Lavoro minorile in Italia: 260.000 i minori sotto i 16 anni

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“Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, con un riferimento particolare allo sfruttamento dei bambini nel lavoro domestico: un deprecabile fenomeno in costante aumento, specialmente nei Paesi poveri. Sono milioni i minori, per lo più bambine, vittime di questa forma nascosta di sfruttamento che comporta spesso anche abusi, maltrattamenti e discriminazioni. E’ una vera schiavitù questa! Auspico vivamente che la Comunità internazionale possa avviare provvedimenti ancora più efficaci per affrontare questa autentica piaga. Tutti i bambini devono poter giocare, studiare, pregare e crescere, nelle proprie famiglie, e questo in un contesto armonico, di amore e di serenità. E’ un loro diritto e un nostro dovere. Tanta gente invece di farli giocare li fa schiavi: è una piaga questa. Una fanciullezza serena permette ai bambini di guardare con fiducia verso la vita e il domani. Guai a chi soffoca in loro lo slancio gioioso della speranza!”: così si è espresso papa Francesco nell’udienza di mercoledì 12 giugno, giornata mondiale contro il lavoro minorile, un fenomeno in continua crescita, purtroppo anche in Italia, come testimoniano i dati forniti da Save the Children, a distanza di 11 anni dalla precedente indagine.

Infatti i minori di 16 anni che lavorano oggi in Italia sono stimati in circa 260.000, cioè il 5,2% della popolazione in età. Al crescere dell’età aumenta la quota di chi fa un’esperienza di lavoro, così come emerso da precedenti indagini sul tema: l’incidenza è minima prima degli 11 anni (0,3%), è prossima al 3% tra gli 11- 13 anni e ha un picco nella classe 14-15 anni (il 18,4%). A conferma di questa progressione, è stata ricostruita la distribuzione dei 14-15enni per età al primo lavoro: la maggior parte dei ragazzi fa la sua prima esperienza dopo i 13 anni (il 72%). Complessivamente, per 100 ragazzi di 14-15 anni, quasi il 22% riferisce di aver fatto una qualche esperienza di lavoro, soprattutto solo dopo i 13 anni. Approfondendo le esperienze di lavoro dei 14-15enni, quasi 3 ragazzi su 4 lavorano per la famiglia, aiutando i genitori nelle loro attività professionali (41%), quindi nel mondo delle piccole e piccolissime imprese a gestione familiare, oppure sostenendoli nei lavori di casa (33%).

Per quanto riguarda quest’ultima tipologia di esperienza, occorre sottolineare come siano state escluse dall’indagine tutte quelle attività riconducibili alla categoria dei ‘piccoli aiuti in casa’ e incluse viceversa quelle collaborazioni che per tipo di attività, quantità dell’impegno (molte ore al giorno), interferenza con la scuola sono ascrivibili al lavoro domestico e/o di cura. Il restante 26% si distribuisce in misura equivalente tra chi lavora nella cerchia dei parenti e degli amici (12,8%) oppure per altre persone (13,8%). Meno della metà dei minori che lavorano tra i 14 e 15 anni dichiara di ricevere un compenso (45%), di questi solo 1 su 4 lavora all’esterno della cerchia familiare.

Si inizia anche molto presto, prima degli 11 anni (0,3%), ma è col crescere dell’età che aumenta l’incidenza del fenomeno (3% dei minori 11-13enni), per raggiungere il picco di quasi 2 su 10 (18,4%) tra i 14 e 15 anni, età di passaggio dalla scuola media a quella superiore, nella quale si materializza in Italia uno dei tassi di abbandono scolastico più elevati d’Europa (18,2% contro una media EU27 del 15%). Tra i principali lavori svolti dai minori fuori dalle mura domestiche prevalgono quelli nel settore della ristorazione (18,7%), come il barista o il cameriere, l’aiuto in cucina, in pasticceria o nei panifici, seguito dalla vendita stanziale o ambulante (14,7%), dove si fa il commesso o toccano le pulizie, insieme al lavoro agricolo o di allevamento e maneggio degli animali (13,6%), ma non manca il lavoro in cantiere (1,5%), spesso gravoso e pieno di rischi, o quello di babysitter (4%). In ogni caso, ciò che emerge dalla ricerca partecipata qualitativa che ha coinvolto 163 minori a Napoli e Palermo, è lo scarso valore delle attività svolte da ragazze e ragazzi anche giovanissimi, che di fatto non insegnano nulla e non possono quindi essere messe a capitale per una futura professione.

Commentando i dati Raffaela Milano, direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, ha dichiarato: “Al di là dei numeri che descrivono un fenomeno non marginale e in continuità da un punto di vista quantitativo con gli ultimi dati che risalgono ormai al 2002, l’indagine mette in evidenza come la crisi economica in atto rende ancora meno negoziabili le condizioni di lavoro dei minori, esponendoli ad ulteriori rischi. Dalle voci dei ragazzi raccolte con la ricerca partecipata, emerge il forte legame tra lavoro minorile, disaffezione scolastica e reti familiari e sociali, che si trasforma in una vera trappola quando l’opportunità di soldi facili arriva a coinvolgere i minori in attività criminali. Nonostante orari in alcuni casi pesantissimi, paghe risibili e rischi per la salute, come nel caso di chi lavora dalle 4 e mezzo di mattina alle 3 di pomeriggio con le mani nel ghiaccio per un pescivendolo ricavandone a mala pena 60 euro a settimana, la maggioranza dei minori raggiunti con la ricerca partecipata non ha la consapevolezza di essere sfruttata, e non sa nemmeno che cos’è un contratto di lavoro”.

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