Papa Francesco: “L’amicizia sia alla base del dialogo tra Ebrei e Cristiani”

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Ai trenta rappresentanti dell’IJCIC (che lui chiama “fratelli maggior”), Papa Francesco racconta la sua personale esperienza di dialogo con il mondo ebraico. In una Argentina dove il dialogo interreligioso sembra essere all’ordine del giorno, dove gli inviti reciproci ai capi religiosi per partecipare alle festività religiose di altre confessioni sono costanti, Papa Francesco aveva stretto una particolare amicizia con la comunità ebraica. In particolare, con il rabbino Abraham Skorka, rettore del Seminario Rabbinico di Buenos Aires, con il quale ha anche scritto un libro e dialogato in 30 puntate televisive sui temi della fede.

Papa Francesco ricorda quella particolare esperienza. “Come arcivescovo di Buenos Aires – dice –  ho avuto la gioia di mantenere relazioni di sincera amicizia con il mondo ebraico. Abbiamo conversato spesso circa la nostra rispettiva identità religiosa, l’immagine dell’uomo contenuta nelle scritture, le modalità per tenere vivo il senso di Dio  in un mondo per molti tratti secolarizzato”. Ma – aggiunge – “soprattutto come amici, abbiamo gustato l’uno della presenza dell’altro, ci siamo arricchiti reciprocamente nell’incontro e nel dialogo, con un atteggiamento di accoglienza reciproca, e ciò ci ha aiutato a crescere come uomini e come credenti”. Sono queste relazioni di amicizia “la base del dialogo”.

Un dialogo, quello tra Ebrei e Cristiani, che era stato rinnovato con il documento conciliare Nostra Aetate, non a caso subito richiamato da Papa Francesco all’inizio del suo discorso. Fu quel documento ad aprire alla formazione dell’IJCIC, e poi – nel 1970 – ad un accordo tra IJCIC e Santa Sede e infine, nel 1974, all’istituzione della Commissione per le relazioni religiose con gli Ebrei inserito all’interno del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.

È la storia di un percorso comune cominciato proprio con la nostra Aetate, che contiene i principi che “hanno segnato un cammino di comprensione reciproca cammino al quale i miei predecessori hanno dato notevole impulso sia attraverso gesti altamente significativi” sia attraverso iniziative che hanno approfondito i fondamenti teologici delle relazioni tra ebrei e cristiani. Ed è un percorso “di cui dobbiamo sinceramente rendere grazie al Signore. Esso rappresenta la parte più visibile di un linguaggio che si è realizzato in tutto il mondo e di cui sono testimone”.

E i principi sono quelli stabiliti dal numero 4 della Nostra Aetate, che il Papa ricalca quasi per intero: “Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo. La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti”. E poi “la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell’apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: « ai quali appartiene l’adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine”.

Papa Francesco allora incoraggia l’IJCIC “a proseguire il vostro cammino, cercando di coinvolgere le nuove generazioni”.

“L’umanità – dice – ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che primariamente è un dono suo”.

A tal proposito Papa Francesco ricorda un brano del profeta Geremia sui progetti di pace di Dio. E – conclude  – “con questa parola pace, shalom, chiedo il dono della vostra preghiera, assicurandovi la mia”

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