Ai costruttori d’armonie

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Perché scrivo una lettera? Faccio mia la celebre frase di Pascal: le coeur a ses raisons que la raison ne connait point. Offro, pertanto, queste mie riflessioni che vogliono essere dono a chi è capace di accoglierle con intelligente intuizione e vibrante entusiasmo. La gratitudine per il dono ricevuto si esprimerà permettendogli di diventare fecondo. Ogni “scritto” l’ho sempre considerato come “incontro” che si sviluppa in un dia-logos che è conversare a tu per tu tra scrittore e lettore.

Spesse volte, a ben riflettere, la nostra condizione di uomini potrebbe farci paura perché ci accorgiamo di essere circondati da abissi. Dal soffio dell’eterno infinito che avvolge il creato. Dall’immensità degli spazi che s’inseriscono prodigiosamente nel nostro piccolo pianeta e nella nostra povera esistenza. Dal silenzioso movimento del tempo che, misterioso e prezioso tiranno, protagonista degli avvenimenti passati, presenti e futuri, compone il fascino, talvolta drammatico, della nostra vita fino a farla diventare, nonostante la sua apparente brevità, una storia senza fine. Da noi uomini, protagonisti di questa “storia senza fine”, che, saturi di caducità, sofferenze, ansie, fatalità, miserie e impotenze, dimentichi talvolta delle realtà essenziali che ci nobilitano e ci elevano, insensibili all’invito dell’Ineffabile, ci tuffiamo in puerili e momentanee occupazioni, misconoscendo le grandi e fondamentali finalità della vita. Eppure, l’uomo, da sempre, naviga nel mondo affascinante dell’arte, quasi sacramento divino, che si rivela nell’ascolto e nella visione di quella sublime bellezza che seduce e incanta, nobilita ed eleva, attira e trasfigura.

L’arte del bello, però, non è mai frutto del caso, ma efficace sintesi di ricerca e laboriosa opera di perfezione. Se l’esecuzione di una partitura sonora è il risultato dell’accanito esercizio della tecnica manuale, l’elaborazione spaziale si ottiene attraverso l’estenuante verifica di pratiche parziali sulle proporzioni, sulle tecniche, sui dettagli dei materiali ricondotti alla loro unitarietà finale. Fare arte è fatica per ricreare frutti di bellezza. Come in natura così in arte: dopo la semina d’autunno e il silenzio creativo dell’inverno, arriva l’esplosione delle gemme di primavera che attende il prezioso raccolto dei frutti al sole dell’estate. La natura è già essa stessa arte proseguente l’opera sua nello spirito umano. Da ciò deriva l’amore dell’artista per la natura: ispirandosi a essa egli vi si riconosce, e al contatto con essa, il costruttore d’arte assume coscienza del proprio genio. L’arte, come la natura, è creatura viva, non ha nulla a che vedere con il simbolismo pedante, oscuro e pretenzioso. Ispirarsi è arte, ma imitare e scimmiottare, riciclare o scopiazzare sono segni di aridità e di miseria. L’arte è, fondamentalmente, creatività originale e personale.

Mi domando: ma il pensiero non ha nulla a che fare con l’arte? I cosiddetti “esteti” dicono che l’artista non deve preoccuparsi dell’idea, poiché la forma è già tutto. Separare, però, la forma dall’idea, significa sopprimere l’arte che consiste nella loro compenetrazione. La forma si elabora nello spirito e nel pensiero, non nella costrizione della forma. L’arte è idea vivente. L’idea, divenendo centro della vita interiore, crea il corpo d’immagini di cui si riveste. L’idea non è nulla senza la forma, è l’idea che crea la sua forma adeguata. Quanto più la forma rende visibile l’idea, tanto più è arte che crea bellezza. L’idea estetica non è compiuta se non è espressa nell’armonia della forma: sarebbe un desiderio di vita che non nasce alla vita. Spirito e corpo in simbiosi sono la vita dell’uomo. Non basta, allora, avere l’idea se non si ha la capacità tecnica di esprimerla artisticamente attraverso la forma, non basta essere bravi nella forma se non si possiede l’idea. Chi pretende di fare uscire la bellezza da una formula stereotipa e consueta s’inganna: crea bellezza senza vita. L’opera d’arte si compone nello spirito attraverso la forma. Così, il pensiero del pittore o dello scultore è la visione della loro tela dipinta o della statua plasmata e il pensiero del musicista è l’ascolto della sua opera musicale. I veri artisti sono quelli che giungono a dare forma alla realtà che possiedono interiormente, aldilà delle tecniche e degli stili. Se l’artista non arriva ad armonizzarsi interiormente, non creerà mai arte in bellezza di forma e novità di vita.

Il modo, poi, di manifestare il pensiero attraverso la forma si chiama “stile”, che vuol dire individualità, cioè, modo proprio di pensare, di sentire, di esprimere l’idea. Possiede lo stile chi ha cose proprie da dire ed è capace di manifestarle in modo eminentemente personale. Si suole dire che lo stile è l’uomo: è, infatti, il sigillo dell’artista. Bisogna puntualizzare che per stile dell’artista non si può intendere solo il modo di esprimersi, cioè la sola forma, ma il modo di manifestare il pensiero e il sentimento. Non basta, quindi, saper comporre perfettamente attraverso la forma; se venisse meno la scintilla del pensiero, la grazia dell’originalità, la raffinatezza del gusto, esisterebbe soltanto un’arte esanime. Senza la varietà degli stili, il mondo apparirebbe piatto, monotono e uniforme. Sta tutto qui il fascino dell’arte: l’apparire e il sentire del pensiero in tutta la gamma della sua luminosa e originale bellezza interiore ed esteriore. Dentro la creazione c’è la sfida dell’alterità: bellezza di realtà diverse.  La sinfonia delle forme e degli stili è legge di creazione in bellezza.

L’arte liturgica, arte eminentemente “ministeriale”, si può esercitare solo se si possiede il carisma, dono dello Spirito, in simbiosi con la competenza, che è tecnica professionale, frutto di fatica nello studio, nel lavoro e nella ricerca. Carisma e competenza si rivelano attraverso la delicatezza dell’affectus, la ricchezza del sentimento, l’in-canto dell’amore. Quando san Paolo afferma: «Rivestitevi dei sentimenti del Signore», vuole istruirci che questo è cristianesimo, tutto il resto è gnosi che non passa attraverso la sensibilità, gli affetti, i sentimenti, la corporeità. Le vibrazioni della musica mettono in moto le energie dell’anima, le ridestano, le riabilitano coinvolgendo interiormente tutto l’essere. Per comunicare la fede attraverso l’arte è necessario prendere non soltanto la forma esteriore, ma anche la forza interiore. Il rapporto con il Signore deve diventare un legame e non solo un’idea. Nella liturgia, il musicale non è solo trasferimento d’informazioni, ma è comunicazione affettiva capace di suscitare dei legami attraverso il tono della voce, l’incontro degli sguardi, il gesto espressivo, il modulare dei comportamenti. Tutto deve manifestare e comunicare quanto sta per avvenire nel sacramentale. Chi esercita il ministero musicale non dice di sé, sarebbe auto idolatria ma indica ed esprime il mistero che in quel momento si rivela. La materia lavorata dall’artista liturgico, infatti, mette in comunione, non con la materia, ma con Dio.

Pitagora afferma che il logos crea l’universo attraverso il melos. Aveva intuito che Dio, cantando, crea tutto dal nulla. Il primo capitolo della Genesi, infatti, descrive il Creatore che canta mentre le opere escono dalle sue mani: “E Dio vide che era cosa bella e buona». Il canto di Dio crea il cosmo bello e buono. Ogni opera artistica deve possedere queste due qualità divine in armonia tra loro: bellezza e bontà. Bellezza da imparare e bontà da gustare sono gesti di sapienza per rigenerare e ridonare opere belle e buone.

Le sante Scritture ci rivelano che l’edificazione del caos in kosmos avviene per opera della Sapienza, l’eterna, infinita Bellezza che crea dal nulla tutte le cose visibili e invisibili. Nel libro dei Proverbi, la Sapienza canta un inno con il quale tesse il proprio elogio: «Io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo» (Pr 8,30-31). La Sapienza è presente nella realtà dell’uomo e del cosmo. Essa, che è con noi, in noi e nel mondo, non è soltanto “prima” della creazione, ma c’è anche “quando” si crea in contemporanea con la realtà creata. L’autore dei Proverbi, in forma simbolica, dipinge l’azione del Creatore come gesto di perfetta armonia cosmica realizzata in bellezza tra i figli dell’uomo. La creazione in bellezza è il modo con cui Dio dialoga con l’uomo. Il culmine e il cuore di questo dia-logos avviene quando il Padre invia nel mondo il suo Logos che si fa Sarx. Il Verbo divino, «il più bello tra i figli dell’uomo», è il Melos, cioè l’Inno che il Padre ci offre in dono (Cf SC, 83). La bellezza in armonia diventa così concordanza tra divinità e umanità. Divinità incarnata e umanità divinizzata: culmine in cui il Logos-Sapientia crea e ricrea, in via pulchritudinis, il melos del duetto teandrico d’amore sponsale.

Esiste perfetta armonia quando entità in diversità con-vivono: unità e molteplicità che creano polifonia concordante. Concordia, concors-ordis, esprime conformità di sentimenti, di voleri, di opinioni tra due persone, non disgiunto da reciproco affetto e armonia spirituale. L’arte musicale comporta allo stesso tempo concordanza e dissonanza, cioè fusione di più suoni in unità armonica e rottura di quest’armonia con aggiunte di note estranee. Diastole e sistole sono per l’armonia sinfonica dell’organismo, concordanza e dissonanza sono per l’armonia sinfonica del fare musica. Dal felice connubio tra unisono e polifonia, tra concordanza e discordanza è fiorita una delle più affascinanti avventure tra spirito e corpo, tra silenzio e suono, tra eternità e tempo, la bellezza dell’arte musicale. Essa, nella Liturgia, non ha lo scopo di mostrare le belle forme, ma, attraverso di esse, di far percepire il Mistero attraverso l’incanto estetico. Musica è metamorfosi viva della relazione col mistero per percepirlo nel gusto dello stupore vivificante e trasfigurante. Quello che per il Creatore è il Fiat, per l’artista è l’intuizione concorde di tutte le facoltà dell’anima. Nell’atto creativo, la sua personalità umana è tutta presente in ciascuno dei suoi momenti intuitivi e operati. L’opera d’arte nasce nell’artista, a lui sopravvive nel mondo come la creatura vivente in Dio.

Chiudo, inviandovi un saluto nella gioia della visione-ascolto di quell’arte che ci avvolge, ci coinvolge e ci sconvolge.

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