Petrella: l’ONU dichiari la povertà illegale

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A Enniskillen, in Nord Irlanda, dal 17 al 18 giugno, si sono riuniti i capi di Stato del G20 per discutere le grandi strategie economiche per combattere la povertà. Nei giorni precedenti papa Francesco ha scritto una lettera di risposta al premier britannico Cameron: “… il fine dell’economia e della politica, è proprio il servizio agli uomini, a cominciare dai più poveri e i più deboli, ovunque essi si trovino, fosse anche il grembo della loro madre. Ogni teoria o azione economica e politica devi adoperarsi per fornire ad ogni abitante della terra quel minimo benessere che consenta di vivere con dignità, nella libertà, con la possibilità di sostenere una famiglia, di educare i figli, di lodare Dio e di sviluppare le proprie capacità umane. Questa è la cosa principale. Senza questa visione, tutta l’attività economica non avrebbe senso. In tal senso, le varie e gravi sfide economiche e politiche che il mondo odierno affronta richiedono un coraggioso cambiamento di atteggiamenti, che ridia al fine (la persona umana) e ai mezzi (l’economia e la politica) il posto loro proprio. Il denaro e gli altri mezzi politici ed economici devono servire e non governare, tenendo presente che la solidarietà gratuita e disinteressata è, in modo apparentemente paradossale, la chiave del buon funzionamento economico globale”.


E dalla società civile sono arrivate proposte, come la Campagna internazionale ‘Dichiariamo illegale la povertà’, lanciata in Italia dal Cipsi (www.cipsi.it), per mettere fuorilegge i processi alla base dell’impoverimento, tra cui la ‘finanza predatrice’ (www.banningpoverty.org). Scopo principale è far sì che l’Assemblea generale dell’Onu approvi, nel 2018, una risoluzione nella quale si proclami l’illegalità di quelle leggi, istituzioni e pratiche sociali che sono all’origine e alimentano la povertà nel mondo.

Tra i principali ispiratori e promotori vi è l’economista politico Riccardo Petrella, docente all’Università cattolica di Lovanio (Bruxelles): “I poteri dominanti scrivono l’opera, la musicano, la programmano e decidono se è buona o cattiva. E’ una specie di monopolio totale dello spirito del mondo. Se la povertà e i poveri fossero le banche, li avrebbero già salvati da tempo. Invece si salvano gli autori della crisi, ossia la finanza, che ha tradito la sua funzione propria di legare risparmio e investimento. Invece si è distaccata da questo ruolo: prende il risparmio dalla gente, gli aiuti governativi e investe non per produrre beni e servizi necessari ai bisogni della popolazione mondiale, ma per scatenare un circuito finanziario avvitato su se stesso. La finanza è diventata autoreferenziale e crea ricchezza solo per il capitale finanziario. I parlamenti, che dovrebbero essere i luoghi dove tutti gli interessi sono rappresentati, non servono più. Ecco perché la finanza condiziona le scelte di governi e società civile”.

Insieme a 33 persone rappresentanti associazioni e organismi della società civile, ha presentato l’iniziativa politica ‘Dichiariamo illegale la povertà’, che è una campagna per portare l’Onu a mettere fuori legge la condizione di grandi masse umane, attraverso 12 principi per contrastare la creazione dei nuovi poveri: “ ’Dichiariamo’ significa che noi cittadini in particolare italiani, belgi, quebecois, argentini e poi malesiani, indonesiani, filippini…. ( che saranno fra i popoli che partecipano alla campagna) iniziamo un processo di mobilitazione civile e politica contro le cause strutturali della povertà”. Il primo principio recita: “ ‘Nessuno nasce povero né sceglie di essere o diventare povero’: è lo stato della società nella quale nasciamo che ci fa poveri o ricchi. Si può decidere di vivere in una situazione di grande sobrietà, ma non è la povertà subita dai tre miliardi di esseri umani che sono esclusi dal diritto ad una vita degna e dignitosa, contro la loro volontà e desiderio.

Secondo principio: ‘Poveri si diventa. La povertà è una costruzione sociale’: la povertà non è un fatto di natura come la pioggia. E’ un fenomeno sociale, costruito e prodotto dalle società umane. Le società scandinave degli anni ’60-’80 sono riuscite a far sparire i processi strutturali d’impoverimento. Altre società, invece, fondate su principi e pratiche sociali differenti da quelle scandinave, hanno prodotto e producono inevitabilmente fenomeni di estesa povertà”.

Ed allora ecco alcune proposte di azioni per mettere fuori legge la povertà: “I soggetti produttori di povertà agiscono attraverso tre strumenti: le leggi (legislative e norme amministrative), le istituzioni (soprattutto politiche, economiche e sociali, ma anche culturali,religiose…), le pratiche sociali e collettive (convenzioni, stereotipi, comportamenti; pregiudizi, tradizioni…). I processi maggiori d’impoverimento avvengono rispetto alle architetture di potere (contro la democrazia), alle regole del vivere insieme (ingiustizia sociale ed economica) ed ai fondamenti della cittadinanza (rigetto identitario, insicurezza). Abbiamo, pertanto, identificato un gruppo di leggi (e/o misure amministrative), istituzioni, e pratiche sociali e collettive sulle quali intervenire in Italia nel corso dei prossimi cinque anni.

Fra queste, menzioniamo quelle più significative: abrogazione delle leggi che hanno legalizzato l’esistenza della finanza speculativa e predatrice (prodotti derivati, paradisi fiscali, indipendenza politica della Banca Centrale Europea); nel campo del lavoro, abrogazione delle ultime disposizioni relative all’art.18; abbandonare la biforcazione educativa a partire dagli anni 16; eliminazione delle misure amministrative che in alcune città italiane hanno criminalizzato gli immigrati, i senza lavoro…; chiusura immediata dei Cie; messa fuorilegge delle cooperative fasulle, furbe di gestione dell’impiego e che operano come strumenti di caporalato; campagne nazionali di ribaltamento dei pregiudizi sui poveri e sui ricchi (quali: il ricco è meritevole il povero è colpevole; il povero è naturalmente portato ad essere più criminale che il non povero; il lusso è bello, crea ricchezza e dà lavoro…)”.

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