La Chiesa ha due nuove beate

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“Non è mia questa vita che sta evolvendosi ritmata da un regolare respiro che non è mio, allietata da una serena giornata che non è mia. Non c’è nulla a questo mondo che sia tuo. Sandra, renditene conto! E’ tutto un dono su cui il Donatore’ può intervenire quando e come vuole. Abbi cura del regalo fattoti, rendilo più bello e pieno per quando sarà l’ora”.

Sandra Sabattini ha annotato queste parole nel ‘Diario’ appena due giorni prima del terribile incidente che le causerà la morte; le ha ripetute domenica scorsa il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, beatificandola a Rimini:

“L’altra ragione sta nel fatto che in una esperienza analoga possiamo riconoscere anche il cammino spirituale percorso da Sandra Sabatini, la giovane che da oggi la Chiesa onora come beata. Quando, a 13 anni, cominciò a frequentare la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi, alla sua mamma, riferendosi all’esperienza vissuta coi ragazzi disabili, confidò: ‘Ci siamo spezzate le ossa, ma quella è gente che io non abbandonerò mai’. Era solo un inizio”.

La beata è un inno alla carità: “E Sandra, il linguaggio dell’amore (con i suoi colori e la sua musica) l’ha appreso molto bene. Sotto questo aspetto è stata un’autentica artista. E’ stata una santità, la sua, vissuta in tutti gli ambiti della propria vita, nell’aprirsi alla condivisione con gli ultimi, nel mettere al servizio di Dio tutta la sua giovane esistenza terrena, fatta di entusiasmo, semplicità e una grande fede. E’ stato rilevato pure che Sandra è la prima fidanzata santa ammessa agli onori degli altari!”

E la carità è creativa, scrive nel suo Diario: “Leggendo le pagine del suo Diario ci è facile scoprire quanto, in Sandra, la carità sia stata creativa e concreta, attenta al dramma della povertà e considerata come strada verso la santità:

‘Povertà è povertà, e non è sufficiente fare il voto di povertà per essere poveri in spirito. Se veramente amo, come posso sopportare che un terzo dell’umanità muoia di fame, mentre io conservo la mia sicurezza e stabilità economica? Facendo così, sarò un buon cristiano, ma non certamente un santo ed oggi c’è inflazione di buoni cristiani, mentre il mondo ha bisogno di santi’ (Diario, 4 marzo 1983)”.

Nel giorno precedente il card. Semeraro a Brescia aveva beatificato suor Lucia Ripamonti: “Della nostra Beata qualcuno ha detto che era impastata di umiltà. Una Superiora Generale delle Ancelle della Carità non ha esitato ad affermare: per me questo presenta il massimo della santità. Il suo posto, il più desiderato: l’ultimo.

Una testimone, nel processo canonico per la beatificazione ha riferito d’avere un giorno notato che suor Lucia si spostava in continuazione per cederle la destra e, camminando, rimaneva rispettosamente indietro di un passo. Sorpresa e stupita per questo comportamento e supponendo che avesse qualche problema nel tenere il passo le domandò se dovesse un po’ rallentarlo. Suor Lucia, però, con un bel sorriso e a voce sommessa le rispose: No, no, va bene così, sto al mio posto”.

E non ha esitato a prendere il ‘giogo’: “La beata Lucia Ripamonti questo giogo lo ha preso su di sé: accogliendo generosamente la chiamata del Signore alla vita consacrata, dove scelse per sé il servire e il restare all’ultimo posto; donandosi a Dio al punto che di lei è stato detto che ‘fu venduta alla Carità’; abbandonandosi alla sua volontà e questo soprattutto nei giorni dolorosi della malattia; praticando l’obbedienza con fedeltà e serenità; mettendosi a disposizione del prossimo sino a dimenticarsi di sé”.

(Foto: Riminitoday)

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