La “carestia dei libri” è questione di diritti umani. La Santa Sede per una cultura per tutti

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La chiama “carestia dei libri”, Silvano Maria Tomasi. E sottolinea che poco poteva essere fatto per superarla venti o trenta anni fa. Ma ora – aggiunge l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso la sede ONU di Ginevra – lo sviluppo tecnologico permette a tutti di accedere alla cultura. Anche alle persone con disabilità visive. Solo che in questo caso le barriere sono rappresentate da “un sistema legale” ormai antiquato. La sfida è di riformarlo, con “senso di responsabilità”, per dare a tutti, anche ai disabili, “una varietà di opportunità per scoprire il loro potenziale, comprendere il loro ambiente, scoprire i loro diritti e usare al meglio i propri talenti e risorse, sia per la soddisfazione personale che dare un contributo alla società”.

 

Benvenuti a Marrakech, dove il 18 giugno si è aperta la Conferenza Diplomatica per concludere un trattato che faciliterà l’accesso ai libri di quanti sono ciechi o hanno disabilità visive. Lì ha parlato Silvano Maria Tomasi, con un discorso ben accolto dagli Stati e le Organizzazioni Non Governative presenti.

La battaglia della Santa Sede è quella di permettere anche a quanti non possono vedere di avere un accesso alle pubblicazioni. Ma c’è bisogno di definire il modo in cui i diritti di copyright vengono esercitati, come eventualmente rendere il copyright stesso flessibile per permettere  la produzione (senza costi eccessivi) di libri accessibili agli ipovedenti. Vista così, è semplicemente una sfida legale-diplomatica, tra una serie di portatori di interessi e gli Stati che vogliono (o non vogliono) modificare la legislazione. In realtà, è una battaglia per l’uguaglianza e per le pari opportunità.

Perché gli ipovedenti nel mondo – sottolinea Tomasi citando dati dell’Organizzazione Mondiale della Salute – sono 285 milioni, e il 90 per cento di questi vive in Paesi in Via di Sviluppo. “Ma – ammonisce l’osservatore permanente – solo l’1 per cento  dei libri nei Paesi in Via di Sviluppo e Paesi Meno Sviluppati sono disponibili in formati accessibili per i ciechi”. Anche nei Paesi sviluppati la situazione non è rosea, perché “le persone ipovedenti possono accedere solo al 5 per cento dei libri che sono stati pubblicati”.

È questa la “carestia dei libri”, che non permette a molti studenti universitari, ad esempio, di poter avere accesso ai libri di testo. Tomasi ricorda però che la Dichiarazione dei Diritti Umani riconosce all’articolo 27 “il diritto di tutti gli individui di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità e di poter godere delle arti”; sottolinea che la questione del copyright con la quale si confronta la conferenza ha “una chiara dimensione di diritto umano”; afferma la necessità di assicurare che “il copyright non è una barriera al pari accesso all’informazione, cultura ed educazione” per quanti hanno disabilità visive.

Vero che fino a 20 anni fa sarebbe stato molto difficile combattere questa “carestia dei libri”, perché, ad esempio, ci volevano tempo e risorse per stampare i libri in Braille. Ma la tecnologia ha dato una mano. “Oggi – afferma Tomasi – ogni libro nel pianeta può abbastanza facilmente essere reso accessibile per i ciechi; invece di un accesso dall’1 al 5 per cento, la capacità tecnica di oggi permette di rendere accessibili quasi il 100 per cento dei libri”. E allora l’obiettivo “non è solo un trattato, ma piuttosto un trattato che risolva gli ostacoli all’accesso”.

Vero, si deve rispettare il “valore” della proprietà intellettuale”. Ma – aggiunge Tomasi – c’è “un’ipoteca sociale su tutte le proprietà, inclusa la proprietà intellettuale”. Eppure la spinta “creativa ed innovativa offerta dal sistema dei diritti di proprietà intellettuale esiste primariamente per servire il bene comune della comunità umana”.

Tomasi fa una panoramica della situazione. Ci sono nazioni in cui ci sono “limitazioni e e eccezioni nelle leggi del copyright” che consentono la produzione di libri accessibili per gli ipovedenti senza che si debba chiedere un permesso ai detentori del copyright. Ma “questi provvedimenti vanno considerati nazione per nazione”, perché “sono spesso abbastanza restrittivi o focalizzati solo su tecnologie più vecchie come la carta braille”.  Così, ci sono poche risorse accessibili, specialmente nelle nazioni con poco mercato.

E così “l’esercizio delle eccezioni e delle limitazioni permesso sotto il trattato non deve essere impedito o negato da altre discipline come le misure di protezione tecnologica o la legge dei contratti”. Ma allo stesso tempo, la Santa Sede predica cautela riguardo “l’introduzione di nuovi doveri che vadano oltre la discrezione della sovranità di ciascuno da parte delle nazioni membro del WIPO (World Intellectual Property Organization) a proposito di come i governi nazionali creino altre eccezioni e limitazioni per affrontare temi di interesse pubblico”. In più, sarebbe critico che la discussione si focalizzasse su “parametri già esistenti, riconosciuti sotto la convenzione di Berna”.

In fondo, gli obiettivi primari del sistema del copyright – afferma Tomasi – “è la diffusione di lavori creativi per migliorare il bene comune. Il copyright non è mai stato un mezzo. Sempre di più, gli sviluppi tecnologici hanno fatto forza sulle capacità delle leggi sul copyright di limitare i modi in cui il pubblico ha accesso ai lavori creativi”.

Quali saranno le sfide delle due settimane di conferenza diplomatica? I partecipanti – sottolinea Tomasi – dovranno “mostrare sufficiente flessibilità in vista di un compromesso raggiungibile che rafforzi il bene comune internazionale e vada oltre gli interessi particolari”. Perché rafforzare gli ipovedenti “è vitale per la crescita del loro status economico e sociale”. E per questo “i policymakers sono chiamati ad adottare un approccio pragmatico; i fornitori di servizi, una effettiva implementazione; e il mercato del lavoro, la rimozione di tutte le forme di discriminazione”.

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