Le mostre, essenza del meeting

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A Rimini la 42^ edizione del Meeting dell’Amicizia tra i popoli volge al termine, ma non per questo è meno interessante; anzi, questi ultimi incontri stanno mettendo a fuoco il significato del ‘coraggio di dire io’ come ha dimostrato ieri i due incontri di presentazione delle mostre sullo scrittore Tolkien e sulla vita senza paura nell’età dell’incertezza.

E per aver il coraggio di dire io c’è bisogno di chi  è capace di vedere la realtà in profondità con creatività; e pochi scrittori hanno saputo realizzare un’opera così imponente e profetica come fatto da J.R.R. Tolkien, capace di esprimere la propria creatività oltre lo spazio e il tempo, portando a una riflessione teologica sui suoi racconti che cresce sempre più per profondità e interesse.

Infatti negli scritti di Tolkien, è stato spiegato durante l’incontro ‘Tolkien, la polifonia della Creazione e la creatività dell’uomo’, vi è una tensione organica tra il particolare e l’universale, tra il personaggio individuale e narrazione generale, tra la creazione dell’artista e il disegno dell’unico grande Autore, che il grande romanziere fantasy tematizza con il nome di Ilúvatar, come ha spiegato il prof. Giuseppe Pezzini, docente associato all’Università di Oxford e curatore della mostra ‘The Tree of Tales. Tolkien e la polifonia della creazione’:

“Per Tolkien, il metodo che Dio ha scelto per impegnarsi nella realtà della storia è lo stesso che chiede a chiunque abbia deciso di seguirlo… Non è né un metodo di imbalsamazione, né una riforma, né una disperazione. Il metodo è quello che è raccontato nel mito cosmogonico che apre la sua opera, che è il Silmarillion”.

Il docente ha infatti spiegato che in Tolkien “si vede come nell’opera di Dio, che è la storia dell’uomo, le creature cercano di inserire qualcosa di loro e cominciano a portare una dissonanza. Le crisi, i cataclismi della storia, sono causa del ‘peccato’.

Il male del mondo, la crisi, è quindi introdotto dalla libertà dell’uomo, ma nel Silmarillion Dio corregge l’errore (le tentazioni di autonomia dell’uomo) non distruggendo e nemmeno ricostruendo, ma generando. Dio genera qualche cosa di nuovo, rinnova la sua creazione creando qualcosa di molto bello, rinnovando degli io creatori”.

La riflessione è proseguita su come, in Tolkien, Dio interagisca con la Creazione, grazie all’intervento di p. Guglielmo Spirito, francescano conventuale e docente di Teologia Spirituale all’Istituto Teologico di Assisi, uno dei maggiori esperti italiani sul tema:

“Dio costruisce generando altro da sé. Non è un’affermazione personale ma una creatività vera, quindi sempre generativa. A lungo Tolkien è stato considerato un autore popolare, ma non è effettivamente così, il suo pensiero si scopre in forma narrativa…

La visione del Silmarillion è come quella di un racconto cosmogonico splendido su come funziona la realtà, una creazione che continua a snodarsi arricchendosi, con disarmonie e traumi che cercano di annullare la bellezza del cosmo, ma riassorbite in una bellezza più grande. Tutto lo splendore e il Creato è in vista di un amore di predilezione”.

Soprattutto nell’opera ‘Signore degli Anelli’, ha sottolineato il francescano, “tutto ciò è in sottofondo mentre uno dei Valar viene mandato, insieme ad altri, a mescolarsi nel tessuto dei drammi della vita per aiutare uomini ed elfi a venirne a capo, dato che Sauron ha continuato la propria opera di seminagione di malvagità. Il più conosciuto è Gandalf, un messaggero dei signori dell’ovest mandato per incoraggiare e riaccendere la speranza, e uno dei modi a sua disposizione è suscitare nella mente immagini di bellezza”.

Ed ha concluso l’intervento affermando che Tolkien fa sì che il lettore al termine della lettura può avere il coraggio di dire io: “Questa assistenza del cielo sulla terra, personalizzata, intima e concreta, per aiutarci a fiorire e fruttificare, ci consente di avere il coraggio di dire “io”, perché non sono solo, ma sono accompagnato da un amore previdente che mi permette di vivere i drammi della vita in compagnia”.

Il prof. Lukasz Neubauer, Koszalin University of Technology, Department of Foreign Languages, ha messo in evidenza che lo scrittore inglese era un cantastorie, un filologo, ma soprattutto un padre: “Tolkien era un cantastorie. Alcune delle sue storie avevano un’origine orale, cioè vennero sviluppate dalle storie che lui raccontava mentre parlava ai suoi figli.

Era un grande padre, oltre che un grande narratore, e per lui il narrare storie era un atto comunitario, c’era bisogno di un pubblico per farlo. Questo comprendeva i suoi colleghi accademici, i suoi studenti, e anche i suoi figli”.

Infine il direttore de L’Osservatore Romano, Andrea Monda, ha incentrato la riflessione sul ‘Signore degli Anelli’, ribadendo che esso “è un libro che nutre la vita, che la fa germogliare, continuamente, la genera e la rigenera. Ma papa Francesco ci ricorda che la società ha bisogno di ritornare a raccontare le storie, altrimenti il rischio è che vada a smarrirsi”.

Infine ha ripreso il messaggio del papa per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali per evidenziare di prestare attenzione alle relazioni umane; e qui sta la visione profetica dello scrittore:

“Il Papa aggiunge però: attenzione, ci sono anche storie negative tese a spaccare il tessuto sociale. La nostra vita è fatta di relazioni, che vanno tessute. C’è un modo di raccontare che significa esercitare il potere per possedere. L’albero delle storie può essere distrutto da una controstoria negativa…

Tolkien non è attuale, ma profetico, perché ci guarda e a ognuno di noi illumina una strada inedita, nuova e inesplorata, facendoci vedere le stesse cose che abbiamo davanti agli occhi ma con un’altra luce”.

L’altra mostra al centro dell’appassionante incontro pomeridiano, ‘Vivere senza paura nell’età dell’incertezza’ ha messo a  fuoco l’irriducibilità dell’umano che, anche nell’età secolare in cui viviamo, emerge con sorprendente evidenza, attraverso la testimonianza di tre persone, quali Charles Taylor, (professore emerito di Filosofia, McGill University, Montreal, vincitore Premio Ratzinger 2019), Julián Carrón (docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione), Rowan Williams (professore emerito di Pensiero Cristiano Contemporaneo, University of Cambridge, già arcivescovo di Canterbury), perché l’età secolare in cui viviamo, segnata per molti versi da un senso di diffusa incertezza, si presenta come una grandissima opportunità per riscoprire la vera natura dell’io, la sua sete di verità, giustizia e bontà, e (al tempo stesso) l’originalità dell’avvenimento cristiano.

Per don Carron c’è il rischio di percepire “l’incertezza come nemica perchè riteniamo di conoscerla e che non vi sia alcuna possibilità di fare un’avventura ancora sconosciuta. Allora, la questione della paura è se siamo in grado di percepire un momento di crisi come la possibilità di porre delle domande che faranno piazza pulita di molte nostre ‘certezze’ e che ci faranno scoprire qualcosa di forse più essenziale per vivere. Se cioè abbiamo la lealtà necessaria di assecondare queste domande senza farci bloccare dalla paura”.

Invece per Williams occorre saper distinguere le paure: “Quella che ci paralizza e quella che ci stimola a cambiare: tanto spesso ci poniamo le domande sbagliate su credenti e non, dovremmo sederci e ascoltare» … La Cristianità non è un sistema religioso, ma, come insegna il teologo greco Yannaras, ha a che fare con l’abitare il corpo di Cristo; la stessa Chiesa non è una istituzione ma una realtà spirituale”.

Taylor ha spiegato che questa libertà reale discende dalla natura umana e non può neanche essere ‘scelta’ dall’uomo.

La mostra si chiude con un invito di Julián Carrón a condividere questa esperienza: “Non ho mai percepito un rischio nell’entrare in rapporto con nessuno. Perché entrare in sintonia con persone incontrate per strada è sempre stata per me una possibilità, non un rischio, non un pericolo. Io penso che la secolarizzazione sia una grandissima opportunità prima di tutto per noi, non per rimproverare gli altri che non credono, ma per renderci conto di che cosa abbiamo fatto della Grazia che ci è capitata”.

Infine è necessario sottolineare il ‘successo’ di una terza mostra, che ha avuto una grande affluenza, grazie anche alla testimonianza in presenza, al termine del percorso, delle giovani donne ugandesi di Rose Busingye, ‘Tu sei un valore. Le donne di Rose’, che racconta l’esperienza di un gruppo di donne ugandesi che hanno saputo riscoprire il proprio valore in condizioni di estrema difficoltà. Si parte da una delle guerre etniche più sanguinose d’Africa (quella ugandese degli anni ‘80) e si arriva a uno degli slam più grandi al mondo, a Kampala.

Storie di rinascita e redenzione, dure e drammatiche, spesso tragiche come quelle raccontate, nei video, da molte di loro, rapite a partire dalla metà degli anni ‘80 dall’Esercito di resistenza del signore (Lra) agli ordini di Joseph Kony che devastò i villaggi nei distretti di Gulu, Kitgum, Pader, Lira, Apac Katakwy e Soroti, sequestrando oltre 20.000 bambini e 15.000 donne e uccidendo più di 100.000 persone.

(Foto: Meeting Rimini)

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