Articoli sul Caso Becciu+9 dal 2 agosto al 1° settembre 2021

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Condividiamo di seguito, come abbiamo annunciato [Il Giudizio Finale di Francesco. Domani riprende il processo di Becciu+9 al Tribunale vaticano – 4 ottobre 2021], i seguenti articoli, in ordine cronologico:

Papa Francesco, le chiavi di lettura del suo giudizio universale di Andrea Gagliarducci – Monday Vatican, 2 agosto 2021 (nostra traduzione italiana dall’inglese)
Scandalo in Vaticano, in un memoriale le mosse della cricca che agiva alle spalle del Papa. Lettere anonime, pressioni per firmare, contratti pilotati: ecco il dossier spedito dall’arcivescovo Peña Parra, il successore di Becciu, ai pm d’Oltretevere che indagano sulla truffa ai danni della Santa Sede di Daniele Autieri – Repubblica.it, 5 agosto 2021
Vaticano, pm su processo scandalo finanziario: “No a deposito video accusatore Becciu”. La richiesta in un documento di otto pagine visionato dall’Adnkronos e depositato alla cancelleria del Tribunale del VaticanoAdnkronos, 10 agosto 2021
Vaticano, no dei pm a Pignatone: non depositeremo il video dell’accusatore di Becciu di Franca Giansoldati – Il Messaggero, 10 agosto 2021
I Promotori di giustizia vaticani rispondono “no” alle richieste avanzate dagli avvocati degli imputati nel processo “Becciu + 9”. Otto cartelle piene di indizi sul futuro del processo che riprende il 5 ottobreIl Sismografo, 10 agosto 2021
Il Vaticano e la Legge. Un processo penale, che il Papa desidera, può diventare un problema per sé stesso di Thomas Jansen – Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24 agosto 2021 (nostra traduzione italiana dal tedesco)
Il Papa auspica che il Cardinal Becciu, che è una persona per cui ha “una certa stima”, possa dimostrare la sua innocenza. Il Papa manifesta il desiderio che il Cardinale Becciu risulterà innocente: “Una persona per cui ho una certa stima”. Francesco ha difeso nel programma “Herrera en COPE” i passi compiuti verso una maggiore trasparenza delle finanze vaticane: “Non ho paura della trasparenza o della verità”Cope.es, 1° settembre 2021

Papa Francesco, le chiavi di lettura del suo giudizio universale
di Andrea Gagliarducci
Monday Vatican, 2 agosto 2021

(nostra traduzione italiana dall’inglese)

Il processo iniziato in Vaticano il 28 luglio non sarà breve. Ne è prova che la prima udienza, nella quale sono state presentate tutte le eccezioni dei legali dei dieci imputati, è durata 7 ore, senza interruzioni, ei giudici vaticani si sono riuniti per un’ora e venti minuti in aula consiliare.
Lo chiamano “il Giudizio Universale del Papa” e sebbene l’espressione possa tradire il suo fascino di marketing, non è affatto esagerata. In questo processo è in gioco gran parte della credibilità del pontificato, un pontificato che ha raggiunto il suo ottavo anno senza aver portato a termine nessuna delle riforme promesse. Molto è stato fatto, ma tutto è stato fatto in maniera scoordinata e disorganizzata. Non c’è riforma. Ci sono molte riforme minori. E poi c’è il Papa, un uomo solo al comando, che sta saldamente al vertice di un sistema.
In questo momento siamo di fronte a una svolta del pontificato che sembra vivere la sua fase discendente, anche a causa del recente intervento chirurgico di Papa Francesco, che per la prima volta all’età di 85 anni ci ha fatto capire la possibile mortalità del Papa.
Perché un processo civile potrebbe essere un punto di svolta? Perché il Papa ha messo molta della sua credibilità sulla trasparenza e sulle riforme finanziarie. Con scarso successo. Le riforme che hanno funzionato con Papa Francesco sono quelle che hanno proseguito sulla strada decisa che gli era stata proposta.
Oggi, però, nessuno dei protagonisti di quella stagione di riforme è in Vaticano. René Bruelhart e Tommaso Di Ruzza, Presidente e Direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, non sono stati rinnovati nelle loro cariche, nonostante il loro lavoro abbia salvato la Santa Sede dai giudizi negativi del Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa e abbia portato a termine il difficile lavoro di revisione e riordino dei conti correnti dello IOR, la cosiddetta “Banca Vaticana”.
Dopo che il Papa ha deciso di indagare, gli artefici della prima stagione della riforma finanziaria sono tornati in Vaticano. Riforme rivolte all’Italia, che non ha avuto nemmeno il via libera dal GAFI. Queste riforme hanno rivelato la mancanza di conoscenza delle normative internazionali antiriciclaggio.
Siamo tornati alla prima stagione, caratterizzata anche da una certa vicinanza all’Italia. Ma è sbagliato leggere questo processo con lenti italiane. È quello che vogliono i giudici vaticani, che hanno o hanno avuto una carriera consolidata in Italia e che portano quel modello nella Città Leonina.
Ridurre tutto all’Italia significa non capire la chiave fondamentale del processo: il riferimento, per questi delitti, non è Roma ma Strasburgo e Brussel. Perché è a Strasburgo e a Brussel che vengono redatti gli standard internazionali che fanno la norma. È lì che si stabilisce se i diritti umani sono rispettati e se si sta svolgendo un processo equo.
Sette ore di udienza sono servite per dipanare tutte le obiezioni e garantire ai giudici un lungo rinvio che servirà a sanare le loro lacune. Ma vanno prese in considerazione le obiezioni dei legali degli imputati.
È stato notato che il Papa ha firmato quattro motu proprio per aiutare le procedure che hanno preceduto il processo, un’importante attività legislativa di cui gli imputati non erano stati pienamente informati. Sono state inoltre evidenziate alcune situazioni che sarebbero considerate irregolari in Italia o all’estero. È stata messa in discussione la possibilità per la Santa Sede di celebrare un processo equo, alla luce del fatto che non solo è stata costituita una giurisdizione speciale ma anche che agli imputati non è stato dato il tempo di leggere i documenti – che comunque sono arrivati incompleti agli avvocati.
In pratica, il Papa si è messo interamente nelle mani dei giudici. Tutta la sua attività favorisce i giudici e il loro lavoro. Assistiamo così a una vaticanizzazione della Santa Sede perché la Corte di Stato diventa più importante della stessa istituzione che serve. È un rischio, anche a livello internazionale.
In nome di questa vaticanizzazione sono state messe in discussione anche attività di cooperazione, come lo scambio di informazioni di intelligence, sequestrate senza criterio dai giudici vaticani e solo successivamente oggetto di un accordo tra la Corte e l’Autorità di Informazione Finanziaria per evitare ulteriori incidenti.
Questo processo, tuttavia, non è una questione vaticana. Mentre i funzionari vaticani o gli ex funzionari vengono processati, sono i diritti umani e vari altri diritti ad essere processati. Diritti che la Santa Sede sostiene a livello internazionale, ma che il Papa ha permesso di calpestare. Nessun problema per Roma. È un problema globale.
Un’altra questione è che l’APSA e la Segreteria di Stato hanno chiesto e ottenuto la legittimazione ad agire come parti civili nel processo. Ma perché? Entrambi gli organismi sono stati coinvolti o informati delle operazioni. Perché allora chiedono i danni?
Ci sono molte stranezze nel processo. Questi sono stati notati in una sentenza da un giudice inglese, Baumgartner, che ha ribaltato la sentenza di congelamento dei fondi di Gianluigi Torzi che era stata voluta con successo dalla Santa Sede. Torzi è il mediatore che la Santa Sede aveva utilizzato per acquistare la proprietà londinese, di cui aveva delle quote.
Torzi è accusato di concussione. Giuseppe Milanese ha agito da mediatore tra la Santa Sede e Torzi affinché Torzi vendesse le quote dell’immobile – quote che possedeva perché così indicato nel contratto, dal quale dovette recedere. Il Tribunale vaticano dichiarò, e Milanese confermò, che il Papa era entrato nella stanza dei negoziati. Torzi ha anche aggiunto che il Papa avrebbe chiesto una risoluzione complessiva con un giusto compenso. Quindi, se parliamo di risarcimento, dov’è l’estorsione?
Inoltre, perché Monsignor Alberto Perlasca, da dieci anni a capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato, non è tra gli imputati? Perlasca testimoniò, generando, tra l’altro, una denuncia per calunnia da parte del Cardinale Becciu, anch’egli imputato.
Ma ogni dubbio va inquadrato in una dimensione internazionale, guardando ai fatti e alle ampie prospettive. Il rischio, alla fine del processo, è quello di una Santa Sede irrilevante dal punto di vista diplomatico perché non è in grado di attuare impegni come il rispetto del giusto processo nel suo Stato, e perché nel suo territorio sono presenti giudici di un altro Stato , che lavorano solo a tempo parziale in Tribunale.
Guardare in modo più ampio di quanto si vede guardando attraverso il buco della serratura italiano, ci fa capire che, al di là delle scaramucce verbali, la questione dell’appartamento londinese è più sfumata di quanto si pensasse e che, alla fine, non è stato così costoso investimento per la Santa Sede.
Diventa chiaro che c’era il desiderio di attaccare la vecchia leadership che aveva lavorato per l’internazionalizzazione. Adesso tutto sembra tornare in Italia e nel modo italiano di fare le cose. Le conseguenze non saranno lievi.

Scandalo in Vaticano, in un memoriale le mosse della cricca che agiva alle spalle del Papa
Lettere anonime, pressioni per firmare, contratti pilotati: ecco il dossier spedito dall’arcivescovo Peña Parra, il successore di Becciu, ai pm d’Oltretevere che indagano sulla truffa ai danni della Santa Sede
di Daniele Autieri
Repubblica.it, 5 agosto 2021


Un covo di serpi. Un gruppo di potere radicato e protetto, capace di inaugurare un sistema impenetrabile, costruito intorno alla menzogna e alimentato da “clientelismo e favoritismo”. È questa la descrizione della Segreteria di Stato vaticana che per la prima volta viene non dall’esterno, ma dall’arcivescovo Edgar Peña Parra, il prelato scelto da Papa Francesco per prendere il posto del cardinale Angelo Becciu, per anni Sostituto per gli Affari generali. “Si tratta – scrive Peña Parra – di un meccanismo nel quale si mette il Superiore sotto pressione, spingendolo ad agire in fretta e prospettando eventi catastrofici del tipo: “se non si firma subito si rischia di perdere molti soldi”; “non abbiamo alternativa”; “non si preoccupi, la pratica sta a posto”; “questa è solo una formalità””. Parole durissime, contenute nel corposo memoriale dedicato all’ufficio dei veleni, un documento che il 13 aprile scorso viene inviato a Gian Piero Giuseppe Milano, uno dei promotori di giustizia del tribunale della Santa Sede che sta indagando sulla vendita del palazzo di Sloan Avenue a Londra. All’interno del dossier 25 documenti classificati come “riservati”: lettere anonime, contratti, pareri legali, mail che – secondo il Sostituto voluto da Papa Francesco – getterebbero una lunga ombra su come per anni è stato gestito il “ministero degli Interni” della Santa Sede.
Lo sciopero bianco
Edgar Peña Parra viene chiamato da Papa Francesco il 15 ottobre del 2018 con un mandato chiaro: operare una “revisione generale” della Segreteria di Stato. Un compito reso difficile dalle opposizioni interne messe in atto dagli uomini del “sistema”. “Rientrava in questo modus operandi – racconta Peña Parra – lo sciopero bianco: di fronte a una mia domanda, si rispondeva con il silenzio o la promessa di dar seguito alla mia richiesta ma in realtà questo non avveniva. Questo modo di fare non riguardava solo l’ordinaria amministrazione, ma anche le grandi decisioni, cioè una vera e propria linea operativa trasversale dell’Ufficio amministrativo della Sezione Affari generali”.
La prima linea di questo sistema era occupata da monsignor Alberto Perlasca, l’ex numero due di Becciu divenuto grande accusatore del cardinale. “Nei quotidiani incontri con monsignor Perlasca – racconta il prelato – alla mia richiesta di spiegazioni mi forniva informazioni incomplete o parziali che si limitavano a tentativi di giustificazione delle operazioni in atto”. Anche per questo il cardinale arriva a confessare: “Credo di essermi trovato davanti a un modus operandi sistematizzato”, un intreccio clientelare alimentato dai rapporti tra l’ufficio “e i diversi fornitori basati soltanto su un reciproco interesse personale e scambi di favore a danno della Segreteria di Stato”.
Il modus operandi di Perlasca
Monsignor Alberto Perlasca non è tra i dieci rinviati a giudizio del processo che si è appena aperto in Vaticano, eppure il suo modus operandi occupa un intero capitolo del memoriale di Parra. Secondo l’arcivescovo l’espressione massima di questo atteggiamento emerge nell’operazione che chiude la vicenda del palazzo di Londra, con l’ingresso nell’operazione del broker Gianluigi Torzi. Peña Parra racconta che il 22 novembre del 2018 Perlasca gli parla dell’opportunità di acquistare l’immobile di Londra, e aggiunge: “Mi riferiva che tale operazione andava realizzata in brevissimo tempo (cioè in soli 7 giorni)”. Quando due giorni dopo il Sostituto chiede a Perlasca la documentazione, gli vengono inviati i due documenti chiave della vendita, il Framework Agreement e lo Share Purchase Agreement, che creano i presupposti giuridici affinché Torzi avanzi le sue richieste economiche. Entrambi i documenti sono firmati dallo stesso Perlasca il 22 novembre “e prima ancora che la questione fosse portata all’attenzione del Segretario di Stato e del Santo Padre”.
Le lettere anonime
Delazioni, sospetti, tradimenti. Che qualcosa di grave sia accaduto nell’ufficio dei veleni, Peña Parra se ne convince nel febbraio del 2019, quando una lettera anonima viene recapitata sotto la porta del suo ufficio. Al suo interno si parla del “sistema Enrico Crasso”, il consulente che per 27 anni ha gestito una fetta delle finanze vaticane, oggi accusato di corruzione, riciclaggio, truffa, peculato, abuso d’ufficio. Secondo l’estensore della missiva “Crasso è il driver di un sistema di commissioni non scritte che hanno determinato il saccheggio delle finanze della Segreteria di Stato”.
“La realtà dei fatti – prosegue la lettera – è che sono stati versati milioni e milioni di euro su un conto corrente a Santo Domingo”, al quale avrebbero avuto accesso anche monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi, l’ex segretario di Becciu responsabile degli investimenti sotto processo per corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio. Le accuse contenute nella lettera sono ancora al vaglio delle autorità vaticane, ma la loro portata ha contribuito a rafforzare la convinzione dell’arcivescovo di essersi imbattuto in un’alleanza di potere così forte da arrivare a contrastare le decisioni del Santo Padre.

Vaticano, pm su processo scandalo finanziario: “No a deposito video accusatore Becciu”
La richiesta in un documento di otto pagine visionato dall’Adnkronos e depositato alla cancelleria del Tribunale del Vaticano
Adnkronos, 10 agosto 2021


I pm del Vaticano, in un documento di otto pagine visionato dall’Adnkronos e depositato ieri alla cancelleria del Tribunale del Vaticano nell’ambito del processo sullo scandalo legato alla compravendita del Palazzo londinese, chiedono al presidente Pignatone di revocare l’ordinanza “nella parte in cui ha statuito il deposito dei file audio video” contenenti le deposizioni di mons. Alberto Perlasca contro il cardinale Angelo Becciu, imputato nel processo iniziato il 27 luglio scorso insieme ad altre nove persone. Il presidente Pignatone quel giorno chiese ai pm di depositare tutti gli atti, file audio e video non depositati. Ora arriva il no dei pm.
In particolare, i pm del Vaticano relativamente agli audio di Perlasca sentono “l’obbligo di rilevare previamente come il deposito dei materiali di cui si tratta sia suscettibile di successiva divulgazione con conseguente potenziale grave e irreparabile nocumento dei diritti delle persone che hanno partecipato agli atti (oltre agli interessati, gli avvocati e in un caso anche un interprete)”. In proposito, i pm osservano che “nel c.p.p. italiano, a tutela dell’immagine delle persone che partecipano agli atti è previsto che quando nel corso del dibattimento si autorizzi la ripresa fotografica o audiovisiva delle attività è sempre vietata la ripresa (ancora prima della diffusione) di coloro i quali non vi acconsentano espressamente”.
I pm chiedono poi al presidente Pignatone che “si consideri che quanti hanno presenziato agli atti istruttori non hanno dato consenso alla riproduzione e alla divulgazione in qualsiasi forma di file contenenti le registrazioni e, anzi, hanno accettato la registrazione sul presupposto e nella consapevolezza che la stessa fosse funzionale solo ad una più fedele verbalizzazione degli atti”. Da qui la richiesta di revocare la richiesta perché diversamente “risulterebbe irreparabilmente compromesso il diritto alla riservatezza delle persone coinvolte”.
I pm ravvisano analoga “esigenza di tutela della riservatezza con riferimento alla richiesta (difesa Torzi) di acquisizione delle registrazioni audio delle intercettazioni svolte durante le indagini”.
LEGALE BECCIU – “Ci sorprende il mancato integrale deposito. Non credo che un’ordinanza del Giudice terzo, ancorché non condivisa da una delle parti, possa non essere eseguita” sottolinea all’Adnkronos l’avvocato Fabio Viglione dopo la richiesta dei pm del Vaticano. “E’ un principio cardine di ogni accertamento giurisdizionale. Il Tribunale – annota Viglione – ha ascoltato tutte le parti in contraddittorio ed ha emesso un provvedimento che va rispettato ed eseguito nella sua interezza”.
DIFESA TIRABASSI – “Il provvedimento dei promotori di giustizia è sorprendente e unico nella storia dei processi penali in quanto una delle parti sostanzialmente rifiuta di dare esecuzione a un ordine del Tribunale con motivazioni che potremmo definire capziose. Provvedimento che riguarda una prova delicatissima, quali le dichiarazioni accusatorie di un ex imputato ascoltato senza difensore”. A dirlo all’Adnkronos l’avvocato Cataldo Intrieri difensore, insieme al collega Massimo Bassi, di Fabrizio Tirabassi dopo il ‘no’ da parte dei promotori di giustizia vaticani al deposito delle registrazioni audio-video di monsignor Alberto Perlasca nell’ambito del processo sullo scandalo legato alla compravendita del Palazzo londinese.
“Una richiesta singolare e preoccupante – sottolinea l’avvocato Intrieri -. Ci auguriamo che il Tribunale voglia dare esecuzione a quanto stabilito e confidiamo che il processo avvenga nel pieno, totale rispetto delle garanzie degli imputati e del diritto di difesa”.

Vaticano, no dei pm a Pignatone: non depositeremo il video dell’accusatore di Becciu
di Franca Giansoldati
Il Messaggero, 10 agosto 2021


I magistrati del Papa titolari dell’inchiesta choc sull’immobile a Londra hanno risposto picche al Presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone che aveva chiesto loro – al termine della prima udienza del famoso processo chiamato la ‘mani pulite’ d’Oltretevere – di depositare il video chiave relativo alla registrazione di monsignor Alberto Perlasca, collaboratore di giustizia e principale accusatore del cardinale Angelo Becciu (rinviato a giudizio con l’accusa di peculato). Pignatone chiudendo la prima udienza aveva ordinato ai magistrati di «depositare in Cancelleria entro e non oltre il 10 agosto copia dei supporti contenenti le registrazioni audio e video».
Di quel video nessuno prima di quel momento aveva mai sentito parlare, come avevano messo in luce le difese dei dieci imputati. Gli avvocati avevano così chiesto di prenderne visione in tempi ragionevoli come presupposto base per avere un giusto processo. Oggi dal Vaticano è uscita la risposta dell’ufficio dei Promotori di Giustizia che hanno respinto come “irricevibili” tali richieste formulate da Pignatone.
I pm vaticani spiegano in un documento di otto pagine che «l’unico atto di documentazione delle dichiarazioni resta il processo verbale redatto» e che di conseguenza «la richiesta di trascrizione delle registrazioni è, a parere di questo ufficio irricevibile». Ribadiscono inoltre che le registrazioni di Perlasca (ex responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato) sono state fatta allo «scopo di prevenire e rimuovere eventuali contestazioni al momento della formazione e della chiusura del verbale redatto a norma del codice».
Per i magistrati il deposito dei video di Perlasca potrebbe creare «nocumento ai diritti delle persone che hanno partecipato agli atti», vale a dire avvocati e anche un interprete, i quali  non hanno dato il benestare alla riproduzione del video e alla sua divulgazione in qualsiasi forma. «A parere di questo ufficio gli audio non possono essere consegnati» per tutelare la privacy di Perlasca, del traduttore e dei legali.
I pm vaticani chiedono così al presidente del Tribunale, Pignatone di rivedere la sua decisione disponendone la revoca. Ove si ravvivasse la necessità di una ostensione dei contenuti si chiede che ciò venga disposto solo attraverso la visione in cancelleria dei materiali con modalità tali da impedire ogni forma di registrazione e o riproduzione mutuando al riguardo la disciplina introdotta dal legislatore italiano con riferimento alla materia delle intercettazioni telefoniche».

I Promotori di giustizia vaticani rispondono “no” alle richieste avanzate dagli avvocati degli imputati nel processo “Becciu + 9”. Otto cartelle piene di indizi sul futuro del processo che riprende il 5 ottobre
Il sismografo, 10 agosto 2021

I Promotori di Giustizia non intendono far acquisire al fascicolo del dibattimento le registrazioni video di mons. Alberto Perlasca senza difensore, per evitare la “divulgazione” della sua immagine. La singolare “vicenda Perlasca” all’interno del processo nel quale non è imputato ma dove appare senza ombra di dubbio come il perno dell’impianto dell’accusa, con questo documento depositato il 9 agosto si arricchisce di nuovi insoliti particolari e argomenti. Le otto pagine della “produzione documentale” dei Promotori rivelano che in un processo così concepito tutto può essere stravolto senza poter distinguere alla fine fra innocenti, mandanti e colpevoli.
I due Promotori (Promotore Aggiunto e Promotore Applicato) stanno quindi disattendendo l’ordinanza del Tribunale, che peraltro non disponeva di alcuna “divulgazione”, ma solo del deposito di tali registrazioni. D’altra parte i Promotori confermano che i Rescripta sono “provvedimenti Sovrani” adottati senza “alcuna previa richiesta scritta”.
Va ricordato che nella prima udienza del 27 luglio scorso gli avvocati degli imputati fecero diverse richieste documentali nonché domande puntuali e precise. Le risposte dei Promotori si possono leggere nella fotocopia allegata qui sotto del documento originale depositato ieri.

Il Vaticano e la Legge
Un processo penale, che il Papa desidera, può diventare un problema per sé stesso
di Thomas Jansen
Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24 agosto 2021

(nostra traduzione italiano dal tedesco)

Con il processo al Cardinale Becciu per una vicenda immobiliare, Papa Francesco vuole dimostrare che il Vaticano sta diventando uno stato di diritto. Ma la procedura potrebbe dimostrare il contrario.
In Vaticano, a quanto pare, nonostante tutta la contrizione, si è anche un po’ orgogliosi del primo grande processo penale, che lì si è aperto a luglio davanti al tribunale laico di primo grado.
Dopotutto, il processo contro il Cardinale Angelo Becciu e altri nove imputati dovrebbe mostrare all’opinione pubblica mondiale che la cultura giuridica al centro della Chiesa Cattolica ha superato il livello di una repubblica delle banane.
Il messaggio che vuole trasmettere Papa Francesco è ovvio: il cappello cardinalizio non è più un segnale di stop per gli inquirenti vaticani. Ma l’iter di un investimento di 350 milioni di euro in una proprietà londinese in circostanze dubbie potrebbe rivelarsi un boomerang per il Vaticano. E non solo perché potrebbero essere rivelati ulteriori dettagli su una gestione molto libera delle donazioni dell’Obolo di San Pietro.
Già nella prima udienza è apparso chiaro che il processo solleva questioni fondamentali sulla costituzione dello Stato Vaticano. Quella decisiva è: può essere condotto un processo anche in una monarchia assoluta come lo Stato Vaticano che soddisfa anche solo a metà i moderni standard costituzionali? Il Papa è allo stesso tempo capo di Stato, giudice supremo e supremo legislatore. Può intervenire in una procedura e modificare le leggi in qualsiasi momento.
La difesa ha anche affermato che Francesco era intervenuto direttamente nell’inchiesta quattro volte emanando decreti e modificando la legge vaticana appositamente per questo processo. Che viola lo stato di diritto. Come violazione particolarmente grave, la difesa ha valutato il fatto che Francesco avesse consentito al pubblico ministero nel luglio 2019 di adottare ogni misura cautelare necessaria per l’indagine, “se necessario, in deroga alla normativa vigente”. Era un assegno in bianco per la procura vaticana, per esempio in caso di arresti.
Era evidente a tutti che la legge era stata adattata appositamente per questo processo quando il Papa ha decretato a maggio che cardinali e arcivescovi potevano in futuro essere giudicati anche da non sacerdoti. Senza questa modifica, il Cardinale Becciu avrebbe dovuto rispondere in un procedimento separato direttamente davanti alla più alta corte laica del Vaticano, in cui fanno da giudici cardinali e arcivescovi. Tuttavia, il Papa ha voluto evitare l’impressione di una magistratura a due livelli.
L’accusa di mancanza di Stato di diritto non è priva di esplosività per Francesco.
Perché si presenta regolarmente come difensore dello stato di diritto; più recentemente nel febbraio di quest’anno in un discorso programmatico al corpo diplomatico quando ha chiesto il rispetto dello stato di diritto nelle società democratiche.
La legge deve “essere garantita dagli organi superiori a prescindere dagli interessi politici prevalenti”.
La dimensione spirituale del potere
Il pubblico ministero vaticano Gian Piero Milano non ha voluto accogliere l’eccezione di mancanza di Stato di diritto in Vaticano. I decreti impugnati sono “la massima espressione del potere pontificio”. Chi guarda a questi atti papali solo dal “punto di vista di un laico” rischia di fraintendere la loro vera natura, ha spiegato l’avvocato italiano, che si è fatto un nome come cacciatore di mafiosi.
Ciò che si intendeva con questo era che si doveva tener conto della dimensione spirituale dell’ufficio papale e del Vaticano. La difesa non ha voluto seguire l’esempio. Il problema è che lo Stato Vaticano è governato da un monarca assoluto, e l’unico modo per cambiare la legge è “che il venerato Sant’Ignazio dia un’ispirazione al Papa”, ha schernito un difensore, riferendosi alla fondazione dell’Ordine dei Gesuiti Francesco, S. Ignazio di Loyola.
Ma non solo la costituzione vaticana, anche la legge vaticana rende difficile condurre un processo basato sullo stato di diritto.
Perché il Vaticano è una curiosità giuridica: nello Stato pontificio è in vigore il diritto penale italiano del 1889, il cosiddetto Codice Zanardelli, nello Stato pontificio sin dalla sua fondazione nel 1929, anche se in Italia è stato sostituito da un nuovo diritto penale già nel 1931.
La legge di procedura penale italiana del 1913, ormai da tempo obsoleta, è vincolante anche per lo Stato Vaticano fino ad oggi.
I diritti della difesa sono molto limitati per gli standard odierni.
Il Vaticano conserva ancora una posizione speciale?
Nel corso dei decenni i papi hanno modernizzato in alcuni punti il diritto ereditato dall’Italia, ma ad oggi nessuna riforma fondamentale è avvenuta. A peggiorare le cose, gran parte della legge in Vaticano finora non è stata applicata o è stata applicata a malapena perché mancavano i processi. Ciò dovrebbe rendere più facile per la difesa trascinare il processo.
A parte il Cardinale Becciu, accusato di peculato, abuso d’ufficio e induzione a testimoniare il falso, nessuno degli imputati sarebbe cittadino vaticano. Sono cittadini italiani e svizzeri. Se fossero condannati alla reclusione, Italia e Svizzera dovrebbero decidere se vogliono ottemperare a una richiesta di estradizione del Vaticano. Poiché un processo pienamente conforme agli standard legali internazionali sembra difficile da immaginare, la magistratura di entrambi i Paesi si troverebbe di fronte a una questione delicata: è disposta a concedere al Vaticano uno status speciale anche nella giurisprudenza laica? Se entrambi i Paesi dovessero rifiutare l’estradizione a causa di carenze nello stato di diritto, sarebbe un imbarazzo per il Vaticano e il Papa.

Il Papa manifesta il desiderio che il Cardinale Becciu risulterà innocente: “Qualcuno di cui ho una certa stima come persona”
Francesco ha difeso nel programma “Herrera en Cope” i passi compiuti verso una maggiore trasparenza delle finanze vaticane: “Non ho paura della trasparenza o della verità”
Cope.es, 1° settembre 2021

(nostra traduzione italiana dallo spagnolo)

Papa Francesco ha difeso in “Herrera en Cope” i passi che sono stati fatti durante il suo Pontificato per avanzare verso una maggiore trasparenza nelle finanze vaticane ed evitare così possibili casi di corruzione in futuro: “Dobbiamo mettere tutti i mezzi per evitarlo, ma è una vecchia storia. Guardando indietro, abbiamo la storia di Marcinkus, che ricordiamo bene, la storia di Danzi, la storia di Szoka… È una malattia in cui ricaduta”, ha riconosciuto il Santo Padre al più apprezzato comunicatore della radio spagnola.
Durante il colloquio, il Santo Padre ha ricordato che negli ultimi tre anni “sono stati compiuti progressi nel consolidamento della giustizia dello Stato Vaticano”, in modo tale “che la giustizia fosse più indipendente, con mezzi tecnici, anche con una dichiarazione di testimonianze registrate, cose tecniche attuali, nomina di nuovi giudici, il nuovo pubblico ministero…”.
Il Pontefice ha spiegato a Carlos Herrera che questo processo di maggiore trasparenza è iniziato grazie alle due denunce presentate da due lavoratori vaticani, che nelle loro mansioni “hanno visto un’irregolarità”.
“Hanno fatto una denuncia e mi hanno chiesto cosa fare. Gli ho detto: se vogliono andare avanti devono presentarlo al pubblico ministero. È stato un po’ impegnativo, ma erano due brave persone, erano un po’ intimiditi e poi come per incoraggiarli ho messo la mia firma sotto la loro. Per dire: questa è la strada, non ho paura della trasparenza o della verità. A volte fa male, e molto, ma la verità è ciò che ci rende liberi. Ora che tra qualche anno ne apparirà un altro… Speriamo che questi passi che stiamo facendo nel sistema giudiziario vaticano aiutino a far accadere sempre meno questi eventi”, ha detto.
Approfondendo questa vicenda dei conti vaticani, Herrera ha interrogato Papa Francesco sulla causa aperta al Cardinale Angelo Becciu, ex alto funzionario della Segreteria di Stato destituito dallo stesso Successore di Pietro per indizi di corruzione in relazione alle finanze.
Di fronte a questo caso del Cardinale Becciu, Francesco ha detto di desiderare che ne esce innocente: “Voglio con tutto il cuore che sia innocente. Inoltre, è stato un mio collaboratore e mi ha aiutato molto. È qualcuno di cui ho una certa stima come persona, cioè il mio desiderio è che venga bene. Ma è un modo affettivo di presumere l’innocenza, dai. Oltre alla presunzione di innocenza, non vedo l’ora che vada bene. Adesso deciderà la giustizia”, ha sottolineato.
D’altronde, il Cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa in Germania è un altro dei temi cui si è riferito il comunicatore andaluso durante l’intervista svoltasi presso la Residenza di Santa Marta in Vaticano. A questo proposito, il Santo Padre ha ricordato che all’epoca “mi sono permesso di inviare una lettera che ho scritto solo in spagnolo. Mi ci è voluto un mese per farlo, tra pregare e pensare. E gliel’ho inviato in quel momento: originale in spagnolo e traduzione in tedesco. E lì esprimo tutto quello che sento del sinodo tedesco. C’è tutto».
In ogni caso Sua Santità ha rimarcato che “nemmeno io diventerei troppo tragico” con questo processo avviato in Germania poiché, come ha affermato, “in molti vescovi con cui ho parlato non c’è rancore. È un desiderio pastorale, ma che non tiene conto di alcune cose che spiego nella lettera che devono essere prese in considerazione”, ha dichiarato.

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