La Santa Sede all’ONU: “Le corporation rispettino i diritti umani”

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Una immagine: quella del Rana Plaza, la fabbrica tessile di nove piani crollata nella periferia di Dacca, in Bangladesh, lo scorso 24 aprile. I numeri: 1100 giovani vite perse, l’incalcolabile dolore dei loro parenti, e la sofferenza e i sogni infranti di altre centinaia di persone. E il richiamo alla “responsabilità di tutte le compagnie transnazionali e di altri imprese d’affari di rispettare i diritti umani”. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ufficio ONU di Ginevra, prende la parola nel dibattito su “Corporation Transnazionali e diritti umani” alla 23esima sessione del Consiglio dei Diritti dell’Uomo. In un accorato intervento, chiede che presto si crei una “struttura legale che possa servire per la fondazione di una nuova visione”. Un progetto, questo, che è solo agli inizi.

 

Tomasi parte dalla tragedia di Dhaka. Il crollo del Rana Plaza, considerata una delle peggiori tragedie del Bangladesh, ha messo in luce la speculazione e lo sfruttamento della manodopera a basso costo negli stabilimenti tessili che lavorano per i marchi occidentali. Seppur dichiarato inagibile da tempo, nel Rana Plaza vi erano cinque fabbriche di abbigliamento che davano lavoro a migliaia di persone, le quali per pochi dollari al giorno si sottoponevano a massacranti turni di 24 ore. Dopo la tragedia, decine di migliaia di lavoratori sono scesi in piazza, e il governo del Bangladesh ha chiuso 18 fabbriche per motivi di sicurezza lo scorso 1 maggio.

L’immagine di quella tragedia – afferma Tomasi – “ci ricorda anche l’interdipendenza cui la globalizzazione ha dato luogo nell’attività economica transnazionale”. Lo stesso Papa Francesco ne è rimasto toccato al punto da aver sottolineato che “le persone sono meno importanti delle cose che danno profitto a quanti hanno potere politico, economico e sociale”.

In tre secoli, molte sfide sono emerse nell’evoluzione dell’industrializzazione. In fondo, anche la stessa Dottrina Sociale della Chiesa nasce con la Rerum Novarum, una risposta cristiana al dibattito che infiammava a seguito della rivoluzione industriale. È vero che molto è stato fatto per diminuire i rischi dell’impatto negativo di queste realtà. Ma allo stesso tempo “ancora nei nostri tempi è troppo grande il numero di vite umane che si perdono o sono severamente danneggiate a causa di insicure condizioni di lavoro”, afferma Tomasi.

L’osservatore permanente della Santa Sede plaude alle molte iniziative che sono state avviate per superare le sfide ancora esistenti. Oggi – sottolinea – è importante “riconoscere gli standard lavorativi come un importante e integrante parte della responsabilità sociale dell’impresa. La libertà di associazione, l’eliminazione di ogni forma di lavoro coatto, l’abolizione del lavoro minorile e l’effettiva eliminazione della discriminazione nel lavoro e nei pagamenti deve essere rispettata e rafforzata in tutte le giurisdizioni”.

Perché il nodo critico è proprio lì. C’è bisogno di “un più completo e deliberato consenso riguardo il ruolo e la responsabilità delle corporations nella società”. Vero, molte persone e capi di industria sono andati “oltre la visione che la massimizzazione del profitto è la sola ragione e scopo delle corporation”. Ma allo stesso tempo, “il supporto e l’adozione di una struttura legale che può servire come base fondante per questa visione è ancora agli albori”. Continua la ricerca di un consenso condiviso su questi fattori, e la necessità – sottolinea Tomasi – è di “sostenere il nostro impegno a questa ricerca e consentire che questa porti ad appropriate e differenti ma chiare soluzioni per le varie situazioni, culture e regioni che ci sono nel mondo”.

Passi avanti sono stati fatti, a livello internazionale. Per esempio, il Consiglio ONU dei Diritti umani ha avallato nel giugno 2011 i “Principi guida sugli affari e i diritti umani”, e nel novembre del 2011 l’Ufficio dell’Alto Commissariato per le Nazioni Unite ha diffuso la guida interpretativa sulla “Responsabilità di impresa nel rispetto dei diritti umani”. Due iniziative che hanno reso evidente l’impegno al miglioramento. “La piattaforma fondativa che chiama gli stati a proteggere, le corporation a rispettare e tutti gli attori coinvolti a rimediare agli abusi dei diritti umani avvenuti in passato è chiara e ben accolta”, afferma Tomasi.

Per il quale “la responsabilità sociale di impresa non è solo necessaria perché le organizzazioni internazionali e l’opinione pubblica stanno domandando sempre più che le compagnie private svolgano un ruolo ancora pià grande nel promuovere il benessere dovunque essere operano, ma è anche necessaria perché è un problema di giustizia sociale”.

La Santa Sede chiede a tutti di rispettare i diritti umani, afferma che “regolamenti appropriati possono contribuire alla promozione e al rispetto dei diritti umani e del bene comune di tutti”, sottolinea che “ogni impresa, indipendentemente dalla sua grandezza e dal numero dei suoi impiegati” o della nazione in cui essa è impiantata “deve supportare rispettare e proteggere i diritti umani internazionalmente proclamati nella loro sfera di influenza; e richiede anche “una maggiore trasparenza” a tutte le compagnie, in modo che i fruitori abbiano “tutte le informazioni richieste per fare fondai giudizi riguardo il modo in cui i diritti umani sono rispettati e protetti”. Una trasparenza di cui beneficeranno anche i consumatori, i quali potranno “premiare le compagnie che sono proattive nel rispetto dei diritti umani ed evitare le compagnie che si aderiscono superficialmente a quella priorità”.

Con ancora le immagini della tragedia di Dhaka negli occhi, la delegazione della Santa Sede fa “un appello speciale perché siano stabilite, promosse e condivise buone e innovative pratiche raccolte da una ampia varietà di attori, sia in settori pubblici che in settori privati, in modo da rendere una priorità per le corporation un più robusto rispetto dei diritti umani”. Questo sarà di supporto al bene comune universale, e in più “buone pratiche responsabili che rispettano i diritti umani e proteggono l’ambiente supporteranno una economia più sostenibile e inclusiva”.

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