Le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa fondata da Gesù Cristo. Una Chiesa della Fede e un piccolo gregge di credenti nella Verità che rende liberi

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Piuttosto di essere sorpresi dalle cose che Jorge Bergoglio sostiene e afferma, dichiara e scrive, dovrebbe sorprendere di più osservare quante persone lo difendono, nonostante si può costatare tutta la colossale distruttività che dice e fa. Perché coerentemente con la sua affermazione che l’aborto è omicidio, il Sommo Pontefice della Chiesa Universale nonché Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ricevendo in Udienza privata il Presidente degli Stati Uniti d’America (e come tale promotore dell’aborto, quindi dell’omicidio di bambini non ancora nati) – così ha esternato quest’ultimo – che è un “buon cattolico”, invece di esortargli di convertirsi e di non peccare più e – come riferisce sempre Biden – che può ricevere la Santa Eucaristia. E la Santa Sede non conferma (perché si tratta di un incontro privato tra Bergoglio e Biden), ma non smentisce neanche queste affermazioni attribuite dal Presidente Biden a Papa Francesco. Un silenzio assordante ancora più grave delle indiscrezioni.

Ma è così che si vede come è il modus operandi del Papa regnante. L’ha spiegato in modo chiaro Andrea Gagliarducci [Perché il problema Biden non è pastorale ma politico e la comunicazione della Santa Sede – 2 novembre 2021]. Così, dalla pace di Benedetto XVI siamo finiti dritti nella guerra di Francesco, che da buon gesuita è innanzitutto un politico. Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI ha profetizzato già mezzo secolo fa, ancora teologo “semplice”, come la Chiesa Cattolica Romana superstite sarà: una gregge piccola e povera [La profezia di Ratzinger del 1969 sul futuro di una «Chiesa della Fede» e «quel piccolo gregge di credenti» – 8 ottobre 2021].

Sulla distruzione in atto condividiamo di seguito due articoli.

Il primo articolo dal titolo Francesco supremo legislatore? No, affossatore del diritto, a firma del vaticanista di lunga corsa e impossibile di ignorare, Sandro Magister, pubblicato ieri 2 novembre 2021 sul suo blog Settimo Cielo, tratta di due temi: in primis affronta la farsa del sinodo planetario sulla sinodalità (manca poco per non definirlo interstellare). Il mastodontico piano strategico sinodale di Bergoglio si traduce in due anni di dispute in sinodi locali e poi decide comunque solo lui, dopo un Sinodo dei Vescovi abilmente orchestrato sempre da lui, come ha sempre fatto [*]. Poi, Magister dimostra come il supremo legislatore Francesco agisce come affossatore del diritto, canonico e non solo.

Il secondo articolo è ripreso dal blog argentino Caminante Wanderer del 30 ottobre 2021, nella traduzione italiana dallo spagnolo a cura di Valentina Lazzari per il blog Duc in altum di Aldo Maria Valli, dal titolo Lo sbirro. Ovvero quelle analogie tra la Chiesa di oggi e l’Unione Sovietica. Dopo aver trattato della compressione della liturgia vetus ordo ad opera di Papa Francesco, il Caminante conclude: «Non so fino a che punto siamo consapevoli dello stato terminale in cui versa la Chiesa Cattolica. Sappiamo che è stata fondata da Gesù Cristo e che le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Ma non sappiamo lo stato in cui sopravvivrà. Il mio timore è che, se Francesco rimarrà ancora per molto sul soglio petrino, accadrà quello che è successo con l’Unione Sovietica. Forse siamo già sull’orlo di una débâcle».

Il Vangelo secondo Matteo ci racconta l’episodio del Signore che chiese ai suoi discepoli, chi pensavano che lui fosse. Allora Simone rispose: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” e Gesù disse: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 17-19).

La domanda è, cosa l’attuale Successore di Pietro e Vicario di Cristo ha fatto con queste chiavi del Regno dei Cieli e cosa ha ancora intenzione di farne nei tempi a venire.

Francesco supremo legislatore? No, affossatore del diritto
di Sandro Magister
Settimo Cielo, 2 novembre 2021


Il 10 ottobre Francesco ha messo in moto un mastodontico sinodo sulla sinodalità, come a voler dare per la prima volta la parola all’intero popolo di Dio. Subito però ha fatto sapere – per bocca del segretario generale del sinodo, cardinale Mario Grech – che una volta arrivati al documento finale non è detto che lo si debba votare. Alla conta dei voti si ricorrerà solo in casi estremi, “come istanza ultima e non desiderata”. In ogni caso per poi consegnare il documento al papa, che ne farà ciò che vuole.

Che questa prassi da partito leninista sia la sinodalità vagheggiata da Jorge Mario Bergoglio non è una sorpresa, visto lo sfrenato assolutismo monarchico con cui governa la Chiesa, senza paragoni con i papi che l’hanno preceduto.

Di questo assolutismo le prove più schiaccianti sono fin qui almeno due. La prima risaputa, la seconda meno.

La prova risaputa è data dal modo con cui Francesco ha pilotato i tre precedenti sinodi e in particolare quello sulla famiglia, stando anche a ciò che candidamente rivelò, a operazione conclusa, il segretario speciale di quell’assise, l’arcivescovo Bruno Forte.

Era il 2 maggio 2016 e Forte, parlando nel teatro della città di Vasto, riferì così la risposta che gli aveva dato Francesco alla vigilia del sinodo, alla sua domanda su come procedere sulla questione scottante della comunione alle coppie illegittime: “Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi [cioè i cardinali e vescovi contrari – ndr] non sai che casino ci combinano! Allora non parliamone in modo diretto, tu fai in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io”.

Dopo di che Forte commentò, tra i sorrisi del pubblico: “Tipico di un gesuita”.

Mal gliene incolse. Quel dotto arcivescovo che fino ad allora era stato tra i prediletti di papa Francesco ed era avviato a un folgorante coronamento di carriera, da quel giorno cadde in disgrazia. Il papa calò una croce su di lui. Non lo chiamò mai più vicino a sé, non gli affidò più alcun ruolo di fiducia, né come consigliere né come esecutore, lo cancellò come suo teologo di riferimento, si guardò bene dal promuoverlo a prefetto della congregazione per la dottrina della fede, oppure a presidente della conferenza episcopale italiana, né tantomeno, lui napoletano di nascita, ad arcivescovo di Napoli e cardinale.

E questo solo per aver detto la pura verità, come ricostruito con maggiori dettagli in questo post di Settimo Cielo: Sinodalità fasulla. È solo Francesco che comanda, a modo suo.

L’altra prova, quella meno risaputa ma non meno grave, dell’assolutismo monocratico con cui Francesco governa l’orbe cattolico, è data dalla quantità abnorme di leggi, decreti, ordinanze, istruzioni, rescritti da lui emanati sulle materie più disparate. Abnorme non solo per il numero dei provvedimenti – arrivati in pochi anni a molte decine – ma più ancora per come sta riducendo in macerie l’architettura giuridica della Chiesa.

Una rassegna ragionata della babele giuridica creata da papa Francesco è in un recente volume documentatissimo, con un imponente apparato di note, di Geraldina Boni, docente di diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Bologna, un volume (di libera lettura in rete) che già nel titolo esprime un giudizio severo: “La recente attività normativa ecclesiale: ‘finis terrae’ per lo ‘ius canonicum’?”.

La professoressa Boni, già nota ai lettori di Settimo Cielo, non appartiene al campo avverso, tutt’altro. È stata nominata nel 2011 da Benedetto XVI consulente del pontificio consiglio per i testi legislativi e ha “elaborato passo passo” questo volume “attraverso un continuo confronto con il professor Giuseppe Dalla Torre”, giurista insigne e fedelissimo alla Chiesa, suo maestro e predecessore all’Università di Bologna nonché presidente dal 1997 al 2019 del tribunale dello Stato della Città del Vaticano, prematuramente scomparso il 3 dicembre 2020 per complicazioni da Covid.

A scorrere le pagine di questo libro, il quadro che se ne ricava è di devastazione.

Il primo colpo è dato dalla quasi totale emarginazione del pontificio consiglio dei testi legislativi dai compiti che gli competono, in primo luogo quello di “assistere il sommo pontefice quale supremo legislatore”.

Statutariamente deputato ad elaborare e a controllare ogni nuova normativa vaticana e composto da ecclesiastici di provata competenza canonica, con papa Francesco il pontificio consiglio non conta praticamente più nulla e viene a sapere di ogni nuova norma alla pari di ogni comune mortale, a cose fatte.

A elaborare i testi di ogni nuova norma sono effimere commissioni create “ad hoc” ogni volta dal papa, di cui quasi mai si conoscono i componenti e quando talvolta qualche nome trapela si scopre che è di mediocre o nessuna preparazione giuridica.

Il risultato è che ogni nuova norma, maggiore o minore, quasi sempre provoca uno sbandamento interpretativo e applicativo, che spesso dà origine a una successiva disordinata sequenza di modifiche e correzioni, a loro volta foriere di ulteriore confusione.

Uno dei casi più emblematici è quello della lettera apostolica in forma di motu proprio “Mitis iudex dominus Iesus” con cui Francesco ha voluto facilitare i processi di nullità dei matrimoni.

Una prima stranezza è la data del motu proprio, pubblicato a sorpresa il 15 agosto 2015, nell’intervallo tra la prima e la seconda sessione del sinodo sulla famiglia, come per dare volutamente il via a una quasi generalizzata prassi di dichiarazioni di nullità indipendentemente da che cosa il sinodo avrebbe potuto dire in materia.

Un secondo elemento negativo è l’alto numero di errori materiali nelle versioni del motu proprio in lingue volgari, in assenza del testo latino di base “risultato reperibile addirittura sei mesi dopo l’entrata in vigore della legge”.

Ma il disastro è stato soprattutto di sostanza. “Insieme all’iniziale panico degli operatori dei tribunali ecclesiastici – scrive la professoressa Boni – è dilagata una confusione davvero disdicevole. Atti normativi con ‘addenda’ e ‘corrigenda’ di equivoco valore giuridico, provenienti da vari dicasteri romani – anche circolanti clandestinamente – ed alcuni altresì riconducibili allo stesso sommo pontefice, oltre che prodotti da atipici organismi creati per la circostanza, si sono incrociati con l’esito di acutizzare ulteriormente la situazione già di per sé caotica. […] Un guazzabuglio in cui anche i tribunali apostolici si sono ‘riciclati’ quali autori di norme a volte discutibili, e organismi sedenti a Roma a poche decine di metri di distanza hanno impartito istruzioni tra loro dissonanti”.

Ne è scaturita una selva di interpretazioni e di sentenze discordanti, “a discapito dei malcapitati ‘christifideles’, i quali hanno se non altro il diritto a un eguale giusto processo”. Con l’effetto disastroso che “ad essere sacrificato è il raggiungimento di un’autentica certezza da parte del giudicante sulla verità del matrimonio, minandosi quindi quella dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo, di cui la Chiesa, con a capo il successore di Pietro, è depositaria”.

Un altro affastellarsi disordinato di norme ha avuto a che fare con la lotta agli abusi sessuali, che cedendo a “pressioni mediatiche davvero ossessive” ha finito col sacrificare “diritti indisponibili quali il rispetto dei capisaldi della legalità penale, dell’irretroattività della legge penale, della presunzione di innocenza e del diritto alla difesa, oltre che del diritto al giusto processo”. La professoressa Boni cita a proprio sostegno un altro importante canonista, monsignor Giuseppe Sciacca, segretario del supremo tribunale della segnatura apostolica, la corte suprema vaticana, che anche lui ha denunciato il cedimento in questa materia a “una giustizia sommaria”, se non a “tribunali di fatto speciali, con tutte le conseguenze, gli echi sinistri e le tristi memorie che ciò comporta”.

È un disordine normativo che minaccia anche qui di intaccare i capisaldi della fede cattolica, ad esempio quando fa obbligo di denunciare alle autorità dello Stato alcuni delitti contro il sesto comandamento. Male formulato e male interpretato, tale obbligo appare difficilmente conciliabile “con i vincoli al segreto che astringono i chierici, taluni dei quali – e non solo quello riconducibile al sigillo sacramentale – assolutamente infrangibili”. E questo “in un momento storico peculiare, in cui la riservatezza delle confidenze ai sacerdoti è posta ferocemente sotto assedio in vari ordinamenti secolari, in violazione della libertà religiosa”. I casi dell’Australia, del Cile, del Belgio, della Germania e da ultimo della Francia ne sono una prova.

Il volume esamina e critica a fondo numerosi altri atti normativi prodotti dall’attuale pontificato, dalla riforma in corso della curia romana alle nuove regole imposte ai monasteri femminili o alle traduzioni dei libri liturgici. In particolare denuncia il ricorso frequentissimo, da parte dell’uno o dell’altro dicastero della curia vaticana, alla “approvazione in forma specifica” del papa di ogni nuova norma emessa dallo stesso dicastero. Questa clausola, che esclude qualsiasi possibilità di ricorso, è stata usata in passato “davvero raramente, e per casi comunque contrassegnati da massima gravità ed urgenza”. Mentre ora gode di un uso generalizzato, “inducendo un’apparenza di immotivata arbitrarietà e ponendo a repentaglio diritti fondamentali dei fedeli”.

Insomma, il volume è tutto da leggere e da meditare, come ha fatto di recente su “Il Regno”, in quattro pagine dense, Paolo Cavana, professore di diritto canonico ed ecclesiastico alla Libera Università Maria Santissima Assunta di Roma e anche lui discepolo di Giuseppe Dalla Torre, che di questa università fu rettore.

Si noti che “Il Regno” è la più nobile delle riviste cattoliche di segno progressista edite in Italia, non sospetta di avversione a papa Francesco.

Eppure ecco che cosa scrive Cavana, a conclusione della sua recensione del volume della professoressa Boni: “C’è da chiedersi quali siano le ragioni profonde di una simile deriva, che appare del tutto inusuale nella Chiesa cattolica, la quale ha conosciuto sempre al suo interno tendenze antigiuridiche, ma non al livello del legislatore supremo”, ossia del papa. “Nella produzione legislativa di questo pontificato il diritto tende a essere percepito prevalentemente come fattore organizzativo e disciplinare, cioè sanzionatorio, e sempre in funzione strumentale rispetto a determinate scelte di governo, non anche come fondamentale strumento di garanzia dei diritti (e dell’osservanza dei doveri) dei fedeli”.

Non potrebbe essere meglio definito l’assolutismo monarchico che contrassegna il pontificato di Francesco, a dispetto dell’alluvione di parole sulla sinodalità.

Lo sbirro. Ovvero quelle analogie tra la Chiesa di oggi e l’Unione Sovietica
Caminante Wanderer, 30 ottobre 2021

Traduzione italiana dallo spagnolo a cura di Valentina Lazzari per il blog Duc in altum di Aldo Maria Valli

Negli anni Settanta ebbe una certa diffusione il libro di Sergei Kourdakov Perdonami, Natasha, nel quale l’autore racconta la sua vita. È un giovane russo, educato e cresciuto nelle scuole statali e negli orfanotrofi bolscevichi. Grazie alla sua tenacia, al coraggio, all’ambizione e alla capacità di leadership, è messo a capo della Lega della gioventù comunista in tutte le città in cui ha vissuto. Essendo un cadetto di spicco della scuola navale russa nella città di Kamchatka, è reclutato come capo di altri venti giovani, per prendere il comando di una speciale divisione di polizia che perseguiterà gruppi di credenti, cioè di cristiani sotterranei. Il capo della polizia, Dimitri Nikoforov, gli passa l’informazione, Sergei raduna i suoi compagni e, al momento più opportuno, fa irruzione nelle riunioni cristiane, picchiando brutalmente, talvolta uccidendo i partecipanti, distruggendo la casa dove si svolge l’incontro e sequestrando la letteratura religiosa. Con l’impeto che gli danno le sue convinzioni comuniste, l’alcol che beve prima di partire e la paga di venticinque rubli per ogni retata, Kourdakov fa così più di centocinquanta irruzioni.

Da buon conoscitore della dottrina comunista, Kourdakov sa che Lenin e i suoi teorici hanno spiegato che la religione è un elemento destinato a sopravvivere in Unione Sovietica solo per qualche anno per poi lentamente scomparire, giacché è tipico delle persone anziane, attaccate alle loro usanze. Tuttavia, a poco a poco, inizia a rendersi conto che il fenomeno anziché diminuire sta aumentando e, cosa ancora più sorprendente, riguarda i giovani. Nel 1969 e nel 1970 gli incontri che deve sgominare sono infatti in gran parte costituiti da giovani. E anche se ricevono percosse che arrivano a sfigurarli, lo sbirro continua a incrociare i medesimi volti.

Pur consapevole delle conseguenze del suo gesto, Sergei decide a un certo punto di lasciare il suo ruolo di sbirro della polizia sovietica. Ed è così che, oramai ufficiale di marina, in una notte di tempesta riesce a fuggire dalla nave su cui è imbarcato e a nuotare fino alla costa canadese, dove viene accolto a malincuore. Si trasferisce negli Stati Uniti e lì si dedica alla scrittura e alla narrazione della sofferenza reale della vita dietro la cortina di ferro. Non dura a lungo. Nel 1973 muore misteriosamente: un colpo di pistola.

Mentre leggevo il libro, non potevo fare a meno di stupirmi delle grandi somiglianze che un evento storico tragico quanto effimero, come quello dell’Unione Sovietica, ha con quanto sta accadendo oggi nella Chiesa cattolica. E sotto più di un profilo.

I teorici del Vaticano II e delle sue floride primavere ci hanno detto e continuano a raccontarci che il grande evento, come la Rivoluzione russa, segna un prima e un dopo nella storia della Chiesa. E che la riforma liturgica, frutto squisito di quel Concilio, non solo è definitiva, ma è la cosa migliore che potesse capitare alla Chiesa. Proprio come ai gerarchi comunisti importava molto poco ciò che la realtà diceva sulla situazione reale nel loro Paese, ai vescovi cattolici importa altrettanto poco che le loro chiese siano vuote, che sempre meno Cattolici vadano a Messa e che le funzioni siano frequentate solo da persone anziane. Nonostante un fallimento così palese ed evidente, continuano a proclamare le bontà nascoste – davvero ben nascoste – della liturgia riformata.

Papa Francesco e i suoi corifei ci ripetono più e più volte che la liturgia tradizionale è permessa, o era permessa, soltanto per accompagnare il piccolo gruppo di fedeli ancora attaccati, per età o sensibilità, alla liturgia in latino. Si presentano come genitori magnanimi e pazienti nei confronti dei loro fedeli più svantaggiati nello sviluppo maturativo e incapaci di quella crescita personale che ci si aspetta da un adulto, quasi fossero di figli con differenti tipologie di disabilità. E assicurano che, quando vedranno i benefici e le delizie della liturgia riformata, anche questi figli svantaggiati lasceranno le vecchie abitudini ed entreranno pienamente nella nuova e splendente era liturgica.

Ma a Bergoglio, e a molti vescovi, specialmente quelli italiani, è successo come a Dimitri Nikoforov, il capo della polizia della Kamchatka: hanno scoperto con orrore che i risultati non sono quelli sperati e che coloro che assistono alle riunioni dei credenti, nel nostro caso alla Messa tradizionale, non sono dei disadattati, ma sono soprattutto giovani, sani e normali. E vi assistono assieme alle loro famiglie, avviando i figli a tali abitudini pericolose.

Anche la soluzione adottata da Papa Francesco è analoga a quella di Nikoforov: distruggere i credenti tradizionalisti. Non lo fa, ovviamente, mandando gli sbirri per riempirli di botte, ma vietando la liturgia tradizionale attraverso un documento.

L’Unione Sovietica degli anni Settanta era governata da Leonid Brézhnev, personaggio piuttosto limitato e grottesco, erede degli anni peggiori di Stalin, che preparò le condizioni necessarie perché l’Unione Sovietica crollasse e scomparisse pochissimi anni dopo la sua morte. Analogamente, la Chiesa Cattolica di oggi è un’istituzione governata da una gerontocrazia che rifiuta di vedere la realtà di ciò che sta accadendo. E ha come leader massimo un personaggio grottesco proprio come Brézhnev, con l’aggravante che il passare degli anni e le malattie l’hanno scatenato, e sembra che sia ormai fuori controllo. Quello che dice e fa Papa Francesco in queste settimane va oltre il calcolo di qualsiasi analista o profeta. E nessuno lo può fermare. Ne è la prova la scandalosa udienza concessa al senile Biden.

Non so fino a che punto siamo consapevoli dello stato terminale in cui versa la Chiesa Cattolica. Sappiamo che è stata fondata da Gesù Cristo e che le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Ma non sappiamo lo stato in cui sopravvivrà. Il mio timore è che, se Francesco rimarrà ancora per molto sul soglio petrino, accadrà quello che è successo con l’Unione Sovietica. Forse siamo già sull’orlo di una débâcle.

[*] La “Mafia di San Gallo”. Un libro di Julia Meloni
di Roberto de Mattei
Corrispondenza Romana, 3 novembre 2021


Chi vuole comprendere che cosa c’è dietro il Sinodo sulla sinodalità aperto il 10 ottobre da papa Francesco non può fare a meno del libro appena pubblicato di Julia Meloni, The St. Gallen Mafia (TAN, 2021) che ne rintraccia le premesse storiche ed ideologiche.

La lettura di questo libro è appassionante come un romanzo, ma tutto vi è documentato secondo un rigoroso metodo storico. Questo aspetto merita di essere sottolineato in un momento in cui certe teorie cospirative sono esposte in maniera superficiale e talvolta fantasiosa. Per supplire alla mancanza di prove, queste teorie utilizzano la tecnica di una narrazione, che fa presa sulle emozioni, più che sulla ragione, e conquista chi, con un atto di fede, ha già deciso di credere all’inverosimile. Julia Meloni racconta invece la storia di una cospirazione reale, di cui espone accuratamente il fine, i mezzi, i luoghi, i protagonisti. E’ la storia della “Mafia di San Gallo”, come la definì uno dei suoi principali esponenti, il cardinale Godfried Daneels (Karim Schelkens e Jürgen Mettepenningen, Gottfried Danneels, Editions Polis, Anvers 2015).

San Gallo è una cittadina svizzera, di cui nel 1996 era vescovo mons. Ivo Fürer, che era stato, fino all’anno precedente, segretario generale della Conferenza dei vescovi europei. D’accordo con il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), arcivescovo di Milano, mons. Fürer decise di invitare un gruppo di prelati, per stabilire un’agenda di lavoro per la Chiesa del futuro. Il gruppo si riunì per dieci anni, tra il 1996 e il 2006. Le personalità chiave, oltre al cardinale Martini, erano Walter Kasper, vescovo di Rottenburg-Stoccarda e Karl Lehmann (1936-2018), vescovo di Magonza, entrambi destinati a ricevere la porpora cardinalizia. Successivamente vennero cooptati altri due futuri cardinali: Godfried Danneels (1933-2019), arcivescovo di Malines-Bruxelles e Cormac Murphy-O’Connor (1932-2017), arcivescovo di Westminster. Ad essi si aggiunse nel 2003 il cardinale della Curia romana Achille Silvestrini (1923-2019), grazie al quale il gruppo di San Gallo divenne una potente lobby, capace di determinare l’elezione di un Pontefice. Pochi giorni dopo il funerale di Giovanni Paolo II, su invito di Silvestrini, la “mafia di San Gallo” si incontrò a Villa Nazareth, a Roma, per concordare un piano di azione in vista del prossimo conclave. In una fotografia apparsa su The Tablet del 23 luglio 2005, accanto al cardinale Silvestrini, si vedono i cardinali Martini, Danneels, Kasper, Murphy-O’Connor, Lehmann, tutti “key members and alumni of the St. Gallen mafia”, come scrive Julia Meloni (p. 5).

Il piano iniziale prevedeva l’elezione al soglio pontificio del cardinale Martini, ma proprio a partire dal 1996, l’anno della creazione del gruppo, l’arcivescovo di Milano iniziò ad avvertire i primi sintomi del morbo di Parkinson. Nel 2002, il Cardinale rese pubblica la notizia passando il testimone al cardinal Silvestrini, che dal gennaio del 2003 fu il regista delle grandi manovre che si tennero in vista del prossimo conclave. Il cardinale Murphy-O’Connor era a sua volta legato con il cardinale Jorge Maria Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, e lo presentò al gruppo come possibile candidato anti-Ratzinger. Bergoglio raccolse il consenso della “mafia”, ma fu proprio il cardinale Martini a nutrire i maggiori dubbi sulla sua candidatura, anche alla luce delle informazioni che sul vescovo argentino gli giungevano dall’interno della Compagnia di Gesù. Fu forse con sollievo che, quando in conclave del 2005 la sconfitta di Bergoglio apparve certa, il cardinale Martini annunziò al cardinale Ratzinger che gli avrebbe messo a disposizione i propri voti. Il gruppo di San Gallo tenne un’ultima riunione nel 2006, ma Martini e Silvestrini continuarono ad esercitare una forte influenza sul nuovo pontificato. Nel 2012, il cardinal Kasper parlò di un “southerly wind” un “vento del Sud”, che soffiava nella Chiesa e il 17 marzo 2013, pochi giorni dopo la sua elezione, papa Francesco citò, non a caso, Kasper come uno dei suoi autori preferiti, assegnandogli il compito di aprire il Concistoro straordinario sulla Famiglia, nel febbraio 2014.

Papa Francesco ha però deluso i progressisti in misura non minore di quanto abbia irritato i conservatori, e il suo pontificato conosce, dopo otto anni, un inesorabile declino. Tuttavia, se i principali esponenti della Mafia di San Gallo sono morti, il suo spirito modernista aleggia sul processo sinodale, mentre nuove manovre sono in corso per il prossimo conclave. Il libro di Julia Meloni, che ricostruisce la storia di questa “Mafia”, ci aiuta a capire le oscure dinamiche che agitano oggi la Chiesa. Posso aggiungere qualche elemento, attingendo ai miei ricordi.

Nell’autunno del 1980, ricevetti la visita di un sacerdote della Curia romana, mons. Mario Marini (1936-2009), non ancora cinquantenne, intelligente e pieno di brio. Il sacerdote era stato collaboratore del cardinale Giovanni Benelli (1921-1982) e assisteva con preoccupazione alla conquista delle posizioni chiave in Vaticano da parte di coloro che di Benelli erano stati nemici e che prosperavano all’ombra del cardinale Agostino Casaroli (1914-1998), segretario di Stato di Giovanni Paolo II.

Tra il 1980 e il 1981 avemmo con mons. Marini numerosi incontri, nei quali mi spiegò nei minimi dettagli l’esistenza di quella che egli definiva una “Mafia”, che circondava Giovanni Paolo II, eletto nel 1978 al trono pontificio, Questa Mafia aveva la sua “eminenza grigia” in mons. Achille Silvestrini, ombra ed alter ego del cardinal Casaroli, a cui era succeduto, nel 1973, nella carica di segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa: lo stesso Silvestrini che Julia Meloni ci presenta come il “mastermind” della Mafia di San Gallo.

Silvestrini era un uomo intelligente ma intrigante, che aveva rappresentato la Santa Sede nelle conferenze di Helsinki (1975), Belgrado (1977-78) e Madrid (1980), pur senza avere mai avuto l’esperienza diplomatica di una nunziatura. Come molti prelati post-conciliari era soprattutto un politico che amava smettere gli abiti curiali per incontri riservati al di fuori degli appartamenti che occupava in Vaticano. I vaticanisti apprezzavano la sua disponibilità a passare notizie riservate, anche se le sue informazioni, equamente distribuite a destra e a sinistra, dosavano con sapienza menzogna e verità. In politica internazionale era schierato sulle posizioni di mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, favorevole alla politica di disarmo unilaterale; in politica interna patrocinava la linea della Democrazia Cristiana più “aperta” nei confronti del Partito Comunista Italiano. Coltivava in particolare i rapporti con Giulio Andreotti ed era capo della delegazione della Santa Sede che nel 1985 avrebbe concluso il disastroso Nuovo Concordato con lo Stato Italiano. Attraverso mons. Francesco Brugnaro, attuale arcivescovo emerito di Camerino, Silvestrini era in stretto contatto con Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, ma non ancora cardinale, di cui fiutava i futuri destini. Tutto questo accadeva venticinque anni prima della “Mafia di San Gallo”.

Ci accordammo con il sacerdote per far venire alla luce queste informazioni, che furono trasmesse anche a Giovanni Paolo II, attraverso la dottoressa Wanda Poltawska, che peraltro era a conoscenza di molte cose grazie alla sua amicizia con il cardinale Edouard Gagnon (1918-2007), amico di mons. Marini. Una parte di queste rivelazioni vennero pubblicate dalla rivista Impact Suisse, da Si Si No No e dal Courrier de Rome. Sono passati da allora quarant’anni e mi fa piacere ricordare la figura di mons. Mario Marini, un sacerdote che ha sempre servito la Chiesa con zelo apostolico e che, tra i primi, denunziò l’esistenza di una “Mafia” al suo interno. Lo spunto me lo ha offerto il bel libro di Julia Meloni. Ma cosa raccontava allora mons. Marini? Questo potrebbe essere la materia di un altro articolo.

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