Papa Francesco ricorda papa Paolo VI

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Il 21 giugno 1963 era eletto papa il bresciano Giovanni Battista Montini con il nome di Paolo VI; a 50 anni da quello storico giorno, papa Francesco riceve in udienza, oggi sabato 22 giugno, 5000 fedeli della diocesi di Brescia nel pellegrinaggio a Roma, guidato dal vescovo Luciano Monari ed accompagnato da don Antonio Lanzoni, vicepostulatore della causa di beatificazione del venerabile Paolo VI. Ma l’udienza del 22 giugno è anche occasione per festeggiare altri due anniversari importanti: il settimanale della Diocesi ‘La voce del popolo’ ed il mensile ‘Madre’ ad essa collegato tagliano rispettivamente il traguardo dei 120 e 125 anni di vita; da giovane Montini collaborò sia al settimanale diocesano sia alla rivista mensile. Anche papa Francesco è particolarmente legato alla figura di papa Paolo VI, tanto da utilizzare sia il suo anello che il suo pastorale; infatti papa Francesco ha chiesto che non ne venissero realizzati di nuovi appositamente per lui come da tradizione, ma ha preferito ‘riutilizzare’ quei preziosi simboli lasciati da papa Paolo VI.


Di papa Paolo VI si può scrivere moltissimo e sicuramente la scrittura non esaurirebbe il suo pensiero; quindi in questo periodo di crisi economica è opportuno riprendere l’omelia da lui pronunciata nella notte del Natale del 1968, quando celebrò una solenne messa fra gli operai del centro siderurgico Italsider di Taranto. Al termine della celebrazione eucaristica il pontefice si trattenne a lungo con i lavoratori e, per ricordare l’avvenimento, un nuovo quartiere alla periferia nord della città, destinato agli alloggi degli operai, fu dedicato a lui: “Figli! Fratelli! Amici! Uomini sconosciuti e già da Noi amati come reciprocamente legati, voi a Noi, Noi a voi, da una parentela superiore a quella del sangue, del territorio, della cultura; una parentela, ch’è una solidarietà di destini, una comunione di fede, esistente o da suscitare, una unità misteriosa, quella che ci fa cristiani, una sola cosa in Cristo! Tutte le distanze sono superate, le differenze cadono, le diffidenze e le riserve si sciolgono; siamo insieme, come se non fossimo forestieri gli uni e gli altri; e questo specialmente con Noi, proprio perché siamo vostri, come lo è il Papa per tutti, per i cattolici, quali voi siete, specialmente: Padre, Pastore, Maestro, Fratello, Amico! Per ciascuno, per tutti”.

Dopo aver ringraziato le autorità civili e militari, i dirigenti del centro siderurgico papa Paolo VI si rivolge ai lavoratori, senza dimenticare ‘i lavoratori dei campi, i pescatori, gli Addetti ai cantieri navali, i Marinai, e quelli d’ogni altro campo dell’attività umana’: “Vi parliamo col cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Ed è questa: Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. Voi pensate e lavorate in una maniera tanto diversa da quella in cui pensa ed opera la Chiesa! Vi dicevamo, salutandovi, che siamo fratelli ed amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. Una volta non era così. Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere. Non è questo il momento di spiegarvi perché. Ma per ora vi basti il fatto che Noi, proprio come Papa della Chiesa cattolica, come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui Natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi Ia spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere”.

Secondo papa Paolo VI, che si rivolge ai lavoratori con tono confidenziale, lavoro e preghiera hanno una radice comune anche se hanno una diversa espressione: “Cari Lavoratori! voi vedete come quando lavorate in questa officina è, in certo senso, come se foste in Chiesa; voi, senza pensarvi, voi qui venite a contatto con l’opera, col pensiero, con la presenza di Dio. Voi vedete come lavoro e preghiera hanno una radice comune, anche se espressione diversa. Voi, se siete intelligenti, se siete veri uomini, potete e dovete essere religiosi, qui, nei vostri immensi padiglioni del lavoro terrestre, senza altro fare che amare, pensare, ammirare il vostro faticoso lavoro… Che cosa avete nel cuore? Siete uomini: siete per questo felici? Avete tutto quello che vi spetta come uomini e che voi profondamente desiderate? Questo certamente non può del tutto verificarsi; non lo è per alcuno; non lo è, forse tanto meno, per voi. Ciascuno porta in fondo al suo animo una sofferenza: siete miseri? siete veramente liberi? siete affamati di giustizia e di dignità? siete desiderosi di salute? bisognosi di amore? Avete nel cuore sentimenti di rancore e di odio? avete ansia di vendetta e di ribellione? Dov’è per voi la pace, la fratellanza, la solidarietà, l’amicizia, la lealtà, la bontà? dentro e fuori di voi?”

Quindi si rivolge ai lavoratori dicendo che la Chiesa comprende i lavoratori come una madre e per questo li difende, promuovendo il bisogno di giustizia: “E badate bene: non di solo pane vive l’uomo, dice la Chiesa ripetendo le parole di Cristo; non di sola giustizia economica, di salario, di qualche benessere materiale, ha bisogno il Lavoratore, ma di giustizia civile e sociale. Ancora per questa rivendicazione la Chiesa vi comprende e vi aiuta. E di più: voi avete altri bisogni e altri diritti; a tutelare i quali la Chiesa molto spesso rimane l’unica vostra avvocata; i bisogni e i diritti dello spirito, quelli propri di figli di Dio, quelli di cittadini del regno delle anime, chiamate ai veri e superiori destini della pienezza della vera vita presente e di quella futura… La Chiesa questo pensa e dice di voi e per voi. Ed è chiaro il perché. Perché la Chiesa è la continuazione di Cristo. La Chiesa è il tramite che porta attraverso i secoli e diffonde per tutta la terra la Parola del Signore, anzi la presenza, avvertita solo da chi crede, di Gesù, di quel Gesù, del quale questa notte commemoriamo e in noi, spiritualmente, rinnoviamo la nascita”. E concludendo l’omelia, papa Paolo VI sottolinea la presenza della Chiesa in mezzo ai lavoratori nella notte di Natale: “Ecco, figli carissimi, perché qua siamo venuti. Siamo venuti per voi. Siamo venuti, affinché la Nostra presenza vi dimostrasse la presenza consolatrice, salvatrice di Cristo in mezzo al mondo meraviglioso, ma vuoto di fede e di grazia, del lavoro moderno. Siamo venuti per lanciare di qui, come uno squillo di tromba risonante nel mondo, il beato annunzio del Natale all’umanità che sale, che studia, che lavora, che fatica, che soffre, che piange e che spera; e l’annuncio è quello degli Angeli di Bethleem: oggi è nato il Salvatore vostro, Cristo Signore”.

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