Testamento biologico, un flop annunciato

Fiore blu
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Sembra ormai inevitabile la discussione di una legge sul testamento biologico. Il confronto è il sale della democrazia e il Parlamento ha tutto il diritto di esprimersi su tematiche delicate. A maggior ragione, quando il vuoto legislativo viene riempito da sentenze della magistratura. Il dibattito sarà tutt’altro che scontato, dal momento che torneranno a scontrarsi due visioni etiche difficilmente conciliabili. Ci sarà chi farà della volontà personale un totem, fino a includere nelle opzioni del testamento la rinuncia all’alimentazione o alla respirazione artificiale; chi, invece, sarà disposto a usare come unica discriminante il rifiuto di ogni accanimento terapeutico.

I toni non saranno per niente concilianti: già adesso si è arrivati a strumentalizzare la morte di Giovanni Paolo II, alludendo addirittua ad una sorta di eutanasia passiva (lo ha fatto Marco Pannella, si è accodato lo stesso Beppino Englaro, padre di Eluana). E ancora, a forzare il ragionamento del presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, spacciato per un novello sostenitore di scelte al limite. E guai a parlare di difesa della vita: la risposta minima è quella di essere affibbiati come sadici, se non crudeli. Scenderanno in campo figure autorevoli (in primis Umberto Veronesi), si sposterà il ragionamento su singoli casi, si tenterà di annacquare la sacralità di un principio generale in nome della compassione.

In attesa di “goderci” lo spettacolo, viene da chiedersi se un provvedimento sul testamento biologico sia davvero utile. E’ sicuramente opportuno di fronte alla confusione normativa emersa negli ultimi mesi. Ma è un priorità? Insomma, se si escludono le avanguardie politiche e culturali di questo Paese, la gente ne sente veramente il bisogno?

Non sono domande banali, se si pensa a quanto è avvenuto quando lo Stato ha provato a sottoporre ai suoi cittadini alcune questioni sulla fine della vita. Ricordate la campagna del primo governo Prodi sulla donazione degli organi? Il ministero della Sanità inviò a tutti gli italiani una tesserina in cui esprimere la propria volontà sulla materia, in modo da facilitare l’espianto in caso di morte. Bene: quella campagna fallì miseramente e oggi quasi nessuno porta con sé quel tesserino di cartone, ricevuto tra perlplessità e anche con qualche grattata alle parti basse. Questo per dire che, ironia a parte, l’italiano medio a certe cose non vuole pensare. E’ realistico allora raccogliere dati ben più consistenti (come è il caso del testamento biologico), se non si è riusciti a mettere ordine su una materia che non dovrebbe nemmeno essere messa in discussione?

In una situazione simile, il testamento biologico sarà un flop, una bandierina ideologica da sventolare all’occorrenza. Con un rischio: quello di relativizzare il rispetto della vita, piegandolo alle singole concezioni di dignità. Perché se oggi la polemica è sul dolore di Eluana e della sua famiglia, chi potrà garantire che un domani il confronto non si sposti sulla dignità di un malato terminale di Alzheimer? In quel caso, andremmo tutti alla deriva.

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