La Santa Sede: “Per la disciplina dei brevetti si tenga conto delle persone più povere e più vulnerabili”

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In gergo si chiama TRIPS, ed è l’accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà commerciale. Si tratta di un trattato internazionale promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1994, e chiede a tutti i Paesi membri di inserirsi in una particolare struttura legale per difendere il diritto della proprietà intellettuale. Però c’è un divario tra Paesi sviluppati e Paesi meno sviluppati, e spesso questi ultimi non hanno né le capacità tecniche né un ambiente favorevole per poter adeguare il loro sistema di legge. Per questo, i Paesi Meno Sviluppati hanno goduto di un regime di transizione, che sarebbe finito il 1 luglio di quest’anno. Ma il regime è stato ampliato – così è stato deciso al Consiglio dei TRIPS – fino al 1 luglio del 2021. E la Santa Sede ha espresso il suo plauso per una decisione arrivata al termine di negoziazioni in cui “è stata tenuta in conto la dimensione umanitaria ed etica”.

La “voce della Santa Sede” è stato Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente all’ONU presso l’ufficio di Ginevra. Chiamato a intervenire alla Conferenza dei TRIPS l’11 giugno, non solo ha messo in luce la soddisfazione della Santa Sede per l’accordo raggiunto ma ha voluto sollecitare gli Stati membri della conferenza di “tenere a mente che il principale obiettivo della comunità internazionale nello sviluppare un regime trasparente per quanto riguarda i diritti della proprietà intellettuale debba essere indirizzato al fine del bene comune e per il conseguimento di relazioni internazionali più eque, specialmente tenendo in considerazione le persone più povere e le più vulnerabili”.

Che il tema fosse particolarmente sentito, lo stanno a testimoniare i 98 interventi che ci sono stati nel corso del dibattito. Allo studio era se estendere o meno il periodo di transizione stabilito nell’articolo 66.1 dei TRIPS. “I Paesi membri meno avanzati  – vi si legge – a causa delle loro speciali esigenze e necessità, dei loro condizionamenti sul piano economico, finanziario e amministrativo e del loro bisogno di crearsi una base tecnologica efficiente” non sono tenute ad applicare le disposizioni dell’Accordo.

Quali siano questi Paesi, e quali siano le loro esigenze e necessità, Tomasi lo spiega, come d’abitudine, con i numeri. Il segmento “più povero e debole della comunità internazionale” costituito dai Paesi Meno Sviluppati è “popolato da più di  880 milioni di persone (approssimativamente il 12 per cento della popolazione mondiale), ma costituisce appena il 2 per cento del Pil mondiale e approssimativamente l’1 per cento del commercio internazionale in beni”.

Un basso livello di sviluppo socioeconomico influenzato anche dal “debole livello di capacità tecnica e istituzionale, di un reddito basso e distribuito in maniera disuguale, della scarsità di risorse finanziarie sul territorio”. Negli ultimi anni, si è delineato un paradigma di sviluppo per questi Paesi. Non è stato efficace.

“Dall’inizio del 2000 – spiega ancora Tomasi – la crescita continua in molti Paesi Meno Sviluppati (il 7 per cento annuo tra il 2002 e il 2007) non si è tramutato in una migliore qualità della vita per la popolazione”. Anzi, si sono create ineguaglianze. Il numero dei poverissimi è cresciuto di più di 3 milioni di unità l’anno dal 2002 al 2007, e “nel 2007 la popolazione dei Paesi Meno Sviluppati africani viveva con meno di 1.25 $ al giorno”. Altro dato che deve far riflettere: nei Paesi Meno Sviluppati risiedono più del 50 per cento del miliardo di persone che vive in estrema povertà. “Secondo un rapporto dell’UNCTAD del 2012 – ricorda Tomasi – questi paesi devono prepararsi ad un periodo di incertezza relativamente, con una possibile escalation di tensioni finanziarie e di declino economico”.

Insomma, i Paesi Meno Sviluppati sono quelli più lontani dal raggiungimento degli obiettivi internazionali di sviluppo. “La loro capacità produttiva è limitata, e hanno gravi deficit infrastrutturali. Nel 2011, dei 34 milioni di persone affette da HIV nel mondo, quasi 9,7 vivono nei Paesi Meno sviluppati. Di questi, 4,6 millioni hanno bisogno di un trattamento antiretrovirale, ma solo 2,5 milioni di questi lo ricevono e più della metà di quanti non possono essere curati morirà entro 24 mesi”.

Non è un accenno casuale, quello alle malattie. Sulle leggi di brevetto dei farmaci c’è una deroga a parte, l’estensione del regime di transizione è fissato fino al 1 luglio del 2016. Dunque, la scelta di prolungare la transizione sui TRIPS fino al 2021, apre la strada per una ulteriore implementazione della transizione per i farmaci. Importantissima nei Paesi Meno Sviluppati, dove l’accesso ai medicinali potrebbe risultare impossibile se la disciplina dei brevetti fosse a regime internazionale, ma senza le infrastrutture adeguate a regolarne l’accesso.

È anche vero che lo spostamento del regime di transizione è solo un passo. Nel dibattito si è parlato anche della possibilità di estendere il regime di transizione fino al momento in cui una nazione sia elevata al grado di “Paese in Via di Sviluppo”. Era l’obiettivo dell’ Instanbul Programme of Action, e Tomasi lo ricorda nel suo intervento. “L’Instanbul Programme of Action – dice l’osservatore permanente – è il primo a includere l’obiettivo di portare i paesi poco sviluppati a corrispondere ai criteri per l’elevazione con un programma articolato chiaramente, definito nel tempo e concreto”.

“Un sistema di proprietà intellettuale ben delineato – afferma Tomasi – deve bilanciare i diritti privati degli inventori con le necessità pubbliche della società”. Per questo, la Santa Sede non può che plaudire alla scelta di aumentare il tempo del regime di transizione per i Paesi Meno Sviluppati, una scelta che contribuisce a creare un equilibrio tra Stati. E non può che auspicare che “il senso di comune responsabilità” mostrato nella trattativa sui TRIPS “ci porti tutti a supportare questa estensione come un passo accelerato verso il progresso umano ed economico dei Paesi Meno Sviluppati”.

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