La Marcia della pace compie 60 anni

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“Eravamo in tanti ieri tra Perugia ed Assisi. Tanti, colorati e belli. Come sempre. Più di sempre. Più di quanti ce ne fossero 60 anni fa al seguito del genio nonviolento di Aldo Capitini. Ciascuno con le proprie istanze di pace, ciascuno con la propria bussola nel cuore, ciascuno con le sue parole. Personalmente ho scelto di seguire la marcia dietro lo striscione della Cgil e insieme alla rappresentanza di quel sindacato. ‘Partigiani sempre’, soprattutto nei momenti in cui i segnali contro la democrazia si fanno gravi e minacciosi. Poi tanti cartelli che trascrivono a mano pensieri, provocazioni, carezze e veri e propri schiaffi”.

In poche righe don Tonio Dall’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana, l’affresco della marcia della pace da Perugia ad Assisi, svoltasi domenica 10 ottobre a 60 anni dalla prima edizione, a differenza di quello che avveniva a Roma con l’assalto alla sede della CGIL o la comparsa della stella a 5 punte delle BR, a Torino ed a Trieste con frasi ingiuriose al primo ministro, Mario Draghi.

Era il 24 settembre del 1961 quando, per iniziativa del filosofo della nonviolenza Aldo Capitini, oltre 20.000 persone si avviavano a piedi per coprire i 27 chilometri che separano il capoluogo umbro dalla città di san Francesco. Quest’anno il tema è stato ‘La cura è il nuovo nome della pace’, come ha concluso il coordinatore del comitato promotore, Flavio Lotti, chiedendo che essa sia dichiarata dall’Onu ‘patrimonio dell’umanità’:

“La pandemia è ancora in pieno corso con una crisi sociale ed economica molto pesante, specialmente per i più poveri e vulnerabili. E la crisi climatica sta peggiorando. Malgrado questo, ed è scandaloso, non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E’ tempo di ricominciare a lavorare per la pace.

I prossimi 10 anni saranno decisivi per fermare il cambiamento climatico, impedire una nuova guerra mondiale, uscire dalla crisi sociale ed economica, effettuare la transizione ecologica, democratizzare la rivoluzione digitale e prevenire nuove grandi migrazioni”.

Aprendo la Marcia il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, ha sottolineato lo slogan dello striscione che apriva il fiume nonviolento: “I care – Cura è il nuovo nome della pace: Prendersi cura, chinarsi sugli altri, andare verso l’altro risponde a un grido che da più parti io sento levarsi: non lasciatemi solo. Prendersi cura, chinarsi, dice papa Francesco, è l’opposto dell’indifferenza e della cultura dello scarto…  

Don Tonino Bello diceva che la pace è una conquista, richiede lotta, impegno, sofferenza, tenacia. La pace prima che un traguardo è un cammino che tutti siamo chiamati a fare insieme. Ed è in salita, come da Santa Maria degli Angeli per arrivare alla Basilica di Assisi”.

Agli organizzatori sono pervenuti molti messaggi, tra cui quello di papa Francesco, che ha chiesto la messa al bando degli armamento: “La cura, infatti, è il contrario dell’indifferenza, dello scarto, del violare la dignità dell’altro, cioè di quell’anti-cultura che è alla base della violenza e della guerra.

Purtroppo ancora oggi, dopo le due immani guerre mondiali e le tante guerre regionali che hanno distrutto popoli e Paesi, ancora (ed è scandaloso) gli Stati spendono enormi somme di denaro per gli armamenti, mentre nelle Conferenze internazionali si proclama la pace, distogliendo di fatto lo sguardo dai milioni di fratelli e sorelle che mancano del necessario per vivere o trascinano un’esistenza indegna dell’uomo”.

Anche dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato il segno di speranza della Marcia: “I valori che la ispirano e la partecipazione che continua a suscitare sono risorse preziose in questo nostro tempo di cambiamenti, ma anche di responsabilità… La pace non soltanto è possibile.

Ma è un dovere per tutti – Stati, popoli, istituzioni sovranazionali, imprese economiche, forze sociali, cittadini operare per costruirla… La marcia di quest’anno fa proprio il motto ‘I care’, che don Lorenzo Milani volle affiggere all’ingresso della scuola di Barbiana.

Avere a cuore il proprio destino come quello dell’altro che ci sta accanto, come quello della persona lontana che però sappiamo essere a noi legata da una rete invisibile ma robusta, è la scintilla della cultura di pace che può sconfiggere l’egoismo, l’indifferenza, la violenza, la rassegnazione all’ingiustizia”.

Il presidente del Parlamento europeo, David Maria Sassoli, ha sottolineato che tutto è connesso: “Questa stagione ci ha insegnato, infatti, che ‘tutto è connesso’ e che non è possibile affrontare le emergenze dei nostri tempi in solitudine. Essere costruttori di pace oggi vuol dire ‘prendersi cura’ l’uno dell’altro e, soprattutto, impegnarsi a ridurre quelle disuguaglianze che persistono nelle nostre società… Questo tempo ci dice che dobbiamo avere più coraggio e che è nell’interesse dei nostri cittadini rafforzarci insieme.

Come sapete, siamo di fronte ad una enorme trasformazione ecologica e digitale che cambierà nel profondo il nostro modo di essere e i nostri stili di vita. Non vogliamo tornare al mondo di prima e soprattutto non possiamo costruire una società più equa se non aggiustiamo i danni che abbiamo causato al pianeta e all’ambiente in cui viviamo. Grazie ai giovani e a tutti coloro che ogni giorno ci ricordano le nostre responsabilità!”

Fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento di Assisi,  ha invitato ad usare la stessa cura di Assisi: “Ed allora va verso il lebbroso, verso il frate ammalato o in difficoltà, verso la vedova poverella, verso il sultano in Egitto, verso il lupo a Gubbio, verso i briganti a Montecasale. Se ne prende cura, così come si prende cura delle allodole e della cicala, delle erbacce spontanee alle quali lasciare uno spazio nell’orto. Coltiviamo la stessa cura, noi popolo della pace!”

E’ un invito a costruire una cultura della cura: “Costruiamo una cultura della cura e non delle mura! Una semplice consonante cambiata cambia il mondo! Non innalziamo mura di difesa, ma creiamo spazi di dialogo e di attenzione ai fratelli, alle sorelle e al creato. Oggi sembra che tutto possa diventare occasione di conflitto, come abbiamo potuto vedere tristemente nei fatti di ieri. Vogliamo che non sia così e anzi adoperiamoci per curare le ferite della società, nel nostro quotidiano, nei nostri ambienti di vita. Facciamo sì che questo impegno di oggi sia prassi quotidiana”.

(Foto di repertorio)

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