Il magistero “temibile” di Benedetto XVI

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“Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena (…). Con l’elezione di Francesco tutto è possibile. I primi segnali sono di rottura con il passato e con un’idea di Chiesa arroccata e chiusa in se stessa (…). Nessuno può nascondere la situazione drammatica: la nostra amata Chiesa è fredda e scostante e in questi ultimi anni ha perso credibilità rispetto a questioni fondamentali”. Sono, queste, le considerazioni personali di don Andrea Gallo pubblicate in questi giorni ne “il Fatto Quotidiano”. Non c’è più rispetto nemmeno per le tradizioni! In passato, infatti, si era soliti parlar male e attaccare il Papa in carica. Oggi invece sta accadendo il contrario, e così qualcuno ha pensato che attraverso Papa Francesco si possa mettere definitivamente fuori gioco Papa Benedetto. Ma un Pontefice emerito, come Ratzinger, ottantaseienne, “chiuso” in un monastero di clausura dentro le mura vaticane, lontano dai principali canali di informazione non può comportare nessun pericolo se non quello che riguarda i contenuti del suo magistero. E’ proprio questo il nocciolo della questione; è il pensiero teologico di Benedetto XVI che in realtà fa paura e si vorrebbe occultare, o tutt’al più sostituirlo con qualcosa di meno impegnativo per tutta quanta la Chiesa. Ci si limita così a ciarlare sul colore delle pantofole rosse del Papa (o su altre sciocchezze) per mantenere un profilo basso (molto basso!) della fede cristiana, legata esclusivamente al colore e alle immagini ed evitare così di affrontare con maturità e coerenza evangelica i nodi della questione che riguardano un Dio che è entrato nella carne e nella storia di ogni uomo. E’ davanti a questi temi – ben argomentati e spiegati da Papa Benedetto XVI, con un linguaggio accessibile a tutti – che si vuole evitare il confronto; per questo motivo il magistero di Ratzinger risulta scomodo e temibile. Don Gallo recita, infatti, le sue “litanie” (ormai note a tutti) davanti all’immagine di un Papa Francesco strumentalizzata e ritagliata secondo variegati e tornacontisti convincimenti personali: “Non sarebbe il momento di cambiare le modalità con cui vengono nominati i vescovi, prevedendo un maggiore coinvolgimento dei fedeli? Non si potrebbe mettere in discussione il celibato obbligatorio dei preti? Perché non considerare l’ordinazione femminile? Sulla questione di genere la Chiesa è “maldestra e ambigua”. Perché tanta difficoltà nel dire sì alla donna? Perché non riconsiderare la posizione assunta dalla Chiesa sugli anticoncezionali? E il testamento biologico?”; e poi con una tipica chiosa dal sapore apocalittico il presbitero afferma: “Solo quando abbandonerà il suo statuto imperiale la Chiesa avrà da dire qualcosa agli uomini e alle donne del Terzo millennio”. In questa girandola variegata di opinioni c’è chi accoglie nelle parole di Papa Francesco soltanto un aspetto del suo discorso; come per esempio il concetto di povertà della Chiesa, strombazzato a destra e a manca da tante persone con l’esclusivo richiamo all’aspetto economico della vicenda. Poi se il termine “povero” dovesse fare riferimento anche ad uno specifico modo di appartenere a Dio, totalmente spoglio cioè della materialità delle cose umane (incluso il denaro), di tutto ciò che offre stabilità alla nostra esistenza… questo, allora, sarebbe un altro discorso!

E’ proprio questo il nocciolo della questione; è il pensiero teologico di Benedetto XVI che in realtà fa paura e si vorrebbe occultare, o tutt’al più sostituirlo con qualcosa di meno impegnativo per tutta quanta la Chiesa. Ci si limita così a ciarlare sul colore delle pantofole rosse del Papa (o su altre sciocchezze) per mantenere un profilo basso (molto basso!) della fede cristiana, legata esclusivamente al colore e alle immagini ed evitare così di affrontare con maturità e coerenza evangelica i nodi della questione che riguardano un Dio che è entrato nella carne e nella storia di ogni uomo. E’ davanti a questi temi – ben argomentati e spiegati da Papa Benedetto XVI, con un linguaggio accessibile a tutti – che si vuole evitare il confronto; per questo motivo il magistero di Ratzinger risulta scomodo e temibile. Hans Küng e Vito Mancuso recitano, infatti, le loro “litanie” (ormai note a tutti) davanti all’immagine di un Papa Francesco strumentalizzata e ritagliata secondo variegati e tornacontisti convincimenti personali: Küng invoca tra le riforme principali quelle relative al “ruolo della donna, l’enciclica Humanae Vitae quindi la contraccezione, l’ordinazione di donne, l’ecumenismo con le altre Chiese, l’apertura della Chiesa ai drammi del mondo, dalla morale sessuale in Africa al resto”; Vito Mancuso – da parte sua – chiede le stesse cose, di “guardare in faccia le cose senza infingimenti o diplomazie, dicendosela tutta fino in fondo. In primo luogo per quanto attiene alla morale sessuale: ci sono moltissime statistiche a riguardo del fatto che la stragrande maggioranza dei cattolici «praticanti» disattende completamente le prescrizioni magisteriali in materia di sessualità”.

In questa girandola variegata di opinioni c’è chi accoglie nelle parole di Papa Francesco soltanto un aspetto del suo discorso; come per esempio il concetto di povertà della Chiesa, strombazzato a destra e a manca da tante persone con l’esclusivo richiamo all’aspetto economico della vicenda. Poi se il termine “povero” dovesse fare riferimento anche ad uno specifico modo di appartenere a Dio, totalmente spoglio cioè della materialità delle cose umane (incluso il denaro), di tutto ciò che offre stabilità alla nostra esistenza… questo, allora, sarebbe un altro discorso! Per le questioni morali basta rileggere alcuni testi dove il card. Bergoglio, a chiare lettere, dimostra di seguire e approvare le indicazioni del magistero. Non di meno, uno degli ultimi segnali di continuità e adesione al magistero Papa Francesco lo ha espresso recentemente durante una delle sue omelie dettate nella Casa Santa Marta parlando della cultura del benessere e del fascino del provvisorio.

Anche di fronte alla scelta di avere un figlio, ci si lascia spesso condizionare dal benessere. Il Papa ha immaginato un dialogo tra una coppia di sposi: «No, no, più di un figlio, no! Perché non possiamo fare le vacanze, non possiamo andare qua, non possiamo comprare la casa; no! Va bene seguire il Signore, ma fino a un certo punto…». Poi, a proposito di alcune coppie che si sposano pensando: «finché dura l’amore e poi vediamo». È questo afferma il Pontefice – «il fascino del provvisorio» la seconda «ricchezza» che affascina gli uomini di oggi; e li spinge, in particolare, a «diventare padroni del tempo: facciamo piccolo il tempo al momento». Il pensiero del Papa va anche a «tanti uomini e donne che hanno lasciato la loro casa per fare un matrimonio e per tutta la vita sono arrivati fino alla fine». Questo — ha affermato — «è seguire Gesù da vicino, è il definitivo». Mentre «il provvisorio non è seguire Gesù; il provvisorio è territorio nostro», nel quale noi «siamo padroni».

I professori Küng e Mancuso sono certamente in grado di leggere in questi accenni dettati da Papa Francesco – poveri e comprensibili a tutti – l’anticipo di una morale ben radicata al magistero della Chiesa.

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