Una mattinata ottobrina nella fortezza sul cucuzzolo del Vomero

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Approfittando il 13 ottobre 2021 di un raro giorno di bel tempo ottobrino, siamo andati in visita al Castel Sant’Elmo, una fortezza medievale sulla collina del Vomero nei pressi di San Martino, il primo castello per estensione della Città di Napoli. Purtroppo, il Museo del “Novecento a Napoli”, che qui trova sede, era chiuso (nonostante non era un martedì, giorno di chiusura settimanale). Poi, sfortunatamente abbiamo trovato chiuso anche la Certosa e Museo di San Martino, che si trova di fronte (ma perché era un mercoledì, giorno di chiusura settimanale).

La fortezza, un tempo denominata Paturcium, sorge nel luogo dove vi era, a partire dal X secolo, una chiesa dedicata a Sant’Erasmo (da cui Eramo, Ermo e poi Elmo). Le prime notizie storiche relative a questo possente edificio, in parte ricavato dal vivo tufo giallo napoletano, indicano che trae origine da una torre d’osservazione normanna e lo menzionano, intorno al 1275, come una residenza fortificata angioina, denominata Belforte.

Veduta del castello in una foto di Giorgio Sommer del 1860-70 circa.

Nel 1329 Roberto il Saggio ordinò al Reggente della Vicaria, Giovanni de Haya, la costruzione di un palazzo, il Palatium castrum, sulla sommità della collina di Sant’Erasmo. I lavori furono ultimati nel 1343 sotto il regno di Giovanna I d’Angiò. Per la sua importanza strategica, il Castello Sant’Elmo è sempre stato un possedimento molto ambito, perché dalla sua posizione a 250 m s.l.m. si può osservare tutta Napoli, il golfo e le strade che dalle alture circostanti conducono alla città. Quindi, ha avuto anche una lunga storia di assedi.

Nel gennaio del 1348, dopo l’efferato omicidio di Andrea di Ungheria, il Castel Sant’Elmo ebbe il battesimo del fuoco con il primo assedio da parte di Luigi I d’Ungheria, giunto a Napoli per vendicare il fratello la cui uccisione si attribuiva all’uxoricidio da parte della Regina Giovanna I d’Angiò. Dopo la sua resa, il castello fu occupato da Carlo di Durazzo. Nel 1416 la Regina Giovanna II lo vendette per la somma di 2.500 ducati ad Alfonso d’Aragona. Il castello fu poi un ambito obiettivo militare quando francesi e spagnoli si contesero il Regno di Napoli. Il Viceré Don Pedro de Toledo lo fece ricostruire nel 1537 su sollecitazione dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V. Esso ha assunto l’aspetto attuale in seguito ai lavori di fortificazione dell’intera altura di San Martino che terminò nel 1546, a pianta stellare con sei punte che sporgono di venti metri rispetto alla parte centrale e collocò, in luogo dei tiranti, enormi cannoniere aperte negli angoli rientranti. Questa insolita struttura militare priva di torrioni, che suscitò molte critiche al momento dell’edificazione, è risultata negli anni molto funzionale. Cinta da un fossato era dotata di una grande cisterna per l’approvvigionamento d’acqua. Prima del fossato sorge una piccola chiesa dedicata nel 1682 dagli Spagnoli a Nostra Signora del Pilar.

Nel 1587 un fulmine, caduto nella polveriera, fece saltare in aria buona parte della fortezza uccidendo 150 uomini: al suo interno distrusse la chiesa di Sant’Erasmo, la palazzina del Castellano e gli alloggi militari, arrecando anche danni al resto della città. Nel 1599 si diede inizio ai lavori di ripristino, ultimati nel 1610.

La fortezza divenne poi un carcere, nel quale furono prigionieri, tra gli altri, dal 1604 al 1608 il filosofo Tommaso Campanella e nel 1659 Giovanna di Capua, Principessa di Conca. Al tempo della Rivoluzione francese il carcere ospitò alcuni filo-giacobini, Mario Pagano, Giuliano Colonna, Gennaro Serra di Cassano e Ettore Carafa. Dopo i moti del 1799, alla caduta della Repubblica napoletana, vi furono rinchiusi Giustino Fortunato, Domenico Cirillo, Francesco Pignatelli di Strongoli, Giovanni Bausan, Giuseppe Logoteta, Luisa Sanfelice e molti altri. Durante il Risorgimento ospitò il Generale Pietro Colletta, Mariano d’Ayala, Carlo Poerio, Silvio Spaventa. Fu adibito a carcere militare fino al 1952.

Nel 1647, durante la rivoluzione napoletana, vi si rifugiò il Viceré duca d’Arcos, organizzandovi la difesa assieme al Castellano Martino Galiano. Il forte, uno degli obiettivi delle forze popolari, non poté tuttavia essere occupato a causa delle discordie insorte nel campo dei rivoltosi. Il Duca di Arcos bombardò la città dal castello, infliggendo tuttavia danni relativamente circoscritti. Furono risparmiate le aree centrali più densamente abitate di Napoli, che erano il centro della rivolta. Nel 1707 fu assediato dagli Austriaci e nel 1734 dai Borbone. Durante i moti del 1799 fu occupato dai repubblicani, i quali da qui bombardarono alle spalle i lazzaroni napoletani (i giovani dei ceti popolari della Napoli del XVII-XIX secolo), che erano insorti contro la Repubblica napoletana sostenuta dalla Francia rivoluzionaria. Spazzata via l’ultima resistenza, il 21 gennaio i repubblicani piantarono nella fortezza il primo albero della libertà e il 23 vi innalzarono la bandiera della Repubblica napoletana.

Si accede all’interno del castello percorrendo una rampa ripida e attraversando un ponticello schermato da mura laterali nelle quali si aprono dodici feritoie per ciascun lato. Dopo il ponticello si incontra la Grotta dell’Eremita, un antro che, secondo la tradizione, avrebbe ospitato in tempi antichissimi un anacoreta. Sul portale in piperno campeggia lo stemma imperiale di Carlo V, con l’aquila bicipite e un’iscrizione in marmo che ricorda il suo regno ed il periodo vicereale di Pedro di Toledo, Marchese di Villafranca. Sette feritoie assicuravano la difesa alle guardie del ponte levatoio qualora fossero state attaccate prima di riuscire a chiudere il ponte. Nell’ingresso, a sinistra, è stato collocato, in età napoleonica, un cancello a ghigliottina realizzato nello stile dell’epoca.

Dopo questo secondo ingresso ha inizio la rampa finale di ingresso al castello: nella seconda curva si apre, a destra, un’ampia finestra che affaccia sulla città e sul centro storico. Più avanti ancora, sulla destra, un portale in tufo e piperno introduce nei locali adibiti a carcere. Alla sinistra di questo ambiente si può notare un altro locale con ampia finestra, adibito ancora a prigione, dal quale si intravede il carcere dei prigionieri comuni. Sulla destra della zona d’aria vi è una larga gradinata che conduce ad altre due celle e alla prigione comune. Sulla sinistra del locale adibito a carcere della Sanfelice ci sono i servizi per i carcerati. Ritornando indietro e proseguendo si incontrano sette ampie arcate: la prima si apre sul golfo della città, le altre dominano il centro storico. Prima della piazza d’armi, sulla sinistra, ancora tre spaziose aperture dalle quali si può ammirare un panorama di Napoli che spazia da Capodichino a Capodimonte e alla collina dei Camaldoli.

Sulla Piazza d’Armi, con la pavimentazione dell’epoca della costruzione, si erge la Torre del Castellano, le cui ambienti sono quanto rimane dell’alloggio del comandante e del personale del castello. Al di sotto della piazza sono due enormi cisterne, che assicuravano l’approvvigionamento di acqua al presidio in caso di assedio. Nello spessore delle mura, in epoca moderna, è stato impiantato un serbatoio d’acqua dalla capacità di 400 metri cubi per alimentare la zona del Vomero.

Sulla sinistra della torre, con il caratteristico orologio dei coltelli, vi è una piccola rampa, seguendo la quale si giunge ad una terrazza che dà sulla parte occidentale della Città. Proseguendo, sulla sinistra, si continua con l’ingresso a quei locali che furono adibiti fin dal 1915 a prigione militare. Sull’angolo esterno di questa passeggiata, una garitta borbonica in piperno domina la zona tra il Capo di Posillipo, Nisida, Capo Miseno e tutta la zona Flegrea.

Sulla grande Piazza d’Armi abbiamo trovato aperta la piccola chiesa di Sant’Erasmo, eretta nel 1547 e rifatta in epoca successiva.

Al suo interno conserva un pregevole pavimento in maiolica e cotto, tipico dell’artigianato napoletano.

Sull’altare maggiore è posta una scultura di Sant’Erasmo. Sulla parete destra un quadro di San Michele Arcangelo (non esiste il caso e quindi non considero una coincidenza che quando visito una chiesa, immancabilmente trovo la presenza del Comandante in Capo delle Milizie Celeste).

All’interno della fortezza, oltre alle mostre temporanee che in passato ci furono allestite, nella grande chiesa sconsacrata sulla imponente Piazza d’Armi, dal 2010 trova stabilmente sede il Museo “Novecento a Napoli. Per un museo in progress” di opere realizzate da artisti napoletani o comunque legati alla città, dal 1910 al 1980, con l’intento di dare una visione il più possibile completa e rigorosa di quanto, nel corso di quasi un secolo, è accaduto nella cultura cittadina attenta alle grandi spinte di rinnovamento e all’intenso succedersi di movimenti e poetiche. La collezione è formata da oltre 170 opere realizzate da 90 artisti napoletani, con l’aggiunta anche di alcune presenze di maestri non napoletani che con ruoli diversi furono attivi in città, di proprietà pubblica, da donazioni degli artisti o degli eredi e di prestiti a lungo termine “in comodato” da parte di collezionisti. Peccato, però, che l’abbiamo trovato chiuso, anche se non era un martedì (giorno di chiusura solo per il museo).

Anche la Certosa e Museo di San Martino abbiamo trovato chiuso (ma perché era mercoledì, giorno di chiusura settimanale) e non abbiamo potuto vedere le carrozze dei Borbone. Dall’architettura originaria della Certosa di San Martino, fondata nel 1325 e nell’arco di cinque secoli interessata da costanti rinnovamenti, restano i grandiosi sotterranei gotici, una rilevante opera d’ingegneria. Nel 1581 fu avviata un grandioso progetto di ampliamento, destinato a trasformarne il severo aspetto gotico nell’attuale preziosa e raffinata veste barocca. Il crescente numero dei monaci impose una radicale ristrutturazione del Chiostro Grande. Il complesso subisce danni durante la rivoluzione del 1799 ed è occupato dai Francesi. Quando gli ultimi monaci abbandonano la Certosa, nel 1812 il complesso viene utilizzato dai militari come Casa degli Invalidi di Guerra, fino al 1831, quando viene nuovamente abbandonato per restauri urgenti. Nel 1836 un esiguo gruppo di monaci torna a stabilirsi a San Martino per riuscirne poi definitivamente. Soppressi gli Ordini religiosi e divenuta proprietà dello Stato, la Certosa viene destinata nel 1866 a museo, annessa al Museo Nazionale come sezione staccata ed aperta al pubblico nel 1867.

Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino da piazza del Plebiscito.

Con gli anni, la fortezza è passò al Demanio militare, ospitando anche alcuni marinai e le loro famiglie, fino al 1976, anno in cui ha avuto inizio un imponente intervento di restauro ad opera del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Campania. Fu aperto al pubblico il 15 maggio 1988 e oggi il castello appartiene al Demanio Civile ed è adibito a museo. Come detto, il Castello di Sant’Elmo, oltre che museo permanente del Novecento di Napoli, è stato anche sede di varie mostre temporanee, fiere e manifestazioni. Dal 1998 fino al 2011 durante la primavera è stata la sede del Napoli Comicon, dal 2012 spostatosi alla Mostra d’Oltremare. Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania e nel dicembre 2019 è divenuto Direzione regionale Musei.

In fondo, gli uffici del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Napoli.

Nel corso della nostra visita al Castel Sant’Elmo, siamo andato a salutare anche il Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Napoli, che qui ha sede. Abbiamo espresso la nostra gratitudine per la restituzione all’Archivio di Stato di Napoli delle carte dei Borbone in vendita su piattaforme di e-commerce per documenti storici, di cui abbiamo riferito in un articolo del 22 settembre 2021 [QUI]. In quel stesso giorno, in occasione delle Giornate del Patrimonio Europeo, numerosi e importanti documenti storici di proprietà dello Stato sono stati restituiti dal Comandante del Nucleo, il Magg. Giampaolo Brasili, alla Direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli, Dott.ssa Candida Carrino, alla presenza del Soprintendente Archivistico per la Campania, Dott. Gabriele Capone.

Vedendo esposte nelle vetrinette e nell’ingresso degli uffici del TPC alcuni oggetti di grandissimo valore storico e artistico, confiscati ai tombaroli e agli “archeologi” subacquea illegali, a seguito del lavoro investigativo e di recupero da parte del Nucleo dei Carabinieri, abbiamo avuto un pensiero.

Ci siamo domandato, se non fosse possibile – come viene fatto in siti simili in altre Città d’Italia – per la Direzione regionale Musei della Campania (che lì ha pure sede come pure il TPC di Napoli), nei tanti ambienti nel perimetro della Piazza d’Armi attualmente abbandonati e chiusi, di organizzare una esposizioni permanente di quanto attualmente conservato nel caveau (a parte di qualche oggetto negli uffici).

Questo significherebbe nel contempo valorizzare il patrimonio storico e culturale dell’antico Regno di Napoli e rendere noto al pubblico l’eccellente lavoro svolto dal Nucleo dei Carabinieri. Ma soprattutto, darebbe un plusvalore al biglietto, che le centinaia di migliaia di visitatori all’anno acquistano, offrendo loro non solo la possibilità di visitare il Museo del Novecento a Napoli, la Piazza d’Armi e i camminamenti, da cui godere lo splendido panorama che abbiamo esposto pocanzi. Per carità, stupefacente e unico, che già da solo varrebbe la fatica di salire sul ventoso cucuzzolo del Vomero. Però, certamente gli avventori apprezzerebbero la possibilità di poter ammirare pezzi unici di altre epoche, strappati al commercio illegale della malavita.

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