Il card. Zuppi invita ad imitare san Petronio nell’amare la città

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Petronio è attestato in forma documentata come ottavo vescovo di Bologna nell’Elenco Renano, un’antica lista dei vescovi bolognesi. In base a considerazioni storiche, il suo episcopato va collocato tra il 431 e il 449 (o 450). La reale esistenza del personaggio è suffragata da due testimonianze a lui coeve: Eucherio di Lione lo cita in una lettera come esempio di persona che aveva abbandonato una posizione sociale molto elevata per entrare nell’ordine sacerdotale; Gennadio di Marsiglia descrive Petronio, vescovo di Bologna, uomo di santa vita ed esercitato fin dall’adolescenza negli studi dei monaci.

E Bologna ha celebrato il suo patrono proprio nel giorno della festa di san Francesco di Assisi con una celebrazione eucaristica presieduta dal card. Matteo Zuppi nella chiesa a lui dedicata: “Questa casa ha tanta ‘lunghezza’, per orientare il cammino nell’incontro con Colui che è con noi e avanti a noi; ha ‘ampiezza’, per esprimere tanta accoglienza, lo spazio per tutti, perché l’incontro con Dio ci aiuta a vivere in comunione tra noi ma prepara sempre un posto per ciascuno e per chi ancora non c’è.

L’altezza, quasi incredibile oggi tanto più pensando all’epoca, che rende vicino il cielo, spazio di incontro tra questo e la terra, altrimenti immensità che ci sgomenta, ma anche aiuto a guardare in alto per liberarci dalla meschinità e per ricordarci che non è il nostro orgoglio a sollevarci ma l’amore che ci rende grandi”.

L’arcivescovo di Bologna ha sottolineato l’amore del patrono per la città: “La tiene stretta a sé per dire che la ama e ce la presenta per chiederci di amarla. E’ l’amore che colora la vita, che dona all’altro volto e storia, tanto che l’altro non è un anonimo: è il tuo prossimo. Gli uomini di Dio non vivono fuori dal tempo, ridotti o autoridotti in una dimensione intimistica e individualizzata.

Petronio ha tra le mani la città degli uomini perché la custodisce ma senza possederla, la serve ma non la comanda. Il cristiano ama e l’amore non è possesso, ma comunione e relazione. Il cristiano non si occupa solo dei ‘nostri’, di quelli come lui o che gli convengono. Tutto e tutti sono suoi nell’amore e questo diventa di volta in volta anzitutto preghiera, intimità con Dio e con il prossimo, ma anche solidarietà, gratuità, ascolto, protezione, accoglienza, condivisione, prestito”.

Quindi la città è l’opposto dell’egoismo: “Ci aiuta l’Apostolo Paolo che ci ricorda di non valutarci più di quanto è conveniente. La vera valutazione è, infatti, pensarci relativi a Dio e necessariamente quindi con il nostro prossimo…

Il protagonismo individualistico riduce tutto al proprio ruolo. Solo se membra l’uno dell’altro capiamo quanto siamo importanti perché utili e quanto sono importanti gli altri, perché necessari a noi.

I doni diversi non devono diventare uguali, ma servono per migliorare tutto il corpo, per fare stare bene tutti, per cercare l’eccellenza che ci libera dalla mediocrità. Che ci facciamo di un dono se lo pensiamo da solo o lo usiamo per noi? Si perde, diventa inutile”.

Ed ha indicato le quattro virtù cardinali: “Vorrei allora indicare le quattro virtù cardinali, che poi sono anche quelle che reggono le altre, spirituali e umane, per tutti e di tutti al di là della fede. La prudenza, che non è rimandare le scelte ma l’indispensabile discernimento, libertà dalla pericolosa incoscienza digitale che impone i suoi tempi e nasconde i limiti di ognuno.

La giustizia, che non è facoltativa, che difende dalla corruzione e cerca le stesse opportunità per tutti, a ciascuno nella misura necessaria, iniziando ad aggiustare l’ascensore sociale, quello dello studio e del lavoro ma anche quello che fa salire il prossimo nella nostra personale valutazione.

La fortezza, che ci libera dalla fragilità per cui ci sentiamo vittime o finiamo per credere forza l’aggressività o l’esibizione di sé, perché la fortezza ci libera dalla paura di amare, ci fa combattere il peccato ma sempre con tenera misericordia per il peccatore.

Infine la temperanza, la moderazione del proprio io, che altrimenti si riduce a istinto, indotto sempre da qualche interessata pornografia della vita, perché solo dominando l’istinto ci impadroniamo per davvero del nostro io, scopriamo i fratelli con un amore più resistente delle delusioni”.

L’arcivescovo ha concluso l’omelia invitando a cercare Dio nella città degli uomini: “Sia benedetta la città degli uomini, dove incontriamo la presenza di Dio. Scegliamo sempre i suoi fratelli più piccoli. Tutti possiamo fare qualcosa. Non c’è mai nessuno che non possa aiutare qualcuno più povero di lui, ricordava il grande vescovo brasiliano Helder Camara”.

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