Articoli suo Caso Becciu+9 del 29 settembre e del 4 ottobre 2021

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Condividiamo di seguito, come abbiamo annunciato [Il Giudizio Finale di Francesco. Domani riprende il processo di Becciu+9 al Tribunale vaticano – 4 ottobre 2021], i seguenti articoli:

Tra prove negate e ostacoli alla difesa, il 4 luglio è stato deciso il rinvio a giudizio di Vittorio Feltri – Libero Quotidiano, 4 ottobre 2021
Un procedimento singolare: ecco perché io difendo Becciu di Ernesto Galli della Loggia – Corriere della Sera, 4 ottobre 2021
Al processo vaticano, la difesa mette in discussione lo stesso ordinamento giuridico di Nicole Winfield – Associated Press, 4 ottobre 2021 (nostra traduzione italiana dall’inglese)
Il cardinale Pell chiede che il Papa garantisca al cardinale Becciu un processo giusto di Franca Giansoldati – Il Messaggero, 29 settembre 2021.

Tra prove negate e ostacoli alla difesa, il 4 luglio è stato deciso il rinvio a giudizio
di Vittorio Feltri
Libero Quotidiano, 4 ottobre 2021


Domani riprendono due processi che mi stanno a cuore. Il primo un po’ di più, per ragioni egoistiche. A Catania il giudice deciderà se condannarmi o meno per la faccenda del “tubero bollente”, con la relativa richiesta di pena a 3 anni e 4 mesi di galera per un titolo che neppure ho fatto io. Ma sul tema, la chiudo qui, e amen. Il termine devozionale, magari cantato in gregoriano, introduce opportunamente il secondo processo, quello che si sta svolgendo in Vaticano contro il cardinale Becciu e altri nove imputati tra ecclesiastici e no. Siamo agli esordi del dibattimento, ma l’amen ci sta lo stesso. Infatti tuttoquanto è accaduto dall’inizio dell’indagine induce chiunque a considerare finita la partita, con l’ovvia condanna da parte del Tribunale del Papa. Appare impossibile, infatti, a chiunque abbia consuetudine di mondo nonché di sacrestie, che un giudice per quanto laico e di sicura esperienza come il presidente Giuseppe Pignatone osi capovolgere la sentenza emessa dallo stesso Pontefice il 24 settembre del 2020, quando decretò in quattro e quattr’otto la crocefissione cautelare di colui che era stato fino a poco prima il suo più stretto collaboratore e che si trovò privato di reputazione e della possibilità di esercitare le prerogative di cardinale, pur conservandone il titolo, con l’accusa di aver derubato i fondi dell’obolo destinato ai poveri per consegnarlo ai parenti sardi.
Prove? Che bisogno c’è? Com’è noto: Roma locuta, causa finita est. Per questo mi hanno dato del matto quando ho cominciato a rovistare in questa faccenda dove l’intero globo, angeli e diavoli, cattolici e atei, inneggiavano alla pulizia delle sacre stalle intrapresa da Francesco con la crocefissione preventiva del suo ex pupillo.
L’inchiesta condotta da Libero ha svelato inghippi clamorosi. La presunta istantanea e spontanea condanna di papa Bergoglio più che spontanea appariva «spintanea», da chi aveva passato anzitempo carte e addirittura la defenestrazione di Becciu prima che il Santo Padre potesse sfogliare in anteprima il numero dell’Espresso con le accuse infamanti, postogli sul tavolo come mannaia per la decapitazione. A mano a mano abbiamo svelato come l’evidenza dei fatti smentisse il tam tam dei mass media conformisti, e abbiamo reso nota la sentenza di Londra che nel marzo dello scorso anno stracciava la toga dei pm vaticani trattandoli da imbroglioni che nascondevano elementi a favore degli indagati.Monarca assoluto
Finché c’è stato il rinvio a giudizio il 4 luglio e la prima udienza si è svolta il 27 luglio. E qui si è scoperta l’acqua calda, e cioè che il Papa è un monarca assoluto nei confini delle mura leonine: nella Città del Vaticano è legislatore, esecutore e giudice. Ma quest’acqua senz’altro calda e pure benedetta è stata pure avvelenata in corso d’opera. Cioè è emerso che con quattro atti amministrativi (detti rescripta) il Papa è intervenuto a inchiesta in corso consentendo ai promotori di giustizia (i pm) di derogare dalla legge: tra cui quella di arrestare e disporre intercettazioni senza il vaglio del giudice istruttore. L’abrogazione dell’habeas corpus, cioè dei diritti di difesa, in nome del Papa Re. Possibile che nessuno dei grandi difensori del principio universale dei diritti umani, validi senza confini perché sanciti dall’Onu, non si sia accorto che ahimè in questo caso Vaticano è uguale a Talebano? Incredibile ma vero.
C’è altro? C’è altro, eccome. Il presidente Pignatone in luglio emette un’ordinanza, non una consiglianza, dove appunto ordina e non consiglia che «entro e non oltre il 10 agosto, il Promotore di Giustizia (la Procura, ndr) depositi… le registrazioni audio e/o audio video… di tutti i contributi offerti… da Mons. Perlasca». E che fa la Procura vaticana? Si rifiuta. Accampa giusto per quella data motivazioni in ordine alla privacy… C’è di mezzo il destino di persone che si giocano la vita, e con che diritto danno l’altolà?
Non è una questione formale. Monsignor Alberto Perlasca è con la sua testimonianza il perno dell’accusa. Ha deciso improvvisamente di «bussare alla porta» (parola del pm) dell’accusa il 31 agosto del 2019. Pur essendo incriminato si recava lì senza difensore. Che cosa è accaduto? Come ha giustificato la sua volontà? È stato fatto riferimento ai benefici che poi Perlasca (colui che ha firmato materialmente gli spostamenti di milioni di euro per investire nel famoso palazzo di Londra) ne avrebbe ricavato? In assenza di una qualsiasi legge premiale per i collaboratori di giustizia, leggasi pentiti, Perlasca si è infatti ritrovato prosciolto da ogni accusa, candido come un agnello.
Cosa deciderà il presidente Pignatone domani? Darà ragione ai pm? O forse questi presenteranno un altro rescriptum del Papa che li autorizza a tenere riservata l’audio registrazione contenente la prova regina? Cosa dice di così grave da essere inascoltabile? E in quale condizione psichica è il monsignore contabile? Non sono questioni cavillose ma di sostanza giuridica.
La strana coppia
Così come i fatti che sono stati oggetto di due citazioni ai Tribunali civili di Como e di Milano nell’interesse del cardinale Becciu, 93 pagine in tutto, depositate dall’avvocato Natale Callipari un istante dopo la presentazione delle 500 pagine di rinvio a giudizio del porporato e degli altri imputati.  Colmano una lacuna: espongono ai magistrati italiani, perché li valutino, e magari ne prendano nota Oltretevere, l’esistenza e l’operato come fossero un cuore e un’anima sola della strana coppia, che è la pietra angolare, ma forse anche d’inciampo, dell’accusa. Quella di monsignor Alberto Perlasca e di Genoveffa Ciferri. Vediamo questi fatti.
Nel 2017 la signora, che si qualifica anche come collaboratrice dei servizi segreti, va dal notaio e concede un vitalizio per assistenza spirituale a monsignor Perlasca, e quindi gli porge in donazione tutti i suoi beni, una ventina tra terreni e case. Dopo che il reverendo finisce in disgrazia, è documentato dai tabulati come Geneviève – si fa chiamare così – prima pretende da Becciu con toni perentori protezione per il suo amico in talare. Spinge il cardinale a dire una buona parola al Papa. Il porporato lo fa, assicura lui, ma invano. Intanto Perlasca minaccia di suicidarsi con un messaggio delirante a Becciu, che fa intervenire la gendarmeria per bloccare l’insano gesto con cui il monsignore minacciava di buttarsi proprio dal tetto di Santa Marta sulla testa del Papa… Un medico dispone di dargli i calmanti del caso.
Minacce
A questo punto cambia tutto. La supplica diventa minaccia. Becciu fornisce la testimonianza della suora che ha assistito alle visite violente della signora. La quale profetizza in messaggi e telefonate l’impiccagione pubblica del cardinale sardo. E chi preparerà la forca sarà proprio la coppia angelica o forse diabolica Ciferri-Perlasca. Il 30 agosto il cappio, anzi la croce, è predisposta. Il 24 vi è inchiodato il cardinale.
Chi può farlo scendere da lì sarebbe il ripristino pieno delle regole del giusto processo che certo è nelle prerogative di papa Francesco e di sicuro coincide con il suo animo evangelico. Ma mi dicono che sarebbe questo un miracolo.
Intanto segnaliamo, in attesa di quello appena auspicato, un piccolo miracolo realizzato durante queste vicende di repulisti. È accaduto che intervenendo con un motu proprio datato 26 dicembre 2020 il Papa abbia trasferito i beni della Segreteria di Stato all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa). Sembra una sciocchezza formale rispetto al processo. Invece con questo atto il Pontefice non moltiplica i pani e i pesci però, a indagine in corso, raddoppia le parti civili, cioè i difensori della tesi accusatoria. Si può fare? Paola Severino, parte civile della Segreteria di Stato, ha spiegato che l’idea di giusto processo è «fluida», dunque è lecito.
Curiosità. L’avvocato dell’Apsa è Giovanni Flick, anch’egli ex ministro della Giustizia italiana. Si presta anche lui come garante dell’ingiusto processo, a quanto pare.

Un procedimento singolare: ecco perché io difendo Becciu
di Ernesto Galli della Loggia
Corriere della Sera, 4 ottobre 2021


Il processo a carico del cardinale Angelo Becciu di cui inizia domani in Vaticano la seconda udienza è la replica a oltre un secolo di distanza — in una sede davvero inimmaginabile — di un processo celebre: quello ad Alfred Dreyfus: il capitano ebreo dello Stato Maggiore francese, vittima innocente del feroce pregiudizio antisemita delle alte gerarchie militari francesi e condannato all’ergastolo nel 1894 sotto l’accusa di spionaggio a favore della Germania. Lo è perché ogni processo in cui la condanna appare essere stata già decisa in anticipo mediante la fabbricazione di prove palesemente false e in cui l’imputato è di fatto un capro espiatorio, è una replica sostanziale di quell’evento.
Potrebbe farmi velo, lo ammetto, la conoscenza personale che ho dell’imputato. Ma ci sono uomini di Chiesa che danno immediatamente l’impressione, come si dice, di crederci, di custodire nel cuore una fede e una promessa, e altri no. Altri di cui immediatamente capisci che hanno cose ben diverse per la testa. Angelo Becciu mi è sempre sembrato appartenere alla prima categoria. Posso sbagliarmi, naturalmente. Ma se mi sbaglio, se egli ha commesso realmente quanto gli viene addebitato, come si spiega allora la clamorosa violazione delle regole che ha caratterizzato l’intera istruttoria del processo? Come si spiega che per ben quattro volte a istruttoria già in corso il Pontefice sia intervenuto con la sua autorità di legislatore assoluto per consentire nuove procedure, e stabilire nuove norme immancabilmente sfavorevoli a Becciu? Mi chiedo in quale altro luogo del mondo civile ciò sarebbe stato permesso senza che ne nascesse uno scandalo. E come si spiega poi il tentativo dell’accusa di evitare la presenza in aula del principale testimone dell’accusa stessa, sottraendo così costui ad un prevedibilmente scomodo controinterrogatorio da parte della difesa dell’imputato? Ed è normale che un tale fondamentale testimone non sia altri, guarda caso, che colui che nella prima fase dell’inchiesta era lui il principale imputato: il quale oggi, invece, è miracolosamente uscito del tutto dal mirino dei giudici? È lecito o no nutrire qualche sospetto circa una così straordinaria trasformazione di ruoli?
Sono, quelli che ho elencato, tutti elementi ben noti, dei quali in questi mesi gli organi d’informazione hanno riferito, certo, ma (tranne un caso) lo hanno fatto sempre in tono diciamo così sommesso, quasi reticente, spesso tra parentesi, e soprattutto evitando di legare i vari elementi tra di loro per mettere in luce la singolare qualità del procedimento avviato dietro le mura leonine. Convinti, evidentemente, che solo al Cairo si possa amministrare la giustizia secondo i desideri del potere. Potere che nel nostro caso — anche questo va ricordato — si può dire che dal suo canto abbia già provveduto ad emettere la virtuale condanna preventiva dell’imputato — addirittura prima ancora che egli divenisse giuridicamente tale — sanzionandolo con la perdita di tutti gli attributi della sua carica cardinalizia. È immaginabile, mi chiedo ancora, che dopo una tale sanzione dall’alto possa esserci la smentita clamorosa di una sentenza di assoluzione? E che razza di processo è un processo in cui almeno in parte la pena è già irrogata in anticipo, a prescindere dall’esito dello stesso?
Sono abbastanza evidenti i due motivi della disattenzione della stampa e dell’opinione pubblica per i tanti aspetti poco limpidi, per usare un eufemismo, di tutta questa vicenda. Da un lato c’è in molta parte del pubblico, io credo, la volontà, spesso morbosa, di condanna a tutti i costi, di punizione esemplare nei confronti di chiunque sia a qualunque titolo sospettato (meglio se un potente naturalmente) di aver approfittato della propria carica per un vantaggio finanziario, di essersi messo illecitamente dei soldi in tasca. E dall’altro lato ci sono la figura e il prestigio di papa Francesco.
Il lettore capirà quanto delicato diventi a questo punto il discorso. La figura del Pontefice gode infatti di un vastissimo consenso che lo mette facilmente al riparo dalle critiche. È un consenso cui hanno contribuito il contenuto ma forse soprattutto il tono di molte sue parole, che gli hanno conquistato tra l’altro l’appoggio pressoché incondizionato del sistema mondiale dei media. I quali, consacrandone un’immagine liberal, ne hanno accresciuto ancora di più la popolarità. È questa molto probabilmente la ragione del sostanziale silenzio che fin qui è valso a mantenere in ombra le circostanze assai anomale che hanno caratterizzato il procedimento contro Becciu.
Ma i fatti sono fatti, ed è difficile sfuggire all’interrogativo cruciale che essi pongono: come si armonizzano le circostanze suddette non solo con l’immagine liberal di Francesco ma vorrei dire più in generale con quell’esercizio della giustizia che, se non del Vaticano in quanto Stato, dovrebbe essere almeno tra le prime preoccupazioni di un Pontefice? Confesso di non saper dare una risposta. E di non volere neppure provare ad azzardarne una. Ma può essere questa una buona ragione per non porsi la domanda, specialmente se ne va di mezzo la sorte di un uomo?

Al processo vaticano, la difesa mette in discussione lo stesso ordinamento giuridico
di Nicole Winfield
Associated Press, 4 ottobre 2021

(nostra traduzione italiana dall’inglese)

Gli avvocati difensori mettono in dubbio la legittimità del tribunale vaticano dove 10 persone sono sotto processo con accuse legate alla finanza, sostenendo che i loro clienti non possono ottenere un processo equo in una monarchia assoluta dove il papa è già intervenuto nel caso e dove i pubblici ministeri hanno fallito per consegnare prove chiave.
Nelle mozioni di difesa prima della ripresa del processo di martedì, gli avvocati hanno evidenziato numerose violazioni procedurali da parte dei pubblici ministeri che, secondo loro, dovrebbero annullare l’atto d’accusa. Si sono chiesti quali possibilità di ricorso abbiano, dal momento che la Santa Sede non ha mai firmato alcuna convenzione internazionale che garantisca processi equi o che preveda il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
“Queste sono lesive del diritto della difesa che ledono il diritto a un processo equo”, ha affermato Fabio Viglione, avvocato del Cardinale Angelo Becciu, l’unico cardinale sotto processo.
Il processo riguarda l’investimento di 350 milioni di euro della Santa Sede in un affare immobiliare a Londra, ma si è allargato ad altri presunti reati finanziari. Durante l’udienza preliminare di luglio, gli avvocati difensori si erano opposti al fatto di aver avuto solo pochi giorni per leggere le 28.000 pagine di prove raccolte dai pubblici ministeri in due anni, per comprendere le accuse contro i loro clienti. I documenti chiave erano mancanti o non era possibile accedervi.
Il Presidente del tribunale, Giuseppe Pignatone, ha ordinato ai pubblici ministeri del Papa di mettere a disposizione i documenti, nonché una prova chiave mancante: gli interrogatori videoregistrati del primo indiziato diventato testimone chiave dei pubblici ministeri, Monsignor Alberto Perlasca. È stato il funzionario vaticano più intimamente coinvolto nell’operazione immobiliare londinese che ha fatto perdere alla Santa Sede decine di milioni di euro, in gran parte donazioni dei fedeli, spesi per compensi a broker italiani accusati di frode al Papa.
Le cinque dichiarazioni spontanee di Perlasca erano così importanti per il caso dell’accusa che a quanto pare gli hanno risparmiato l’incriminazione e hanno costituito la base di diverse accuse contro gli imputati. Uno ha portato a un’accusa di induzione a testimoniare il falso contro Becciu.
Ma i pubblici ministeri si sono rifiutati di rispettare l’ordine di Pignatone di produrre la testimonianza videoregistrata di Perlasca, citando il suo diritto alla privacy. La difesa ha visto solo un riassunto del resoconto di Perlasca e il team legale di Becciu ha appreso dell’accusa di induzione a testimoniare il falso solo quando l’atto d’accusa è stato depositato il 3 luglio.
In una nota difensiva presentata la scorsa settimana e ottenuta dall’Associated Press, gli avvocati che rappresentano un altro imputato, Cecilia Marogna, hanno affermato che un simile comportamento dei pubblici ministeri di rifiutare un ordine del Presidente del tribunale non sarebbe mai stato tollerato in un tribunale italiano.
“In una situazione normale, in tutti i Paesi dotati di un sistema giudiziario che si potesse considerare autonomo e imparziale e strutturato in modo da salvaguardare un processo equo, il rifiuto sarebbe stato immediatamente sanzionato”, si legge nella nota dell’esperto di diritto internazionale Riccardo Sindoca.
Il 21 settembre i pubblici ministeri hanno anche informato la difesa e il tribunale che, a causa di “problemi organizzativi interni”, non potevano rispettare la scadenza di Pignatone per fornire copie forensi dei dati provenienti da cellulari, laptop e altri dispositivi elettronici sequestrati al imputati.
La mozione di Sindoca ha anche sostenuto che i giudici del tribunale non possono essere considerati veramente imparziali o indipendenti dal momento che Papa Francesco li ha assunti e li può licenziare, e che hanno giurato di essere “leali e obbedienti” al Papa, non alla legge come nel caso per i giudici in Italia. Come monarca assoluto, Francesco esercita il supremo potere legislativo, esecutivo e giudiziario nella Città del Vaticano.
La difesa non è la sola a trovare problemi strutturali nel tribunale vaticano. A giugno, i valutatori Moneyval del Consiglio d’Europa hanno criticato la dipendenza del Vaticano da pubblici ministeri e giudici a tempo parziale e temporanei che esercitano anche in Italia, avvertendo che potrebbero avere conflitti di interesse.
AP ha chiesto all’ufficio del pubblico ministero a gennaio circa possibili conflitti di interesse e gli è stato detto che la domanda era “totalmente capziosa e priva di qualsiasi base tecnica”. Dicendo che non c’è mai stato un conflitto, i pubblici ministeri hanno affermato che il loro lavoro in Italia come avvocati registrati “è solo una prova della professionalità che hanno raggiunto”.
Francesco, da parte sua, ha insistito sul fatto che la magistratura vaticana è “diventata più indipendente” negli ultimi anni e ha indicato il processo come prova che le sue riforme sulla trasparenza finanziaria stanno funzionando. Eppure Francesco si vantava anche di essere intervenuto personalmente per incoraggiare i due funzionari vaticani che hanno alzata bandiera rossa sulle irregolarità nell’accordo di Londra per presentare denunce formali ai pubblici ministeri.
Nel suo zelo, Francesco ha poi emesso quattro distinti decreti esecutivi durante i due anni di indagine, conferendo ai pubblici ministeri ampi poteri per indagare anche “laddove necessario per derogare” alle leggi esistenti, per condurre intercettazioni telefoniche e per sospendere le regole di riservatezza vaticane per i documenti.
L’avvocato difensore Luigi Panella, in rappresentanza del gestore finanziario di lunga data del Vaticano Enrico Crasso, ha sostenuto durante l’udienza di apertura che tale interferenza da parte del potere esecutivo, e la carta bianca che Francesco ha dato ai pubblici ministeri per ignorare le leggi esistenti, equivaleva alla creazione di un “tribunale speciale “ad hoc”, che in Italia è espressamente vietato.
I pubblici ministeri, dal canto loro, hanno insistito sul rispetto dei diritti della difesa, hanno difeso la legittimità del processo e dei decreti esecutivi di Francesco e hanno ricordato agli avvocati che il diritto canonico della Chiesa costituisce la base del diritto vaticano, non la legislazione italiana. Il pm Alessandro Diddi ha riconosciuto nel corso dell’udienza di luglio che, qualora vi fossero vizi procedurali, era pronto a porvi rimedio.
A sostenerlo, l’Avvocato Paola Severino, che rappresenta la Segreteria di Stato quale parte lesa nel procedimento, ha chiesto il rigetto delle istanze difensive.
Sul caso, oltre ai decreti esecutivi, è intervenuto anche Francesco in prima persona. Ha sostanzialmente dichiarato colpevole Becciu l’anno scorso quando gli ha costretto di dare le sue dimissioni da capo dell’ufficio di santificazione del Vaticano, citando un trasferimento di 100.000 euro di denaro vaticano a un ente di beneficenza diocesano gestito da suo fratello.
Becciu è ora sotto processo per quel trasferimento, ma Francesco ha recentemente dichiarato all’emittente Cope della Conferenza Episcopale Spagnola che spera “con tutto il cuore” che Becciu venga riconosciuto innocente.
“Era un mio collaboratore e mi ha aiutato molto”, ha detto Francesco a Cope. “Il mio desiderio è che vada a finire bene”.

Il cardinale Pell chiede che il Papa garantisca al cardinale Becciu un processo giusto
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 29 settembre 2021


Il cardinale George Pell, già tenace avversario in curia del cardinale Angelo Becciu, per la prima volta rompe il silenzio sul processo in corso in Vaticano e spezza una lancia a favore del suo ex nemico chiedendo al Papa la possibilità per gli imputati di avere un processo giusto. Di fatto sollevando così una questione pendente e ancora irrisolta legata al diritto alla difesa, visto che i Promotori di Giustizia (una sorta di pm) si sono rifiutati di adempiere agli obblighi richiesti dal presidente del Tribunale di depositare entro il 10 agosto la cosiddetta “prova regina” (il video di monsignor Perlasca, inizialmente imputato e poi inserito nella fattispecie dei pentiti).
«Io, condannato ingiustamente da giurati che mai hanno visto una Messa, dico che Angelo Becciu ha diritto a un giusto processo, e quello al quale Becciu viene sottoposto rappresenta ‘un momento importante’» ha detto ad Avvenire, il cardinal George Pell, uomo chiamato a suo tempo a fare chiarezza nelle finanze vaticane ma poi giudicato colpevole di abusi in Australia, nel dicembre del 2018, con una condanna a sei anni confermata in appello.
Successivamente ha trascorso 404 giorni in prigione, fino al 7 aprile 2020 quando è stato prosciolto dalla Corte Suprema australiana. «Forse alla mia condanna in prima e seconda istanza ha contribuito il fatto che giudici e giurati non hanno mai partecipato a una Messa cattolica e credono davvero che le chiese e anche le sacrestie siano dei luoghi bui e disabitati in cui si può commettere ogni abominio», ha detto il porporato nell’intervista. «Credo di essere stato preso di mira per la mia difesa della tradizionale visione giudeo-cristiana su famiglia, vita, sessualità. Il fattore decisivo comunque è stata la crisi degli abusi».
Il prossimo 5 ottobre si svolgerà in Vaticano la seconda udienza al processo sul famoso immobile di Londra. Tra i dieci imputati anche il cardinale Becciu. In quella occasione il presidente del Tribunale, Pignatone dovrà esprimersi sul rifiuto manifestato dal Promotore di Giustizia di dare modo alle difese di prendere visione del video che ha fatto partire tutta l’inchiesta. Un passaggio fondamentale per garantire un processo giusto secondo, proprio come chiede anche l’Europa e anche i valutatori di Moneyval che da tempo tiene sotto osservazione i meccanismi di riforma statale promossi dal Vaticano per adeguarsi agli standard europei.
Nella prima udienza era emersa l’anomalia di quattro rescripta firmati da Papa Francesco a favore dei Promotori di Giustizia. Con questi decreti ad personam il pontefice aveva di fatto assegnato ai promotori di giustizia la possibilità di agire in deroga alle leggi in vigore.

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