Papa Francesco: la fede non è mondanità

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Oggi papa Francesco ha firmato il decreto di beatificazione di papa Giovanni Paolo I, grazie al miracolo avvenuto per sua intercessione, la guarigione che riguarda una donna argentina, di Buenos Aires, insieme a quello della Venerabile Serva di Dio Maria Berenice Duque Hencker Fondatrice della Congregazione delle Piccole Suore dell’Annunciazione.

Firmato anche il decreto del martirio dei Servi di Dio Pietro Ortiz de Zárate, Sacerdote diocesano e Giovanni Antonio Solinas, sacerdote professo della Compagnia di Gesù; uccisi in odio alla fede il 27 ottobre 1683 a Valle del Zenta (Argentina). Inoltre il papa ha confermato le virtù eroiche del Servo di Dio Diego Hernández González, Sacerdote diocesano; nato il 3 gennaio 1915 a Javalí Nuevo (Spagna) e morto il 26 gennaio 1976 ad Alicante (Spagna); del Servo di Dio Giuseppe Spoletini (al secolo: Rocco Giocondo Pasquale), Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori,  nato il 16 agosto 1870 a Civitella (oggi Bellegra, Italia) e morto il 25 marzo 1951 a Roma (Italia);

della Serva di Dio Maddalena di Gesù (al secolo: Elisabetta Maria Maddalena Hutin), Fondatrice della Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù; nata il 26 aprile 1898 a Parigi (Francia) e morta il 6 novembre 1989 a Roma (Italia); della Serva di Dio Elisabetta Martinez, Fondatrice della Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca; nata il 25 marzo 1905 a Galatina (Italia) e morta l’8 febbraio 1991 a Roma (Italia).

Mentre durante la catechesi dell’udienza generale ha parlato dell’inculturazione del Vangelo secondo san Paolo: “Oggi vorrei sottolineare come questa novità di vita ci apra ad accogliere ogni popolo e cultura e nello stesso tempo apra ogni popolo e cultura a una libertà più grande. San Paolo infatti dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano.

Conta solo ‘la fede che si rende operosa per mezzo della carità’. Credere che siamo stati liberati e credere in Gesù Cristo che ci ha liberati: questa è la fede operosa per la carità.

I detrattori di Paolo (questi fondamentalisti che erano arrivati lì) lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per ‘piacere a tutti’, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa”.

E quindi la storia si ripete, perché anche oggi accade ciò che narra san Paolo: “Come si vede, la critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle. Paolo, comunque, non rimane in silenzio. Risponde con parresia (è una parola greca che indica coraggio, forza) e dice:

‘E’ forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!’. Già nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi si era espresso in termini simili, dicendo che nella sua predicazione non aveva mai usato ‘parole di adulazione, né… avuto intenzioni di cupidigia… E neppure… cercato la gloria umana’, che sono le strade del ‘far finta di’; una fede che non è fede, è mondanità”.

La fede annunciata dall’Apostolo non è rinuncia: “Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo.

Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo.

La liberazione ottenuta con il battesimo, infatti, ci permette di acquisire la piena dignità di figli di Dio, così che, mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse.

Accettare che noi siamo stati liberati da Cristo (la sua passione, la sua morte, la sua resurrezione) è accettare e portare la pienezza anche alle diverse tradizioni di ogni popolo. La vera pienezza”.

Quindi la fede è verità, come ricorda la Costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’: “Insomma, la visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo. E questo vuol dire che non c’è uniformità, c’è invece la varietà, ma varietà unita.

Da qui deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante.

E’ questo il senso di dirci cattolici, di parlare di Chiesa cattolica: non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani. Cattolico è un aggettivo che significa universale: la cattolicità, la universalità. Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti”.

Ed ha chiesto di adeguare l’annuncio alla dinamicità tecnologica: “Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana  non indica una visione statica della vita e della cultura, ma una visione dinamica, una visione dinamica anche della tradizione. La tradizione cresce ma sempre con la stessa natura.

Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire. Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza.

E’ la condizione di pellegrini; è lo stato di viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù per camminare verso la pienezza della libertà. E questo è il grande dono che ci ha dato Gesù Cristo. Il Signore ci ha liberato dalla schiavitù gratuitamente e ci ha messo sulla strada per camminare nella piena libertà”.

(Foto: Santa Sede)

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