Visto che manca la “prova regina”, nel maxi-processo in Vaticano contro “Becciu+9” i difensori chiedono la nullità. Stamane l’ordinanza del Tribunale

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Processo del secolo o forse del millennio contro il cardinale Angelo Becciu e altri nove. Sorpresa. Forse è stato tutto uno scherzo, una boiata che purtroppo ha coinvolto il Papa, conclude Renato Farina su Libero Quotidiano. Appena iniziato è in pericolo di chiudere con una sentenza di nullità e non dalla Sacra Rota ma dal laicissimo tribunale del Sovrano non illuminato dello Stato della Città del Vaticano.

Quando abbiamo sentito ieri il resoconto del pool dei giornalisti al termine della seconda udienza del maxi-processo contro “Becciu + 9”, dopo il rinvio a giudizio il 4 luglio scorso tra prove negate e ostacoli alla difesa, apertosi il 27 luglio scorso, abbiamo pensato che una sceneggiata come questa non avrebbero potuto inventare neanche gli autori di “scherzi a parte”. Ridere per non piangere, perché quello a cui abbiamo assistito sembrava più un epicedio, accompagnato da danze come era da costumo greco. Ciò ci ha ricordato l’epitaffio di François Rabelais: «Tirez le rideau, la farce est terminée!» (Tirate il sipario, la farsa è finita!). Nella speranza che questa mattina nell’aula bunker vaticano non si sentirà, come nei dialoghi del film horror fantascientifico del 2007 diretto da Juan Carlos Fresnadillo “28 Weeks Later”: «Abandon selective targeting. Shoot everything. We’ve lost control» (Abbandonate il mirare selettivo. Sparate a tutto. Abbiamo perso il controllo).

Al termine dell’udienza di ieri, durata poco più di 2 ore – hanno riferito i giornalisti del pool ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani – il Tribunale vaticano non si è riunito in camera di consiglio, ma alle ore 11.45 il Presidente Giuseppe Pignatone ha rinviato l’udienza alle ore 09.30 di oggi, quando leggerà l’ordinanza con cui scioglierà la riserva “su questa maxi richiesta delle parti”, come l’ha definita. All’udienza di oggi erano presenti solo il Cardinale Angelo Becciu e Mons. Mauro Carlino, suo ex Segretario particolare, assenti tutti gli altri.

Le possibilità sono rinvio degli atti o nullità del processo. Bisogna vedere se il Tribunale accetterà l’espediente scelto dalla Procura. Il buon senso e la stima per il Papa – sottolinea l’amico e collega Renato Farina su Libero Quotidiano di oggi -, ci dicono che dietro la ritirata ci sia un sobbalzo del cuore di Bergoglio e che qualunque sia la decisione del Tribunale, sarà necessario un intervento di Francesco. L’inchiesta di Libero Quotidiano nei mesi passati, ha svelato molte incongruenze: per esempio che sulla scrivania di Francesco sia arrivato il numero dell’Espresso che annunciava la scelta del Papa di rimuovere Becciu, prima che la decisione fosse presa. Ma dopo questa “crocefissione cautelare” (copyright di Alberto Melloni), che ne sarà di Becciu? Continuerà la tortura? Lo chiediamo insieme a Farina.

“Riprende il processo Becciu. Con la condanna già scritta”, ha scritto il 4 ottobre 2021 su Libero Quotidiano l’autorevole giornalista Vittorio Feltri, mentre in un editoriale sul Corriere della Sera, il giornale italiano considerato come il più autorevole, l’editorialista Ernesto Galli della Loggia scrive che il processo al Cardinal Becciu “è la replica a oltre un secolo di distanza — in una sede davvero inimmaginabile — di un processo celebre, quello ad Alfred Dreyfus: il capitano ebreo dello Stato Maggiore francese, vittima innocente del feroce pregiudizio antisemita delle alte gerarchie militari francesi e condannato all’ergastolo nel 1894 sotto l’accusa di spionaggio a favore della Germania. Lo è perché ogni processo in cui la condanna appare essere stata già decisa in anticipo mediante la fabbricazione di prove palesemente false e in cui l’imputato è di fatto un capro espiatorio, è una replica sostanziale di quell’evento”. Poi, il non meno autorevole giornalista Paolo Mieli ieri ha commentato ai microfoni di Radio24 quanto scritto da Ernesto Galli della Loggia e da Vittorio Feltri sullo strano processo contro il Cardinal Becciu, altri 9 imputati e 4 organizzazioni commerciali e finanziarie. Anche Paolo Mieli si è interrogato sulla correttezza e trasparenza di questo processo che ai più appare tanto irregolare in molti parti al punto che potrebbe diventare – ha concluso Mieli – un boomerang oppure inficiare i rapporti tra Italia e Santa Sede, nell’ambito giuridico, se lo Stato italiano venisse convolto direttamente con richieste specifiche discutibili [Il Giudizio Finale di Francesco. Domani riprende il processo di Becciu+9 al Tribunale vaticano – 4 ottobre 2021].

Manca la “prova regina” del maxi-processo in Vaticano sulla vicenda della gestione dei fondi della Segreteria di Stato che ruota intorno alla compravendita di un immobile di lusso al numero 60 di Sloane Avenue nel quartiere Chelsea al centro di Londra. Senza il video dell’interrogatorio di Monsignor Alberto Perlasca, che per tanti anni ha gestito la cassaforte della Segreteria di Stato, per i difensori dei dieci imputati, tra cui il Cardinale Angelo Becciu, il processo è da ritenersi nullo.

Monsignor Perlasca – che non figura più tra gli imputati – è stato interrogato 5 volte nelle lunghe indagini, 2 volte come imputato e altre 3 volte come persona informata sui fatti. I collegi difensivi chiedono di acquisire l’interrogatorio di Perlasca, prova decisiva per l’andamento processuale, e nonostante l’ordine del Tribunale, i Promotori di giustizia non permettono l’accesso alla registrazione audio-video delle deposizioni. Agli atti vi è solo un verbale molto stringato, in cui mancano molte parti della testimonianza di Perlasca. Mancano non solo le risposte, mancano pure tutte le domande.

Perlasca, che era a capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato (che gestiva la “cassaforte”), era il funzionario della Santa Sede più intimamente coinvolto nell’affare 60SA di Londra (secondo Gianluigi Nuzzi, a pagina 80 di “Giudizio Universale”, Chiarelettere 2019, “in data 23 marzo 2015 monsignor Luigi Mistò, il professor Della Sega e monsignor Alberto Perlasca hanno compiuto un sopralluogo, prendendo diretta visione dell’immobile [Sopralluoghi a Londra all’origine della tempesta finanziaria 60SA che sì è abbattuta sul governo del Papa, mettendo in pericolo il Pontificato e la Chiesa – 13 dicembre 2020]). Originariamente Perlasca era un sospettato chiave visto che ha firmato i contratti con i broker. Ma dopo il suo interrogatorio iniziale, ha licenziato il suo avvocato e apparentemente ha iniziato a collaborare con i Promotori di giustizia. Le informazioni dai suoi successivi interrogatori sono state così importanti per l’accusa, che gli hanno risparmiato l’incriminazione e che sono stati la base di diverse accuse contro i 10 imputati. Un interrogatorio ha portato a un’accusa di manomissione di testimoni contro il cardinale Becciu. La difesa ha visto solo un riassunto del resoconto di Perlasca, non gli interrogatori completi, e il team legale di Becciu ha appreso dell’accusa di induzione a testimoniare il falso, solo quando l’atto d’accusa è stato emesso il 3 luglio 2021. Le procedure vaticane richiedono che i sospetti abbiano la possibilità di rispondere alle accuse prima che inizia il loro processo.

Il Promotore di giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha fatto una richiesta a suo stesso dire “sorprendente”: “La restituzione degli atti del processo all’Ufficio del Promotore di Giustizia”, il che vuol dire “azzerare il processo fatto fino ad ora per procedere ad un corretto interrogatorio davanti al Promotore di Giustizia”. Le difese, infatti, hanno eccepito che i loro assistiti non siano stati sentiti in fase di istruttoria. “Noi interpretiamo il Codice non come un modo di imbrigliare il diritto di difesa, ma come tutela dei diritti della difesa”, ha precisato Diddi: “Non vogliamo calpestare questi diritti. Prima veniva fatta una sorta di interrogatorio al buio, senza che la difesa conoscesse gli atti. Oggi sarebbe possibile fare l’interrogatorio conoscendo gli atti, e questo dovrebbe essere concesso agli imputati”. “Ci sono stati attacchi molto violenti a questo ufficio e al tribunale”, ha fatto notare Diddi: “Secondo alcuni c’è una sentenza di condanna già scritta, il che è un atteggiamento non corretto”. Di qui il “disagio”, da parte del Tribunale vaticano, “per gli attacchi molto violenti, che sono forzature per impedire l’attività del Tribunale. Il processo sta crescendo con montature fuori dalle righe: diteci quali siano le prove false che abbiamo costruito”. Di qui la richiesta di Diddi di “sospendere le questioni procedurali e di restituire gli atti al promotore di Giustizia, per sentire gli imputati non sentiti in precedenza”. “Tutto ciò che è citato a livello dei media è totalmente irrilevante per il Tribunale, conta solo quello che è agli atti – ha aggiunto Pignatone – soprattutto quando riusciamo ad avere la completezza che ora non c’è”. Le parti civili si sono associate alla richiesta del Promotore di giustizia, mentre le difese hanno definito “del tutto irricevibili” le istanze di Diddi e hanno inoltrato la richiesta di nullità del processo: per loro sarebbe da considerare nullo il decreto di citazione a giudizio, sia per la mancanza dell’interrogatorio di alcuni imputati, sia per la mancanza di completezza degli atti, in particolare a causa della mancata disponibilità del video interrogatorio di Monsignor Alberto Perlasca, che nel processo costituisce la cosiddetta “prova regina”.

Il vaticanista di lunga corso, che firma con lo pseudonimo Sante Cavalleri, ha scritto il 4 ottobre 2021 sul Faro di Roma [QUI], testata online considerato vicino al Domus Sanctae Marthae: «Riprende lo strano processo al cardinale Becciu, già condannato anche se è innocente – (…) In realtà questa inchiesta appare viziata dall’enorme eccezione rappresentata dalla risposta negativa opposta dal pm Diddi all’ordinanza del presidente del Tribunale Pignatone che gli aveva imposto di consegnare la videoregistrazione dell’interrogatorio di mons. Perlasca, il sacerdote della Segreteria di Stato che accusa Becciu (forse per coprire sé stesso). Un conflitto che ha radici anche più antiche di questo processo perché da avvocato Diddi ha fatto crollare, come è noto, l’aggravante mafiosa contestata dall’allora procuratore di Roma nel processo Mondo di mezzo, vanificando di fatto l’inchiesta più importante della procura della Capitale guidata dal giurista palermitano (molto stimato da Papa Francesco) che oggi presiede il Tribunale Vaticano.
Certo Pignatone deve aver trovato conferma della spregiudicatezza di Diddi nella contesa sulla videoregistrazione di un interrogatorio sul quale poggia l’intero castello accusatorio contro Becciu. “Il fatto – ha spiegato qualche settimana fa Vittorio Feltri – è che a Londra c’è già stato un processo che ha ridotto in polvere le argomentazioni basate su Perlasca. Lo scorso marzo il giudice di Londra che ha dovuto pronunciarsi sulla richiesta di arresti e sequestri chiesta alla giustizia di Sua Maestà dai procuratori vaticani è stato addirittura irridente. Senza mai nominare nelle sue 47 pagine Becciu, che secondo lui non c’entra proprio nulla con questo pasticcio, parla di indagini caratterizzate da omissioni, elementi distorti e dal chiaro travisamento dei fatti”.
Scrive il giudice Baumgartner: “Il professor avvocato Alessandro Diddi dice che monsignor Perlasca era incapace e inetto. Anche se questo può essere vero, agire come un cospiratore disonesto è un’altra cosa”. Nota Feltri che “ci sono sette pagine dedicate a Baumgartner, tra le 488 pagine della requisitoria dei pm vaticani. Le tesi divergenti rispetto a quelle maturate all’ombra del Cupolone vengono stracciate con i denti, prese a calci (…). E che fa Diddi? Usa un aggettivo da sfida a duello, accusa il giudice di aver vergato nella sua sentenza ‘aberranti conclusioni’. Chi è Diddi? Baumgarntner lo chiama ‘professor avvocato’. Infatti è avvocato del foro di Roma, e in questa veste ora difende un tipetto del clan Casamonica, e in contemporanea fa il pm in Vaticano. E questo è solo uno degli strani intrecci esistenti tra giustizia d’Oltretevere e quella di qua dal Tevere”.
“Giovanni Spadolini – ricorda Feltri – auspicava un Tevere più largo. Si dà il caso che avvocati e procuratori si spostino dai palazzi di giustizia italiani, o addirittura dal ministero della Giustizia (l’ex guardasigilli Paola Severino è stata ingaggiata come avvocato di parte civile della Segreteria di Stato e un altro ex ministro della Giustizia, Flick, difende l’APSA), camminando tranquillamente sulle acque come a suo tempo il Nazareno. Miracoli di cui francamente avremmo fatto a meno per la trasparenza che dovrebbe valere ovunque ci sia di mezzo un qualsiasi essere umano che rischia la ghirba”».

L’amico e collega di lunga corsa Philip Pullella ha scritto ieri 5 ottobre 2021 per Reuters [QUI] (nostra traduzione italiana dall’inglese): «I pubblici ministeri del processo vaticano ammettono vizi del caso, disposti a indagare di più – L’accusa al processo vaticano di 10 persone accusate di reati finanziari, tra cui un cardinale, ha riconosciuto martedì debolezze nel suo caso e si è detta disposta a tornare alla fase investigativa per colmare le lacune contestate dalla difesa».

Poi, per The Associated Press riportato da ABC News il 5 ottobre 2021, Nicole Winfield scrive [QUI] (nostra traduzione italiana dall’inglese): «Il pubblico ministero fa un’offerta a sorpresa nel processo per frode vaticano – Un procuratore del Vaticano ha offerto martedì di riavviare sostanzialmente le sue indagini su frode e corruzione sull’investimento di 350 milioni di euro della Santa Sede in una proprietà londinese per porre rimedio a problemi procedurali che la difesa ha sostenuto sono così gravi dovrebbero annullare l’atto d’accusa. Il pm Alessandro Diddi ha proposto a sorpresa di ritirare tutte le prove e di interrogare nuovamente gli indagati, all’inizio della seconda udienza del processo apertosi a luglio. Diddi ha affermato che il suo ufficio ha sempre agito per garantire che i diritti degli accusati fossero rispettati e ha definito la sua proposta un modo di “buon senso” per affrontare le obiezioni della difesa. Gli avvocati dei 10 imputati hanno accusato l’ufficio di Diddi di aver trattenuto loro elementi chiave di prova e di non aver interrogato i sospettati durante la fase investigativa su tutte le accuse che sono finite nell’atto d’accusa. Sostengono che questi e altri presunti errori procedurali dovrebbero far respingere l’intera accusa. Gli avvocati sostengono che tali errori violano le procedure vaticane e danneggiano la loro capacità di allestire una difesa. I pubblici ministeri hanno mancato le scadenze per rendere disponibili tutte le prove e non hanno rispettato l’ordine del 29 luglio di consegnare gli interrogatori videoregistrati del sospetto diventato testimone chiave del caso, Monsignor Alberto Perlasca. (…) La difesa ha visto solo un riassunto del resoconto di Perlasca, non gli interrogatori completi, e il team legale di Becciu ha appreso dell’accusa di induzione a testimoniare il falso solo quando l’atto d’accusa è stato emesso il 3 luglio. Le procedure vaticane richiedono che i sospetti possano rispondere alle accuse prima dell’inizio del processo».

Per The Associated Press riportato da National Catholic Register il 5 ottobre 2021, Nicole Winfield scrive [QUI] (nostra traduzione italiana dall’inglese): «La Procura ammette errori, fa un’offerta al processo vaticano – La Procura vaticana ha ammesso il 5 ottobre errori procedurali nella sua indagine per frode e corruzione sulle finanze della Santa Sede e si è offerta di porvi rimedio ricominciando sostanzialmente da capo, rimettendo in discussione il processo di 10 persone davanti ad esso davvero decollato. (…) Il pm Alessandro Diddi ha proposto a sorpresa di ritirare tutte le prove e di interrogare nuovamente gli imputati all’inizio della seconda udienza di un processo apertosi a luglio. Diddi ha affermato che il suo ufficio ha sempre agito per garantire il rispetto dei diritti degli accusati e ha definito la sua proposta un modo “di buon senso” per affrontare le obiezioni della difesa. Gli avvocati dei 10 imputati hanno accusato l’ufficio di Diddi di aver trattenuto loro elementi chiave di prova e di non aver interrogato i sospetti durante la fase investigativa su tutte le accuse che sono finite nell’atto d’accusa. Sostengono che questi e altri presunti errori procedurali hanno gravemente danneggiato il loro diritto a un processo equo e la capacità di allestire una difesa. Hanno chiamato l’offerta di Diddi il 5 ottobre un ultimo disperato tentativo di salvare la faccia e hanno detto che era assurdo poiché non vi è alcuna disposizione nella legge per ritirare i file di prova che sono stati consegnati. Mentre Pignatone potrebbe respingere completamente l’accusa, farlo sarebbe una bomba e gli avvocati della difesa sospettavano che probabilmente avrebbe cercato di salvare ciò che può essere salvato in modo che il processo possa procedere. (…) Gli avvocati della difesa hanno sostenuto che gli errori procedurali durante l’indagine erano così dannosi per il loro diritto alla difesa che le accuse dovrebbero essere rigettate. I pubblici ministeri hanno mancato le scadenze per rendere disponibili tutte le prove e non hanno rispettato l’ordine del 29 luglio di Pignatone di consegnare gli interrogatori videoregistrati del sospetto diventato testimone chiave del caso, Mons. Alberto Perlasca. (…) Andrea Saccucci, un professore di diritto internazionale che ha portato cause davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo e non è coinvolto nel caso del Vaticano, ha detto che sembrava che la difesa avesse alcune censure legittime. “Sembra che ci siano diversi aspetti che pongono problemi dal punto di vista del rispetto dei diritti della difesa secondo gli standard internazionali”, ha detto Saccucci in un’intervista telefonica. Sebbene la Santa Sede non sia parte di convenzioni internazionali che garantiscano un processo equo, “chiaramente il mancato rispetto di questi diritti può invalidare un’eventuale condanna”, ha affermato Saccucci, ponendo anche problemi nel persuadere le autorità al di fuori della Città del Vaticano ad eseguire qualsiasi sentenza».

Di seguito riportiamo:

  • Lo scandalo in Vaticano. Il processo a Becciu parte e può già finire in nulla. La difesa chiede la nullità per il mancato deposito di alcuni atti tra cui il video dell’interrogatorio di Mons. Perlasca, teste dell’accusa. Oggi la decisione di Renato Farina – Libero Quotidiano, 6 ottobre 2021
  • Processo per il Palazzo di Londra, la difesa chiede la nullità: atti non depositati. Seconda udienza di due ore del procedimento per affari illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. Gli avvocati dei dieci imputati evidenziano vizi procedurali e chiedono di visionare i video degli interrogatori a monsignor Alberto Perlasca, considerato principale testimone. Il presidente del Tribunale Vaticano domani scioglierà “la maxi riserva” di Salvatore Cernuzio – Vatican News, 5 ottobre 2021

Lo scandalo in Vaticano
Il processo a Becciu parte e può già finire in nulla
La difesa chiede la nullità per il mancato deposito di alcuni atti tra cui il video dell’interrogatorio di Mons. Perlasca, teste dell’accusa. Oggi la decisione
di Renato Farina
Libero Quotidiano, 6 ottobre 2021


Processo del secolo o forse del millennio contro il cardinale Angelo Becciu e altri nove. Sorpresa. Forse è stato tutto uno scherzo, una boiata che purtroppo ha coinvolto il Papa. La pubblica accusa ha alzato le mani, si è arresa, ha proposto una sorta di via di fuga non per gli imputati ma per sé stessa. Vedremo stamani le decisioni che il Tribunale comunicherà alle parti e al mondo intero. Mentre il giornale viene stampato la camera di consiglio è in corso.

Ma eccoci a ieri mattina, alla cronaca che ha gli aspetti di un thriller tuttora in corso. Pochi i privilegiati che possono accedere all’aula predisposta ad hoc a ridosso della cupola di San Pietro. Li si guarda con una certa invidia. Si aprirà a momenti la seconda udienza. Come anticipato da Vittorio Feltri lunedì non è una tappa qualsiasi. C’è quella tensione palpabile che precede lo schierarsi dei contendenti nello scontro decisivo. Si sa che ci sarà battaglia. Ci si aspetta uno scontro senza prigionieri tra il Promotore di giustizia, cioè la Procura vaticana, che ha potuto giovarsi di un arsenale poderoso, godendo nei due anni della propria indagine di ben quattro «rescripta», cioè privilegi garantiti all’accusa dal Papa con altrettanti atti sovrani. Dei veri e propri bazooka che hanno consentito arresti, sequestri di beni e perquisizioni, intercettazioni «in deroga» (testuale) rispetto alla legge vigente, cioè senza vaglio di un giudice. Insomma carta bianca, mano libera. Questo cambio delle regole a gioco in corso, e solo per questa partita, è stato spiegato dall’ex ministra della Giustizia italiana, parte civile della Segreteria di Stato, Paola Severino, nella scorsa udienza del 27 luglio. La «sofferenza del Papa» e la «forte connotazione morale del processo» hanno indotto a misure inedite ma comunque compatibili con gli standard internazionali poiché «i parametri del giusto processo sono molto fluidi, sono tutti interpretabili».

Da ignoranti pensavano che il diritto non fosse fluidamente interpretabile, ma garantisse certezze. Studieremo di più. Fatto sta che le indagini condotte con questi strumenti innovativi, approntati per l’occasione, condussero i pm a risultati clamorosi, che furono comunicati tramite l’Espresso al Papa. Il 24 settembre del 2020 Francesco si trovò sulla scrivania, sulle pagine del settimanale ricevuto in anteprima, accuse così perentorie e prove a tal punto incontrovertibili da indurlo alla «crocefissione cautelare» (copyright di Alberto Melloni) del porporato sardo per aver consegnato ai propri parenti parte del tesoro dei poveri accantonato da Francesco. Libero ha smontato con una serie di articoli a partire dal 19 novembre scorso la cosiddetta pistola fumante dal punto di vista della sostanza, e questo sarebbe materia di valutazione processuale. Ma il punto è che quella pistola, nel momento in cui è stata annunciata, nel luglio scorso, dalla Procura è parsa subito inutilizzabile a chicchessia, senza cioè senza validità giuridica in qualsiasi Stato di diritto. Essa è infatti costituita da un interrogatorio realizzato il 31 agosto 2020 da colui che allora era il principale indagato, monsignor Alberto Perlasca. Il quale improvvisamente si è presentato ai magistrati vaticani senza difensore e ha vuotato – come si dice – il sacco.

Il gran rifiuto

Farina buona o crusca? Di qualunque materia si tratti, non vale. Perché è vietato da qualsiasi codice di Paese civile l’interrogatorio di un accusato senza la presenza del proprio difensore. (Primo motivo di nullità). Oltretutto questa confessione o j’accuse è stata video-registrata, ma i pm vaticani si sono rifiutati di depositarla, ufficialmente in ragione di rispetto della privacy, perché sia esaminata dalle difese e dal Tribunale. Ne è stata comunicata solo una striminzita verbalizzazione. C’era stata un’ordinanza del Tribunale che obbligava i pm ad ottemperare, sia pure in ritardo, a questo dovere. Niente da fare. In tal modo è stato violato in modo flagrante l’articolo 363 c.p.p. vigente nella Città-Stato (dove fa testo il codice Zanardelli del 1913). E lì si commina senza sfumature, o fluidità severiniana, la «nullità della citazione» in caso di questa inadempienza. Cioè nessun rinvio a giudizio, default del Promotore di giustizia.

Tutto facile e prevedibile? Non proprio. Dopo quattro «rescripta», perché non aspettarsi il quinto? Magari il pm entrerà in aula esibendo un ulteriore bazooka. Forse – questa era una eventualità accreditata – ci sarà un altro «rescriptum» o «motu proprio» che sani la questione brutalmente. Con relativa sollevazione e conseguente Aventino, trasferito sul Colle Vaticano, delle difese. Insomma: prima dell’udienza si immaginavano fuoco e fiamme. Invece, un attimo dopo le prime parole del professor Alessandro Diddi, procuratore aggiunto in rappresentanza del Promotore di giustizia, le facce della Corte e quelle di avvocati e giornalisti erano l’immagine della meraviglia dinanzi all’inaudito. Diddi ha alzato le braccia. Si è arreso. Per evitare la capitolazione senza neppure l’onore delle armi, ha proposto al dottor Giuseppe Pignatone, di consentire all’accusa una sorta di ritirata strategica. Ha detto: «Sento il dovere di soddisfare (le richieste della difesa) a metà». Traduzione per il volgo: facciamo finta di niente, e lasciateci riprovare per favore, tutti meritiamo una seconda occasione. Non ci si crede?

Trascrivo la cronaca proposta da Vatican News, sito ufficiale dei sacri Palazzi: «L’udienza si è aperta con una richiesta del promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, egli stesso ha definito “sorprendente” e cioè la restituzione degli atti processuali (oltre 29mila documenti) all’Ufficio del Promotore. Cosa che significherebbe far ripartire da zero il processo con nuovi interrogatori. Secondo Diddi, sarebbe un modo per “venire incontro” alle esigenze di alcuni avvocati e una “testimonianza concreta che non si vogliono calpestare i diritti della difesa”».

È stato come se un gigantesco dirigibile, ammirato da tutto il mondo, si fosse sgonfiato per il colpo di spillo di chi l’aveva costruito e fatto volare sotto lo sguardo del Papa.

Diddi, secondo un antico cliché, si è lamentato degli attacchi «molto violenti arrivati a questo ufficio» da parte della stampa che avrebbe insinuato che vi sarebbe già una sentenza di condanna scritta oltre che prove fasulle. Qui il riferimento è a Libero. Pignatone ha risposto al volo: «Posso assicurare il Promotore che quello che agita il cuore dei giornalisti è irrilevante per il Tribunale e se ci sono problemi di prove false lo affronteremo». Le difese hanno chiesto la nullità delle citazioni a giudizio.

Che fare?

Alle 9 e 30 di oggi il responso. Due sono le possibilità. Rinvio degli atti o nullità ciao processo. Bisognerà vedere se il Tribunale accetterà l’espediente della Procura che ha buttato la palla in tribuna. O la squalifica dell’accusa. Comunque vada, qualunque decisione prenda il presidente Giuseppe Pignatone insieme con i giudici a latere, sarà un rimedio comunque parziale a un disastro. Il buon senso e la stima per Papa Bergoglio suggeriscono che dietro la ritirata strategica del Promotore di giustizia ci sia un sobbalzo del cuore del Santo Padre, che intenda ripristinare il corso del «giusto processo» che in questi anni di indagine ed ancora in questi ultimi mesi, a partire dalla richiesta di rinvio a giudizio del 4 luglio scorso, è stato come minimo terremotato offendendo il diritto della difesa. E se di questo qualche merito l’ha avuto Libero con l’inchiesta di Feltri, tanto meglio. Che ne sarà di Becciu? Continuerà la tortura?

Processo per il Palazzo di Londra, la difesa chiede la nullità: atti non depositati
Seconda udienza di due ore del procedimento per affari illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. Gli avvocati dei dieci imputati evidenziano vizi procedurali e chiedono di visionare i video degli interrogatori a monsignor Alberto Perlasca, considerato principale testimone. Il presidente del Tribunale Vaticano domani scioglierà “la maxi riserva”
di Salvatore Cernuzio
Vatican News, 5 ottobre 2021


Il nuovo appuntamento è stato già fissato a domani mattina e sarà un momento cruciale per il cosiddetto “processo del palazzo di Londra”, il procedimento giudiziario per affari illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. Alle 9.30, il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, leggerà l’ordinanza per stabilire la nullità o meno del decreto di citazione a giudizio e quindi l’azzeramento dell’intero processo, giunto oggi alla seconda udienza durata poco più di due ore.

Omesso deposito degli atti

“Nullità” è stata la parola ricorrente negli interventi degli avvocati difensori, i quali hanno eccepito l’annullamento “per omesso deposito degli atti” del decreto di citazione in giudizio dei dieci imputati. Tra loro, il cardinale Giovanni Angelo Becciu e monsignor Mauro Carlino, unici presenti in aula. In particolare, gli avvocati hanno contestato il fatto che i Promotori di Giustizia si sarebbero rifiutati per motivi di privacy e per evitare diffusioni indebite di adempiere agli obblighi di depositare entro il 10 agosto il materiale mancante, a cominciare dalle registrazioni video e audio rese da monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato fino al 2019, delle quali resta al momento solo un verbale di sintesi.

Stasi processuale

Il monsignore comasco – al quale erano stati perquisiti documenti e computer nel febbraio 2020 – figurava inizialmente tra gli indagati. Per cinque volte lo scorso anno è stato interrogato dal Promotore di Giustizia, le ultime tre come persona informata dei fatti. Dopo il primo interrogatorio del 29 aprile, Perlasca si è presentato spontaneamente il 31 agosto senza l’avvocato Rita Claudia Baffioni, la quale, in un terzo interrogatorio di settembre, ha eccepito la nullità di quanto dichiarato prima dal suo assistito. Il 17 settembre Perlasca ha revocato l’incarico della legale. Gli avvocati, considerando le dichiarazioni di Perlasca come la “prova regina”, hanno affermato che finché non potranno visionare il materiale continueranno ad opporsi. Il rischio è di una “stasi processuale”. Pignatone ha preso tempo e rimandato a domani la lettura del dispositivo che “scioglierà la maxi riserva incamerata fino a questo momento”.

Restituzione degli atti

L’udienza si è aperta con una richiesta del promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, che egli stesso ha definito “sorprendente” e cioè la restituzione degli atti processuali (oltre 29mila documenti) all’Ufficio del Promotore. Cosa che significherebbe far ripartire da zero il processo con nuovi interrogatori. Secondo Diddi, sarebbe un atto di “buon senso” per venire incontro alle esigenze di alcuni avvocati che lamentavano il mancato interrogatorio dei loro assistiti durante la fase istruttoria, oltre che una “testimonianza concreta che non si vogliono calpestare i diritti della difesa”.

Prove “false” e attacchi al Tribunale

Il promotore ha inoltre parlato di “attacchi violenti a questo Ufficio e al Tribunale” da parte di alcuni media, secondo i quali “c’è una sentenza di condanna già scritta”. “Non è un atteggiamento corretto, sono forzature per inficiare l’imparzialità dei giudici”. Quanto a presunte “prove false” infiltrate negli atti, sempre a detta di alcune testate, il promotore ha affermato: “Questo processo sta nascendo come montatura di polemiche fuori dalle righe. Diteci quali sono queste prove false perché vogliamo indagare su chi le ha costruite”. Pronta la replica di Pignatone: “Tutto quello che viene citato in polemiche giornalistiche è irrilevante a questo Tribunale, conta quello che c’è negli atti. Soprattutto quando riusciremo nell’impresa di avere una completezza degli atti”.

Apsa parte civile

Prendendo la parola, gli avvocati della parte civile (Segreteria di Stato, APSA, IOR) hanno aderito alla richiesta del Promotore di Giustizia. Il professor Giovanni Maria Flick, ex presidente della Corte Costituzionale italiana al quale l’APSA ha conferito il mandato il 7 settembre, ha parlato di tre obiettivi: “Collaborazione con il Tribunale, difesa dei diritti spettanti all’APSA, rispetto rigoroso di tutti i diritti di difesa”. La costituzione a parte civile dell’APSA è stata contestata dall’avvocato Luigi Panella, difensore di Enrico Crasso, perché rischia di “duplicare” le pretese risarcitorie già presentate dalla Segreteria di Stato.

Garantismo di ritorno

Sia Panella che gli altri avvocati hanno poi definito “irricevibile”, “inammissibile” o “irritrattabile” la richiesta dei Promotori di Giustizia di restituzione gli atti. Di “garantismo di ritorno”, ha parlato invece l’avvocato Roberto Borgogno, difensore dell’ex direttore dell’AIF Tommaso Di Ruzza, dicendosi “sorpreso” dall’atteggiamento del promotore di Giustizia dal momento che “Di Ruzza è stato oggetto di provvedimenti severi” (sequestri e sospensione dall’incarico), che hanno avuto un effetto “devastante” sulla sua vita professionale e personale.

La replica del Promotore di Giustizia

A conclusione delle due ore di udienza, il promotore Diddi ha replicato, punto per punto, alle accuse dei difensori, invitati a mantenere un atteggiamento “sereno” da parte di Pignatone. “Nessuno vi vuole privare di nulla. Non abbiamo detto che non vogliamo dare i video ma abbiamo chiesto la possibilità di tutelare la riservatezza di terzi”, ha detto in riferimento all’interrogatorio di Perlasca. Pignatone ha fatto notare che la difesa deve però avere a disposizione tutti gli atti. Si parla di oltre 300 Dvd per un costo di quasi 371mila euro: “Non è facile”, ha ribattuto il promotore aggiunto. Per questo l’accusa ha fatto una scelta del materiale realmente rilevante per il processo. Ma tali dati dovevano essere espunti prima della citazione in giudizio, ha replicato Pignatone. Diddi ha ammesso che quello è stato un errore.

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