I vescovi chiedono il riscatto delle Aree Interne

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Il riscatto delle Aree Interne passa dal documento dei vescovi campani in quattro punti al termine di due giorni a fine agosti nella diocesi di Benevento, intitolato ‘Sentinella, quanto resta della notte?’, auspicando quattro presupposti necessari a ribaltare la condizione di spopolamento e abbandono delle aree marginali:

“Che le risorse finanziarie contribuiscano alla realizzazione di opere fondamentali, facendo in modo che partano dalle zone più remote e raggiungano il centro; che la diligenza dei fondi europei in arrivo non venga assaltata scompostamente, ma possa arrivare a destinazione con una distribuzione equa e trasparente; che la cultura delle competenze prevalga sulla prassi del ricatto elettorale e del clientelismo; che la tutela dell’ambiente, spesso lasciato a se stesso nelle aree meno antropizzate, contribuisca a ridurre i rischi di calamità naturali e a produrre uno sviluppo sostenibile”.

Però il riscatto delle Aree Interne passa attraverso le comunità cristiane: “In questo recuperato slancio missionario ci impegniamo a costruire un volto di Chiesa battesimale, partecipativa, coinvolgente e coraggiosa, in cui il contributo dei laici, e delle donne in particolare, venga adeguatamente valorizzato; costruire ponti con le istituzioni nazionali e periferiche; collaborare con gli attori istituzionali nella Sperimentazione nazionale delle aree interne (SNAI) e nella applicazione delle Zone economiche speciali (ZES); adottare soluzioni pastorali capaci di formare le coscienze a vivere questo tempo di semina nella prospettiva di una solidarietà circolare; questo è particolarmente vero per la drammatica pandemia in atto”.

I vescovi campani hanno evidenziato i problemi che assillano le aree più marginalizzate dell’Italia a causa dell’abbandono da parte delle Istituzioni: “I problemi maggiormente evidenziati sono diritti progressivamente negati, quali la salute, l’istruzione, il lavoro, la viabilità, l’ambiente salubre, le interconnessioni. Le comunità cristiane, spesso unico presidio e riferimento dei territori marginalizzati, sentono l’urgenza di contribuire al riscatto umano e sociale delle popolazioni di queste aree, declinando il Vangelo in modi sempre adeguati alla concretezza della realtà.

A voi fratelli e sorelle, che abitate nelle aree interne, manifestiamo tutta la nostra prossimità, l’incoraggiamento a rendervi protagonisti di una nuova stagione di sviluppo, che non può realizzarsi senza un impegno comune. Vi invitiamo a fare rete, uscendo dalla logica dei campanili, vivendo la fraternità e la solidarietà.

Alle nostre Chiese locali chiediamo di vivere il prossimo cammino sinodale come una opportunità preziosa per ascoltare i nostri fratelli afflitti da storiche e incalzanti difficoltà, avviando così processi che portino a una pastorale specifica con uno sguardo attento alle realtà rurali”.

L’incontro era stato aperto dal messaggio di papa Francesco, che aveva invitato ad essere protagonisti della vita civile: “E’ necessario che le parrocchie e tutte le realtà ecclesiali diventino sempre più palestre di vita cristiana, scuole di servizio al prossimo, specialmente ai bisognosi, che attendono concreti gesti di solidarietà. 

Non lasciatevi paralizzare dalle difficoltà, ma mettetevi sempre in cammino, in movimento, sempre aperti e disponibili agli altri.  Il nostro tempo è caratterizzato da individualismo e indifferenza che determinano solitudini e lo scarto di tante esistenze”.

Il seminario è stato aperto dal segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, ha affermato che le ‘aree interne’ sono fondamentali per l’Italia: “Le ‘Aree interne’  non sono un minus rispetto agli altri territori. Rappresentano invece una ricchezza assoluta, se ben valorizzate e restituite alla loro dignità. Ora, purtroppo, facciamo i conti con diversi problemi che rendono difficile questa comprensione. Eppure, l’immagine del corpo ci sostiene nella riflessione…

L’attenzione delle comunità cristiane per questi territori non è un fenomeno estemporaneo, né tanto meno strumentale. Spesso le nostre comunità rappresentano per queste Aree, costrette a confrontarsi con dinamiche di marginalizzazione e di spopolamento, uno dei pochi punti di riferimento (talvolta l’unico) anche a livello sociale. E’ un’attenzione, dunque, che nasce dall’interno dell’esperienza ecclesiale, dall’attitudine al radicamento nei territori, dall’esigenza di coniugare sempre dimensione locale e apertura universale”.

Ed ha invitato a pensare al cambiamento: “Il cambiamento in atto, sollecitato anche dalla pandemia, può disegnare un nuovo modello di sviluppo in cui le ‘Aree interne’ possono diventare il polmone del Paese. Di certo, ne guadagneremo in stili di vita più consoni alla persona umana… Si tratta di passare dall’io al noi, di sentirsi corpo oltre che singole membra.

La saggezza popolare africana sintetizza questo cambiamento di prospettiva nel proverbio: ‘se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno’. Perché non si cresce se non insieme… Il cammino sinodale, che abbiamo avviato, è uno stimolo in più per cogliere tutte queste istanze”.

Il sociologo Francesco Vespasiano, docente all’università del Sannio, ha sottolineato la necessità di porre al centro la persona: “Per ridurre al minimo il rischio degli effetti perversi è indispensabile operare una scelta prioritaria: quella di mettere i bisogni delle persone all’inizio dei processi e di porre le persone reali al centro delle stesse dinamiche di sviluppo. Diversamente, si rischia di dare risposte lì dove non vi sono domande e di non riuscire a darle alle domande reali.

Porre al centro le persone significa anche dare energia collettiva ai progetti di sviluppo locale, quando essi non saranno più finanziati o più comunemente quando il successo dipenderà dalla collaborazione innovativa tra tutti gli attori sociali competenti”.

Ed ha proposto alcune ‘alternative’: “A mio parere, le aree interne usciranno dallo stato di marginalità se, e soltanto se, sapranno costruire reti di amicizia e stili di vita cosmopoliti… Il soggetto cosmopolita cerca autenticità relazionale e qualità di vita, non soltanto per sé stesso ma per tutti i componenti della sua rete di relazioni. Egli sa che se coloro che gli sono attorno stanno bene e vivono in condizioni di benessere, si genera una dinamica dalla qualità generalizzata…

I giovani, che più di altri fuggono dalle aree interne, troverebbero nel cosmopolitismo locale un luogo dove radicare le nuove costellazioni valoriali che, da decenni, cercano altrove. In questa ricerca esperienziale troverebbero un aiuto nelle infra-strutture viarie e nelle info-strutture digitali”.

(Foto: diocesi di Benevento)

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