Valentina Rapino spiega la magnificenza del Cappellone di san Nicola da Tolentino

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Il ciclo di affreschi del Cappellone di san Nicola a Tolentino è uno dei più suggestivi e meglio conservati cicli pittorici del Trecento italiano: ritenuti, in modo unanime dalla critica, opera del giottesco Pietro da Rimini, in passato sono stati ignorati dagli studiosi forse per via della loro ubicazione decentrata o per le corpose ridipinture che ne impedivano una corretta leggibilità. Quando queste furono rimosse, grazie ai restauri del 1891, si arrivò finalmente ad una riscoperta degli affreschi e, dopo qualche anno, alle prime ipotesi di attribuzione del ciclo intorno alla scuola giottesca riminese e ai modi di Pietro da Rimini.

Il cappellone è completamente affrescato, dai costoloni della volta alle vele, alle pareti: il colore dello sfondo, un blu intenso, caratterizza l’intera stanza ricordando l’ambiente della giottesca Cappella degli Scrovegni. Guardando in alto, in ogni vela si trovano, seduti al proprio tavolo pieno di volumi aperti, i quattro Evangelisti, in coppia con uno dei Dottori della Chiesa.

Le pareti si dividono in ordini dove sono raccontate le storie della Madonna, le storie della vita di Gesù e, infine, le storie di san Nicola da Tolentino. L’intero ciclo culmina nella crocifissione di Cristo che coincide con un piccolo altare marmoreo posto sotto la scena dipinta.

Per comprendere meglio questa meraviglia pittorica, denominata appunto ‘Cappellone’, abbiamo intervistato l’autrice del libro ‘I doni dello Spirito. Gli affreschi del Cappellone di san Nicola a Tolentino, Valentina Rapino, laureata in Storia dell’arte e archeologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e curatrice di molte pubblicazioni sul rapporto tra arte e fede, a cui abbiamo chiesto di spiegarci per quale motivo è stato affrescato il Cappellone di san Nicola di Tolentino:

“Alla base della decorazione del Cappellone vi è sia la volontà di celebrare le gesta di un santo molto venerato dalla popolazione locale sia di mettere in evidenza la spiritualità dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino, Ordine al quale san Nicola apparteneva.

La datazione degli affreschi è controversa e oggi viene fatti risalire ai primi venti anni del Trecento o comunque collocata prima del 1325, anno in cui venne avviato il processo di canonizzazione di San Nicola da Tolentino.

Non si hanno notizie certe neanche sull’originale destinazione del Cappellone, forse cappella o sala capitolare del convento (la sala in cui si riuniva la comunità monastica, il che spiegherebbe la vocazione colta del suo programma iconografico)”.

Quale è il programma iconografico del Cappellone?

“Il programma iconografico del Cappellone è eterogeneo e si dispiega su tre ordini narrativi, dalla vita di Maria (dall’Annunciazione alla Dormitio e ricongiungimento con il Figlio), all’infanzia e resurrezione di Cristo, fino alla vita di San Nicola da Tolentino.

Le scelte iconografiche puntano a una catechesi elementare e a una immediata comprensione dei fatti sacri anche da parte delle persone più semplici: per questo motivo le storie del santo, narrate attraverso i suoi miracoli, sono considerate un esempio di ‘Biblia pauperum’, ovvero di ‘Bibbia dei poveri’.

Allo stesso tempo, il programma iconografico sembra rivolgersi anche a un pubblico colto e, se destinato alla comunità religiosa del convento, sono da leggersi in chiave ecclesiologica, secondo la spiritualità agostiniana”.

Quale teologia è scritta nel Cappellone?

“Il programma teologico degli affreschi potrebbe rifarsi al concetto di ‘catholica’ di sant’Agostino, che sintetizzava il concetto stesso di Chiesa, poiché questa o è ‘cattolica’ – cioè, secondo l’etimologia, ‘universale’, ‘completa’ – o non è la Chiesa di Cristo.

Le storie della Vergine offrono subito uno strumento di paragone, poiché Maria sembrerebbe presentata come ‘Mater Ecclesiae’e madre diCristo, il quale è definito da sant’Agostino ‘Totus’, cioè uno in tutti, corpo di tutti i credenti. Le gesta del santo marchigiano sarebbero poi un esempio perfetto di sequela cristiana e di Chiesa apostolica”.

Attraverso gli affreschi come si può testimoniare lo Spirito Santo?

“Gli affreschi sono permeati di spiritualità agostiniana e, dietro un programma apparentemente semplice e dall’impronta pastorale, nascondono una riflessione più profonda sul concetto di Chiesa, intesa come luogo dove lo Spirito fiorisce, secondo le accezioni previste dall’antico Simbolo apostolico e dal Credo niceno”.

Esistono ‘assomiglianze’ iconografiche con la Cappella degli Scrovegni?

“Il ciclo di Tolentino è uno degli esiti più ambiziosi della scuola riminese del Trecento e dimostra quanto i modelli giotteschi abbiano influenzato il linguaggio artistico di questa area geografica. La ricerca di monumentalità e di drammaticità in alcune scene (per esempio nella Strage degli Innocenti) dimostrerebbero la conoscenza, da parte di questa bottega, degli affreschi giotteschi della Cappella degli Scrovegni. Tuttavia, la pittura delle maestranze riminesi è a metà tra il linguaggio giottesco di Assisi e le novità figurative introdotte da Giotto a Padova”.

(Tratto da Aci Stampa)

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