La Suprema Corte: il Crocifisso non alimenta divisioni

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A pochi giorni dalla riapertura scolastica la Suprema Corte, che a Sezioni Unite attraverso la sentenza 24414/2021 ha chiarito che il crocifisso nelle scuole non è una condotta discriminatoria; quindi ha stabilito che il Crocifisso può rimanere nelle aule, a condizione che sia ‘la comunità scolastica’ a deciderlo, anche accompagnato ‘con i simboli di altre confessioni presenti in classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi’.

Inoltre per la Suprema Corte al crocifisso “si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo… Il docente dissenziente non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso, ma deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione”.

Inoltre il Crocifisso non costituisce alcune discriminazione: “L’affissione del crocifisso non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione. Non è stata quindi accolta la richiesta di risarcimento danni formulata dal docente, in quanto non si è ritenuto che sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento”.

Con questa sentenza le Sezioni Unite hanno dato risposta alle questioni contenute nell’ ‘ordinanza di rimessione’, cioè quella in cui una singola sezione della Suprema Corte, ritenendo che la questione a essa sottoposta sia molto controversa e di particolare importanza, chiede che sia decisa in composizione plenaria.

Però tale sentenza evidenzia anche qualche ‘ombra’, come ha evidenziato ad Avvenire il prof. Filippo Vari, docente di Diritto Costituzionale all’Università Europea di Roma: “Il richiamo alla reasonable accomodation, il ragionevole accomodamento, un concetto usato da Marta Cartabia, può essere utile.

In caso di posizioni differenti nella comunità scolastica, ai cristiani toccherà dare conto della propria speranza, come ci chiedeva san Giovanni Paolo II, e questo è un bene. Tuttavia il principio rischia di creare incertezze sul versante pratico….  Insomma, la sentenza chiarisce che la Croce non discrimina nessuno, ma lascia aperte una serie di questioni pratiche”.

Per il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, la sentenza ha confermato che il Crocifisso non discrimina: “I giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni, ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria”.

Per mons. Russo, “la decisione della Suprema Corte applica pienamente il principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, rigettando una visione laicista della società che vuole sterilizzare lo spazio pubblico da ogni riferimento religioso. In questa sentenza la Corte riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell’appartenenza, l’importanza del rispetto reciproco”.

Infine mons. Russo ha sottolineato che il Crocifisso è speranza di salvezza: “Il cristianesimo di cui è permeata la nostra cultura, anche laica, ha contribuito a costruire e ad accrescere nel corso dei secoli una serie di valori condivisi che si esplicitano nell’accoglienza, nella cura, nell’inclusione, nell’aspirazione alla fraternità”.

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