Papa Francesco: la Chiesa è koinonia

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Papa Francesco ha aperto stamane in Vaticano il momento di riflessione per l’inizio del Processo Sinodale ‘Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione’, che ha dato il via al Sinodo dei Vescovi, specificando che il Sinodo non è un ‘parlamento’. Infatti il protagonista del Sinodo deve essere lo Spirito Santo, se non ci sarà lo Spirito non ci sarà Sinodo:

“Viviamo questo Sinodo nello spirito della preghiera che Gesù ha rivolto accoratamente al Padre per i suoi: ‘Perché tutti siano una sola cosa’. A questo siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio… Nell’unico Popolo di Dio, perciò, camminiamo insieme, per fare l’esperienza di una Chiesa che riceve e vive il dono dell’unità e si apre alla voce dello Spirito”.

Ed ha ripetuto l’importanza delle tre parole-chiave (comunione, partecipazione, missione): “Comunione e missione sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria.

Il Concilio Vaticano II ha chiarito che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa e, allo stesso tempo, ha affermato che la Chiesa ha ricevuto ‘la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio’. Due parole attraverso cui la Chiesa contempla e imita la vita della Santissima Trinità, mistero di comunione ad intra e sorgente di missione ad extra”.

Usando le parole di san Giovanni Paolo II a conclusione del Sinodo del 1985 papa Francesco ha sottolineato che la natura della Chiesa è la ‘koinonia’: “Ecco dunque la terza parola, partecipazione. Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno. Vorrei dire che celebrare un Sinodo è sempre bello e importante, ma è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera”.

Infatti la partecipazione è un’esigenza della fede: “Il punto di partenza, nel corpo ecclesiale, è questo e nessun altro: il Battesimo. Da esso, nostra sorgente di vita, deriva l’uguale dignità dei figli di Dio, pur nella differenza di ministeri e carismi. Per questo, tutti sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Se manca una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare pie intenzioni”.

Ed ha chiesto che in questa koinonia siano coinvolti i laici: “Su questo aspetto abbiamo fatto dei passi in avanti, ma si fa ancora una certa fatica e siamo costretti a registrare il disagio e la sofferenza di tanti operatori pastorali, degli organismi di partecipazione delle diocesi e delle parrocchie, delle donne che spesso sono ancora ai margini. Partecipare tutti: è un impegno ecclesiale irrinunciabile! Tutti battezzati, questa è la carta d’identità: il Battesimo”.

Però il Sinodo annovera anche qualche rischio: “Il primo è quello del formalismo. Si può ridurre un Sinodo a un evento straordinario, ma di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro.

Invece il Sinodo è un percorso di effettivo discernimento spirituale, che non intraprendiamo per dare una bella immagine di noi stessi, ma per meglio collaborare all’opera di Dio nella storia. Dunque, se parliamo di una Chiesa sinodale non possiamo accontentarci della forma, ma abbiamo anche bisogno di sostanza, di strumenti e strutture che favoriscano il dialogo e l’interazione nel Popolo di Dio, soprattutto tra sacerdoti e laici”.

Ed ha messo in guardia i sacerdoti a guardarsi dalla loro ‘supremazia’: “Perché sottolineo questo? Perché a volte c’è qualche elitismo nell’ordine presbiterale che lo fa staccare dai laici; e il prete diventa alla fine il ‘padrone della baracca’ e non il pastore di tutta una Chiesa che sta andando avanti. Ciò richiede di trasformare certe visioni verticiste, distorte e parziali sulla Chiesa, sul ministero presbiterale, sul ruolo dei laici, sulle responsabilità ecclesiali, sui ruoli di governo e così via”.

Un altro rischio è quello dell’intellettualismo: “Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo (l’astrazione, la realtà va lì e noi con le nostre riflessioni andiamo da un’altra parte): far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo; una sorta di ‘parlarci addosso’, dove si procede in modo superficiale e mondano, finendo per ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche e staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio, dalla vita concreta delle comunità sparse per il mondo”.

Il terzo rischio è quello dell’immobilismo: “Infine, ci può essere la tentazione dell’immobilismo: siccome ‘si è sempre fatto così’, è meglio non cambiare. Chi si muove in questo orizzonte, anche senza accorgersene, cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo.

Il rischio è che alla fine si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore. Per questo è importante che il Sinodo sia veramente tale, un processo in divenire; coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione”.

Però oltre ai rischi il Sinodo offre anche alcune opportunità: “La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare.

Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera. Quanto ci manca oggi la preghiera di adorazione! Tanti hanno perso non solo l’abitudine, anche la nozione di che cosa significa adorare”.

La preghiera è mettersi all’ascolto: “Ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali”.

La terza opportunità è quella della vicinanza: “Torniamo sempre allo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio sempre ha operato così. Se noi non arriveremo a questa Chiesa della vicinanza con atteggiamenti di compassione e tenerezza, non saremo la Chiesa del Signore.

E questo non solo a parole, ma con la presenza, così che si stabiliscano maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio. Non dimentichiamo lo stile di Dio che ci deve aiutare: vicinanza, compassione e tenerezza”.

Concludendo questo momento di riflessione papa Francesco ha chiesto di mettersi in ascolto dello Spirito Santo: “Vieni, Spirito Santo. Tu che susciti lingue nuove e metti sulle labbra parole di vita, preservaci dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire.

Vieni tra noi, perché nell’esperienza sinodale non ci lasciamo sopraffare dal disincanto, non annacquiamo la profezia, non finiamo per ridurre tutto a discussioni sterili. Vieni, Spirito Santo d’amore, apri i nostri cuori all’ascolto. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo fedele di Dio. Vieni, Spirito creatore, fai nuova la faccia della terra. Amen”.

(Foto: Santa Sede)

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