La Santa Sede: in Siria, si mettano le persone davanti agli interessi personali

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“La popolazione dovrebbe avere la precedenza sul potere e sulla vendetta”. La Santa Sede prende la parola al dibattito urgente sulla “Deteriorante situazione dei diritti umani nella Repubblica Araba Islamica di Siria e sulle recenti uccisioni ad al Qusayr”. Sullo sfondo, lo scenario drammatico della guerra in Siria. Negli scorsi giorni, i ministri degli Esteri europei non sono riusciti a trovare un accordo sull’embargo della vendita delle armi ai ribelli: da fine giugno, quando finirà il pacchetto di sanzioni contro Assad, ogni Paese deciderà liberamente cosa fare. E nel frattempo, ad al Qusayr, 10 km dal confine occidentale del Libano, le milizie sciite libanesi di Hezbollah sono scesi in campo con le truppe lealiste per riconquistare la cittadina.

La 23esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani ha dunque avviato un dibattito urgente sulla questione siriana. A parlare in nome della Santa Sede è l’osservatore permanente Silvano Maria Tomasi. In un discorso denso di riferimenti, Tomasi sottolinea la situazione drammatica che vive la popolazione siriana. “La violenza in Siria – afferma – ha provato ancora una volta che è un terreno di violazione di diritti umani. Sono state distrutte decine di migliaia di vite; un milione e mezzo di persone sono state forzate a fuggire all’estero; più di quattro milioni di persone hanno perso le loro case; e i civili sono stati fatti bersaglio dalle parti in guerra in totale inosservanza della legge umanitaria”.

Ma la strada per uscirne “non viene da una intensificazione militare del conflitto armato”, sottolinea Tomasi. Ci vuole “dialogo e riconciliazione, un processo che la diplomatica conferenza proposta può aiutare a proporre, se c’è una volontà politica di sostenerla”. L’accenno alla volontà politica non è casuale. Troppe volte, in questi mesi, si è pensato che il conflitto siriano risponda ad una logica esterna. In Italia per una riunione dei vescovi amici del movimento dei Focolari, Armando Bortolaso, per dieci anni vicario apostolico dei latini in Siria, aveva sottolineato già a febbraio che quella di Siria “è una guerra che viene dall’esterno. Se le nazioni che hanno interesse sul territorio siriano, gli Stati Uniti e la Russia, si mettono d’accordo sulla gestione del territorio, tutto può finire in pochissimo tempo”.

L’accordo, evidentemente, non c’è stato, e la fine dell’embargo crea un problema. Un’intesa politica, tuttavia, prevede che non ci sarà alcun invio di armi almeno fino ad agosto. E’ una presa di tempo che tenta di legare ogni mossa pratica alla Conferenza di pace di Ginevra promossa da Russia e Usa. nella speranza che una soluzione diplomatica porti via ogni mal di pancia. Anche perché c’è da notare che i ribelli sono stati messi sotto accusa da Carla Del Ponte, ex procuratore capo del tribunale internazionale dell’Aja, La quale ha sottolineato a inizio maggio che, almeno sulla base degli elementi resi finora disponibili alla Commissione ONU chiamata a indagare sulla guerra e la violazione dei diritti umani in Siria, “le testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche, e in particolare di gas nervino” indicano che queste sono state utilizzate “non da parte di autorità governative, bensì da parte degli oppositori, dei resistenti”.

Tomasi sottolinea che solo “un immediato cessate il fuoco fermerà lo spargimento di sangue”, che è “una inutile e distruttiva tragedia che ipoteca il futuro della Siria e del Medio Orente”. La Santa Sede – sottolinea l’osservatore permanente – “ha da sempre insistito sul fatto che solo negoziati pacifici porteranno ad una soluzione accetabile della crisi e che la partecipazione di rappresentanti di tutti i cittadini in posizioni di responsabilità anche all’interno di un eventuale governo può assicurare una costruttiva e durevole coesistenza pacifica di tutti i componenti delle comunità della società siriana”.

L’osservatore permanente della Santa Sede chiede anche “generosa solidarietà” da parte della comunità internazionale per i bambini che si trovano in campi profughi o in aree di conflitti, “traumatizzati e forzosamente privati dei loro diritti”. Una particolare attenzione deve essere rivolta ai “bambini non accompagnati”, per prevenire che diventino vittime di traffico o di altre forme di sfruttamento.

Insomma, “far tacere le armi è la priorità”. Perché “il popolo della Siria ha già pagato troppo” e non ci si può fermare davanti al pessimismo di raggiungere una soluzione condivisa. “Questa responsabilità morale – afferma Tomasi – è inevitabile, e chiede un rifiuto della vendetta personale e della disordinata ambizione di dominanza portata avanti da qualunque gruppo”. La sofferenza delle persone in Siria è “indicibile e non può essere ignorata da tutte le parti coinvolte”. Queste “sono ora chiamata ad agire in favore della pace, della ricostruzione e di un nuovo inizio di relazioni basate sui diritti umani sul comune interesse della famiglia umana”.

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