede. Quindi volavano un po’ di qua e  un po’ di là: erano randagie. Questo è un bellissimo nome. Infatti in seguito agli avvenimenti appena descritti decisero di chiamarsi ‘Aquile Randagie’: Aquile, uno dei nomi delle prime squadriglie di BP e randagie perché non ave[1]vano un ritrovo fisso”.

Perché si erano proposti di resistere ‘un giorno in più’?

“Questo era il loro motto: ‘Resistere un giorno in più del fascismo’. Quando siamo entrati in questa pandemia, abbiamo detto di resistere anche noi un giorno in più del Covid-19. Così faremo: combattendo e resistendo”.

Perché scelsero la Val Codera?

“Ci sono due luoghi significativi per lo scautismo clandestino, Colico e la Val Codera, che sono ancora oggi meta di campi e di uscite. Entrambi sono luoghi che educano per come sono conformati: obbligano i visitatori a faticare, non sono dei luoghi accoglienti per natura, lo diventano per il sapore di quello che raccontano e di cui sono stati teatro.

L’ospite delle Aquile Randagie, l’avvocato Osio aveva concesso l’uso del terreno, perché aveva conosciuto don Andrea Ghetti come insegnante di uno dei suoi figli. I due avevano condiviso lo spirito antifascista, da cui nacque il connubio tra la famiglia Osio e lo scautismo: il figlio Chicco partecipò ad alcuni campi delle Aquile randagie. Per questo le Aquile Randagie si trovarono a vivere in questo luogo il loro campo estivo del 1943”.

Uno scout era pure don Giovanni Minzoni: “Don Minzoni è stato un personaggio molto particolare, perché lottò per i diritti di uno scoutismo come metodo. E fu ucciso per questo. Ma è rimasto il suo ‘segno’, che ancora oggi, come per le ‘Aquile randagie’, siamo in grado di ricordarlo.

Da una sua meditazione agli scouts, datata 12 giugno 1923, sappiamo che don Minzoni considerava il movimento, non come una semplice e sia pur simpatica iniziativa di tempo libero o di seria ricreazione, ma come la pietra angolare del programma di ricostruzione morale che egli vuol realizzare nella sua parrocchia.

Don Minzoni aveva capito che lo scoutismo non è solo una via a Dio, ma una scuola di carattere: Senza Dio non si sostiene né famiglia né società. Lo scoutismo vuole che il giovane venga a questa grande realtà: sentire Iddio, conoscerlo, comprenderlo, studiarlo, amarlo, servirlo”.

(Foto: Stefano Della Ceca)

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