La fotografia e il sacro. Salgado e Biasiucci

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In questi giorni si possono vedere, tra Napoli e Roma, due importanti e interessanti mostre fotografiche: Sebastião Salgado (Minas Gerais, Brasile 1941) con Genesi al Museo dell’Ara Pacis a Roma – fino al 15 settembre 2013 – ed Antonio Biasiucci (Caserta, Italia 1961) con Sacrificio, tumulto, costellazioni alla Casa della Fotografia a Villa Pignatelli a Napoli. Due mostre di successo: la fotografia trova nei musei uno spazio espositivo che le dona aura e attrattività, esaltandone i contenuti profondi. Qui la fotografia si propone come arte e non più come informazione poiché diventa veicolo di cultura e di riflessione. D’altra parte, due caratteristiche rendono la pittura e la fotografia arti visive antitetiche: in pittura è la realtà che viene risucchiata verso il pittore che la rielabora all’interno del quadro; in fotografia è invece il fotografo che si deve muovere verso il reale per poi lasciare che esso si disponga all’interno dell’immagine fotografica, come fa il cacciatore con la sua preda. E – come nel mito di Diana ed Atteone – l’arte capovolge i ruoli e il cacciatore diventa lui stesso preda.

Altra differenza: alla pittura si giunge attraverso un curriculum formativo e tecnico specificamente artistico, nel mondo della fotografia, invece, ci troviamo di fronte ad un’arte eclettica. Salgado ha studiato da economista, Biasiucci è un antropologo: entrambi, però, hanno trovato nell’immagine fotografica lo strumento più congeniale per il proprio discorso artistico e culturale. Salgado è un fotografo di rilevanza mondiale, Biasiucci è già noto a livello italiano ed anche internazionale: entrambi sono giunti, con queste mostre, a trovare la profondità dell’immagine fotografica all’interno dello spazio sacrale della natura e nella connessione misteriosa che lega l’uomo e le forme naturali. Si tratta di mostre solenni, nelle quali grandi immagini, di un raffinato e sgargiante bianco-nero, avvincono lo spettatore e imprimono dentro di lui il segno silenzioso, ma possente, della scoperta e della contemplazione. Nelle cinque sezioni che raccolgono le circa 200 fotografie di Salgado esposte all’Ara Pacis viene in luce una sensibilità drammatica e di grande scenario che stravolge lo sguardo antropocentrico e trionfalistico della fotografia naturalistica degli anni ’60 del Novecento.

Dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia, Genesi di Salgado ci parla della Wilderness, di un pianeta Terra che vive e si riproduce in un abissale silenzio anche senza l’umanità. In esso animali-uomini e uomini-animali si confondono con alberi e fiumi, cieli e montagne. Il progetto esplicito della mostra ha un contenuto ecologista (salvare il Pianeta vivente), ma le fotografie di Salgado vanno oltre e raggiungono lo svelamento del sacro mostrando l’altro senso della Terra: quello che essa possiede quando la natura diventa l’assoluto teatro di se stessa e la fotografia si fa sguardo aereo e ininfluente di fronte alla voce tonante e poderosa del Pianeta.

Il tema meta-antropologico del sacro emerge anche in Sacrificio, tumulto, costellazioni di Biasiucci. Qui il background è la fotografia antropologica degli anni ’60 e ’70; ma di nuovo stravolta. Non c’è lo sguardo analitico dei Levi-Strauss, Riefenstahl, Pinna: l’antropologia si è avvicinata al nostro luogo urbano e scava nel sottosuolo. La fotografia di Biasiucci parte dalla natura, ma è lavorata in studio: i reperti naturali ed etnologici sono decontestualizzati e indagati, con l’obiettivo, in piegature che fanno smarrire il significato manifesto a vantaggio di quello latente. Dal corpo umano, gravido, ammalato, rituale e sacrificale si passa al magma e al fango, alla materia terrestre amorfa e metamorfica ed ancora si giunge, con lievi slittamenti simbolici, a rocce ed asteroidi, a schegge laviche, a frammenti di vasi e infine a maschere di argilla che rivelano come il volto umano sia la manifestazione precaria e superficiale di una profondità abissale.

Nelle foto: Sebastião Salgado, Antartide; Antonio Biasiucci, Ex voto.

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