Perdonanza celestiniana: il Giubileo ricorda l’opera di Dio

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Si è rinnovata a L’Aquila la celebrazione della Perdonanza Celestiniana, ovvero quell’esperienza di misericordia legata all’indulgenza plenaria concessa da Celestino V il 29 agosto 1294, giorno della sua incoronazione, con la concelebrazione eucaristica, presieduta dal card. Enrico Feroci, parroco della parrocchia di Santa Maria del Divino Amore a Roma, per l’apertura della Porta Santa nella Basilica di Collemaggio, che nell’omelia ha definito ‘di un’attualità sconcertante’ la Bolla di Celestino V per l’indizione del ‘primo Giubileo della storia’:

“Dice Papa Celestino, che fa questo dono ‘a coloro che cercano Dio’: costoro ‘troveranno Dio attraverso i tesori della Chiesa’. Presuppone, Papa Celestino, che gli uomini siano cercatori di Dio e cioè persone che sentono ed hanno la coscienza della pochezza dell’uomo e sperimentano la povertà esistenziale della propria vita. Non c’è domani e non c’è futuro senza un orizzonte infinito che è Dio stesso”.

Questa concessione dell’assoluzione della colpa avviene nel giorno della memoria della morte di san Giovanni Battista: “Particolare…. Non credete? Avrebbe potuto, proprio perché il gesto liturgico avviene in una chiesa mariana, scegliere una delle tante feste di Maria, oppure durante  la festa dell’esaltazione della santa Croce, o degli Apostoli… Perché allora ha voluto fare il dono della ‘Perdonanza’ ricordando il Battista, nel giorno della sua decapitazione?”

Ed ha spiegato attraverso una suggestione questa ‘coincidenza’: “Forse perché quel gesto, come papa Celestino scrive, ‘misteriosamente imposto dall’arbitrio di una donna impudica’ lo ha avvertito  come uno dei peccati più gravi e ancora tanto presenti al suo tempo e, noi possiamo dire, anche nel nostro tempo: sacrificare, cioè, l’uomo al potere. Su quel vassoio, la sera del banchetto nella reggia di Erode, dove prima c’era la pietanza per la cena, vi è stata gettata la testa decapitata di un uomo”.

Papa Celestino era consapevole che l’umanità aveva più a cuore la ‘roba’ tangibile: “Il Papa, illuminato dallo Spirito Santo, ha voluto che noi meditassimo con gioia e con fede che il Padre ha dato il suo Figlio, il suo cuore e lo ha dato a noi uomini, che eravamo peccatori.

Peccatori perché il nostro progenitore, che doveva essere, secondo il desiderio di Dio, lo spirito vivificante per l’umanità intera, ha risposto in maniera negativa al comando del Signore. Ha voluto salvare se stesso, ha voluto cercare altri percorsi, ha allontanato il progetto di Dio su di lui e sul mondo.

La Bibbia ci istruisce e ci fa comprendere che Dio, misterioso e misericordioso, ha continuato, però, ad inseguire l’uomo con il suo amore. Non lo ha abbandonato. ‘Io ci sono’ ha rivelato sul monte Sinai: è il suo nome, è il nome-segno-presenza-salvezza. E Gesù, l’Emmanuele , cioè il ‘Dio con noi’, dice ai suoi discepoli prima di ascendere al Padre ‘Io sono con voi fino alla fine del mondo’.

Dio ha condotto l’uomo a maturare l’esigenza della misericordia, lo ha istruito, gli ha fatto fare percorsi faticosi e veritieri, lo ha aiutato a discernere la sua presenza benevola e costante  orientata al dono totale del divino all’uomo”.

Ecco perché il giubileo è un segno di evangelizzazione: “Evangelizzare significa che il Signore sta con i poveri, (la parola povero non è una categoria sociale, ma teologica), sta con coloro che non si sentono autosufficienti, che  si sentono bisognosi;

proclama loro il suo amore che non terminerà mai, consegna nelle loro mani il Regno, cosicché chi vuole appartenere al Regno già sulla terra deve convertirsi ai poveri, riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa, mettersi al loro servizio, rendere loro l’omaggio che ad essi spetta perché sono gli amati l dal Signore”.

Il giubileo ricorda l’opera di Dio: “L’obiettivo finale del Giubileo, dunque, è ricordare l’opera di Dio. L’amore con cui il Padre desidera sradicare dal ‘cuore’ dell’uomo l’egoismo, l’avidità, lo sfruttamento, l’avarizia, la superbia: ciò che san Paolo definirà ‘adorazione degli idoli’, tutta quella realtà che si impernia nel grande peccato dell’uomo.

Circa quattro mesi è durato il pontificato di Papa Celestino V. Non ci ha lasciato opere, monumenti… ci ha lasciato il dono centrale della fede…la possibilità di attingere alla misericordia di Dio, in modo speciale in questo giorno, in ogni anno, finché entreremo nella visione di Dio”.

Aprendo la festa della Perdonanza con l’accensione del fuoco l’arcivescovo della diocesi aquilana, card. Giuseppe Petrocchi, aveva sottolineato il valore di tale gesto: “Il fuoco della Perdonanza deve illuminare le nostre ‘notti’ spirituali, culturali, sociali.

Se spesso è impossibile eliminare rapidamente il buio che ci avvolge, è tuttavia fondamentale che il buio non si trasformi in ‘tenebra’, che è oscurità abitata dal male, in tutte le sue forme. Infatti, la sofferenza, provocata da condizioni avverse che si abbattono sulla nostra storia, non deve ‘inquinarsi’ diventando una palude malsana (personale e collettiva), che genera rabbia, avvilimenti, contrapposizioni, atteggiamenti ostili, individualismi miopi e corrosivi”.

(Foto: Arcidiocesi de L’Aquila)

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