Papa Francesco invita il Consiglio Ecumenico a non cadere nella trappola del quieto vivere

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Con l’incontro ecumenico del pomeriggio papa Francesco ha lasciato l’Ungheria ed è atterrato in Slovacchia,  ringraziando il presidente Áder per la ‘calda ospitalità’ dei cittadini. A Bratislava il papa è stato accolto dalla presidente della Repubblica ai piedi della scala anteriore dell’aereo. All’arrivo il papa è stato  accolto da un piccolo gruppo di fedeli e dalle delegazioni ufficiali, tra cui anche una sopravvissuta all’ Olocausto.

Nell’ultimo incontro in terra ungherese ai membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese, guidati dal primate della Chiesa ortodossa delle Terre Ceche e della Slovacchia Rastislav, papa Francesco ha delineato un percorso che punti alla libertà donata da Gesù Cristo, ricordando le persecuzioni:

“Il cammino delle vostre comunità è ripartito dopo gli anni della persecuzione ateista, quando la libertà religiosa era impedita o messa a dura prova. Poi, finalmente, è arrivata. E ora vi accomuna un tratto di percorso nel quale sperimentate quanto sia bello, ma al tempo stesso difficile, vivere la fede da liberi. C’è infatti la tentazione di ritornare schiavi, non certo di un regime, ma di una schiavitù ancora peggiore, quella interiore”.

Citando ‘La leggenda del Grande Inquisitore’ di Dostoevskij il papa ha invitato a non cedere alla tentazione mondana: “Cari Fratelli, non ci accada questo; aiutiamoci a non cadere nella trappola di accontentarci di pane e di poco altro. Perché questo rischio sopraggiunge quando la situazione si normalizza, quando ci siamo stabilizzati e ci adagiamo ambendo a mantenere il quieto vivere…

Qui, dal cuore dell’Europa, viene da chiedersi: noi cristiani abbiamo un po’ smarrito l’ardore dell’annuncio e la profezia della testimonianza? E’ la verità del Vangelo a farci liberi oppure ci sentiamo liberi quando ricaviamo comfort zone che ci permettono di gestirci e di andare avanti tranquilli senza particolari contraccolpi?..

Non interessiamoci solo di quanto può giovare alle nostre singole comunità. La libertà del fratello e della sorella è anche la nostra libertà, perché la nostra libertà non è piena senza di lui e di lei”.

Invece li ha invitati a seguire la strada percorsa dai santi Cirillo e Metodio. Che san Giovanni Paolo II li definì ‘precursori dell’ecumenismo’: “Essi, testimoni di una cristianità ancora unita e infuocata dall’ardore dell’annuncio, ci aiutino a proseguire nel cammino coltivando la comunione fraterna tra di noi nel nome di Gesù…

E’ difficile esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino”.

Ed ha lasciato loro due suggerimenti: “Il primo suggerimento riguarda la contemplazione. Un carattere distintivo dei popoli slavi, che sta a voi custodire insieme, è il tratto contemplativo, che va oltre le concettualizzazioni filosofiche e anche teologiche, a partire da una fede esperienziale, che sa accogliere il mistero.

Aiutatevi a coltivare questa tradizione spirituale, di cui l’Europa ha tanto bisogno: in particolare ne ha sete l’Occidente ecclesiale, per ritrovare la bellezza dell’adorazione di Dio e l’importanza di non concepire la comunità di fede anzitutto sulla base di un’efficienza programmatica e funzionale”.

Mentre il secondo riguarda l’azione: “L’unità non si ottiene tanto con i buoni propositi e con l’adesione a qualche valore comune, ma facendo qualcosa insieme per quanti ci avvicinano maggiormente al Signore. Chi sono? Sono i poveri, perché in loro Gesù è presente. Condividere la carità apre orizzonti più ampi e aiuta a camminare più spediti, superando pregiudizi e fraintendimenti…

Il dono di Dio sia presente sulle tavole di ciascuno perché, mentre ancora non siamo in grado di condividere la stessa mensa eucaristica, possiamo ospitare insieme Gesù servendolo nei poveri. Sarà un segno più evocativo di molte parole, che aiuterà la società civile a comprendere, specialmente in questo periodo sofferto, che solo stando dalla parte dei più deboli usciremo davvero tutti insieme dalla pandemia”.

Mentre al termine della recita dell’Angelus ha invitato i fedeli a prendere la croce come ‘ponte’: “Il sentimento religioso è la linfa di questa nazione, tanto attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nel terreno, oltre a invitarci a radicarci bene, innalza ed estende le sue braccia verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo. Il mio augurio è che siate così: fondati e aperti, radicati e rispettosi”.

Al termine ha ricordato la beatificazione del card. Stefan Wyszyński ed Elisabetta Czacka: “Oggi, non lontano da qua, a Varsavia, vengono proclamati Beati due testimoni del Vangelo: il Cardinale Stefan Wyszyński ed Elisabetta Czacka, fondatrice delle Suore Francescane Serve della Croce.

Due figure che conobbero da vicino la croce: il primate di Polonia, arrestato e segregato, fu sempre pastore coraggioso secondo il cuore di Cristo, araldo della libertà e della dignità dell’uomo; suor Elisabetta, che giovanissima perse la vista, dedicò tutta la vita ad aiutare i ciechi. L’esempio dei nuovi Beati ci stimoli a trasformare le tenebre in luce con la forza dell’amore”.

(Foto: Santa Sede)

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