L’arte a Roma dal 1960 al 2001: Una mostra problematica

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Il MACRO (nella bellissima struttura di via Nizza 138) presenta, dal 16 maggio al 15 settembre 2013, il secondo appuntamento della mostra d’arte contemporanea Ritratto di una città #2. Arte a Roma 1960–2001. Il progetto espositivo, dopo la prima mostra del novembre 2012 – aprile 2013, si propone di approfondire, ulteriormente e con il pubblico di oggi, le vicende dell’arte contemporanea che hanno attraversato Roma dal 1960 al 2001: 40 anni di intensa trasformazione della pittura e delle arti visive a livello internazionale, in cui Roma ha ricoperto – con i suoi artisti, con le sue gallerie e gli spazi per la creatività – un ruolo rilevante. Roma è da sempre crocevia di culture e di flussi artistici. Se gli anni ’60 e ’70 segnalano il rimbalzare della pop-art e dei linguaggi dell’informale e della body-art fin dentro i codici culturali italiani ed europei, gli anni Ottanta e Novanta hanno visto a Roma l’intensificarsi dei rapporti con l’Europa dell’Est e con l’Estremo Oriente: con artisti stranieri che sono venuti qui a concepire e realizzare progetti specifici per la città e ad instaurare con essa un rapporto non effimero. La mostra è complessa e problematica per varie ragioni.

Per l’eterogeneità dei materiali presentati, delle opere e dei percorsi degli artisti: un insieme di elementi di cui non è semplice proporre la storicizzazione e la catalogazione. La problematicità deriva anche dalla incertezza delle tesi relative al significato storico ed estetico delle arti visive nella seconda metà del ‘900. La varietà e l’eterogeneità delle prospettive critiche (critica per lo più militante: con scarsa propensione alla sistemazione storica) è attutita, nella mostra al Macro, dal riferimento topografico: una Roma crocevia di culture e di influssi artistici, laboratorio di sperimentazione e di creatività, patria e dimora generosa di ricerche e di mecenatismi. Dopo questo secondo step, attendiamo la terza sessione cui potrebbe seguire lo sforzo di un bilancio, anche provvisorio. La mostra del Macro, molto ben allestita, non è enorme ma è molto significativa: una sorta di quadriennale del passato contemporaneo condensata nell’unità di azione, tempo e luogo. A rappresentare l’arte degli anni Sessanta si vedono opere di: Franco Angeli, Enrico Castellani, Sergio Lombardo, Francesco Lo Savio, Renato Mambor, Fabio Mauri, Gastone Novelli e Mario Schifano. Per gli anni Settanta vi sono: Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, Sol Lewitt, Robert Morris, Giulio Paolini. Per gli anni Ottanta, le opere di Ubaldo Bartolini, Stefano Di Stasio, Marilù Eustachio, Andrea Fogli, Pietro Fortuna, Paola Gandolfi, Felice Levini, Carlo Maria Mariani, Vittorio Messina, Sabina Mirri, Giuseppe Salvatori ed infine, per gli anni Novanta, opere di Marina Abramović, Andrea Aquilanti, Gea Casolaro, Giacinto Cerone, Marco Delogu, Sukran Moral, Yoko Ono, Marina Paris e Adrian Tranquilli.

In effetti, la storiografia artistica tende a collocare una cesura fra i due ventenni. Mentre il periodo ’60-’70 è vissuto ancora nel segno dell’avanguardia storica e quindi del rapporto oppositivo e dialettico: pittura/accademia, libertà di sperimentazione/ universo delle regole e delle tradizioni, il ventennio postmoderno ’80-’90 ha segnato il trionfo delle arti visive come totalità autonoma da ogni tradizione, liberamente anarchica nei linguaggi, ma pericolosamente interfacciata con i mass-media e le nuove tecnologie. A segnare la cesura fra i due periodi ci sono state la contestazione del ’68 (che nelle sue espressioni prettamente politiche fu, però, scarsamente interessato alla contestazione nel campo dell’arte) e la successiva fase di normalizzazione sociale e di riorganizzazione economica. Anche il «ritorno alla pittura» degli anni ’80 può essere interpretato come il giro vorticoso che la trans-avanguardia compie su se stessa per comprendere meglio la chiusura del proprio orizzonte.

Al di là, però, della problematicità con cui si chiude il sec. XX delle arti, ciò che, a mio avviso, contraddistingue la mostra del Macro è la riapertura di un orizzonte estetico e critico su questo percorso. Come illustra eloquentemente la lunga parete parlante che accompagna le varie sezioni della mostra – con locandine, fotografie, testimonianze, disegni, manifesti, copertine di riviste ecc. – quella delle arti visive è una vicenda da rileggere con gli occhi di oggi. Una storia da ripensare in profondità. Per farlo è necessario conoscerla, riportarla alla luce e tenerla esposta a cielo aperto, senza ricoprirla affrettatamente con i linguaggi critici che l’hanno animata: lasciandola, con le sue opere, disponibile per i nuovi sguardi interpretanti del presente.

Nella foto: opere di Mario Schifano e Sergio Lombardo.

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