La Santa Sede e gli ultimi, un impegno mai riconosciuto

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Mentre il numero dei cristiani perseguitati nel mondo aumenta, la Chiesa porta avanti un lavoro ingente in tutto il mondo per portare educazione e presidi sanitari a tutti, senza distinzione di razza e religione. Un lavoro verso gli ultimi del mondo che non viene mai riconosciuto, e che Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso la Sede delle Nazioni Unite di Ginevra, rivendica in due interventi alla 23esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani. Due interventi dedicati l’uno all’intolleranza nei confronti dei cristiani e l’altro all’accesso ai medicinali. Due interventi in cui la Santa Sede promuove la sua missione verso lo sviluppo umano integrale.

Un approccio – quello dello sviluppo umano integrale –  sottolineato esplicitamente nel momento in cui si parla di procedure di accesso ai medicinali. Perché è vero – afferma Tomasi – che il Rapporto Speciale del Consiglio d’Europa sottolinea che “la piena realizzazione dell’accesso alle medicine richiede il soddisfacimento dei requisiti chiave di accessibilità, disponibilità, accettabilità e qualità”. Ma la Santa Sede trova che il Rapporto sull’Accesso alle Medicine abbia dato “insufficiente attenzione a certi elementi citati come ‘elementi chiave’”.

Per la Santa Sede, si deve andare “oltre la struttura legale per includere un esame della realtà politica e sociale che priva milioni di persone dal poter raggiungere gli standard più elevati possibile di salute fisica e mentale a causa degli ostacoli che trovano nell’accesso alle medicine”. In più, il rapporto “ha dato insufficiente attenzione alle necessità di base degli individui e delle famiglie e a tutti i livelli del ciclo vitale, dalla concezione alla morte naturale”. Sfide che bloccano l’accesso ai medicinali, quanto, se non di più, lo bloccano i vari fattori legali che hanno occupato la parte centrale del rapporto.

Ci vuole un approccio basato sullo sviluppo umano integrale, che vada oltre le strutture legali e promuova la solidarietà internazionale “non solo attraverso gli Stati, ma anche tra tutti i popoli”. Già la Santa Sede ha fatto notare che si deve “stabilire una vera giustizia distributiva che garantisca a ciascuno una cura adeguata sulle basi dei bisogni oggettivi”.

E qui Tomasi ricorda il forte impegno delle organizzazioni non governative e religiose nel fornire “sia le medicine che una vasta gamma di trattamenti e misure preventive per assicurare il pieno soddisfacimento del diritto alla salute”. Un impegno che va riconosciuto. Perché – sottolinea Tomasi, dati alla mano – ci sono 5305 ospedali e 18179 cliniche di ispirazione cattolica e la Santa Sede “sa bene che queste istituzioni servono i settori più poveri della società, molti dei quali vivono in aree rurali e isolate o in zone di conflitto, dove il sistema sanitario del governo spesso non può arrivare”. È un dato confermato da dati dell’Organizzazione Mondiale della Salute, che hanno sottolineato come “tra il 30 e il 70 per cento delle infrastrutture sanitarie in Africa sono attualmente di proprietà di organizzazioni di tipo religioso”.

Anche nell’intervento sul tema della discriminazione, Tomasi ha voluto far notare “gli attuali servizi alla famiglia umana portati avanti nel mondo dalla Chiesa Cattolica senza alcuna distinzione di religione o razza”. Ecco le cifre: per quanto riguarda l’educazione, nel mondo ci sono 70.544 asili cattolici che servono 6.478.627 alunni; 92.847 scuole elementari con 32.151.170 alunni; 43.591 scuole medie con 17.793.559 alunni; e poi, gli istituti legati alla Chiesa educano 2.304.171 studenti di scuola superiore e 3.338.455 studenti universitari. Nel campo sanitario, oltre al numero degli ospedali, si devono ricordare i 18.179 dispensari, i 547 lebbrosari, le 17.223 case per anziani o per persone cronicamente ammalate con una disabilità, i 9.882 orfanotrofi. Non solo: la Chiesa gestisce circa 11.379 asili nido, 15.327 consultori matrimoniali, 34.331 centri di riabilitazione sociale e 9.391 altri tipi di istituti caritatevoli. E a questi dati vanno comunque aggiunti “i servizi di assistenza portati avanti nel campo dei rifugiati o delle persone messe in campi di raccolta e l’accompagnamento di queste persone”. Un servizio, aggiunge Tomasi, che “di certo non chiama alla discriminazione contro i cristiani”.

Eppure la discriminazione c’è, denuncia l’osservatore permanente. “Una ricerca credibile – afferma Tomasi – è arrivata alla scioccante conclusione che più di 100.000 cristiani sono stati violentemente ucciso a causa di qualche relazione con la loro fede ogni anno”. E poi ci sono i cristiani perseguitati, quelli cui vengono distrutti i luoghi di culto, quelli cui vengono rapiti i leaders (Tomasi ricorda il rapimento dei vescovi Yohanno Ibrahim e Boulos Yazij ad Aleppo).

L’osservatore permanente spiega anche che “buona parte di questi atti sono perpetrati in parti del Medioriente, in Africa e Asia, e sono frutto di bigottismo, intolleranza, terrorismo e alcune leggi escludenti”. Ma anche “in alcune società occidentali, dove storicamente la presenza cristiana è stata una parte integrante della società, emerge un trend che tenda di emarginare il cristianesimo dalla vita pubblica, ignorarne i suoi contributi storici e sociali e anche restringere la possibilità delle comunità di fede di portare avanti servizi sociali di carità”.

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