Il Concilio restituito alla Chiesa

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E’ in libreria il libro  ‘Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II’ di Stefano Fontana,  direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa e del settimanale diocesano di Trieste, ‘Vita Nuova’. Nella prefazione al libro l’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, presidente dell’Osservatorio ‘Van Thuan’ per la Dottrina Sociale della Chiesa e Presidente della Commissione ‘Caritas in veritate’della CCEE, ha scritto: “Sul Vaticano II si sentono molte voci, fin troppe forse, ed alcune sono anche fuori riga. Eppure occuparsi del Vaticano II è di fondamentale importanza. Per questo sono utili i libri che aiutano a capire e a maturare una visione pienamente ecclesiale del Concilio. Questo libro appartiene a questa categoria.

Non rientra in partiti teologici ed ecclesiali, è impegnato a mettere ogni cosa al suo posto e a fornire del problema Concilio un quadro completo e veramente utile per la Chiesa. Il Vaticano II non è un superdogma. Esso si inserisce nella tradizione della Chiesa. Ma proprio per questo non ci si può staccare da esso, che va invece valorizzato e realizzato. Per valorizzarlo e realizzarlo, però, bisogna capirlo per quello che è stato. Comprenderlo per quello che è stato non significa sminuirlo, ma collocarlo al livello suo proprio dentro la vita della Chiesa, significa valorizzarlo. Per valorizzarlo si deve scrostarne la superficie dalle interpretazioni mondane che si sono impadronite del Concilio, deformandolo. In questo modo si restituisce il Concilio a se stesso e alla Chiesa”.

All’autore abbiamo chiesto di spiegarci l’ermeneutica per una corretta interpretazione del Concilio Vaticano II: “Nel mio libro affronto il problema dell’ermeneutica del Vaticano II a due livelli. Il primo è quello suggerito da Papa Ratzinger nel famoso discorso del 22 dicembre 2005. Il Concilio non è un superdogma da sovrapporre al Catechismo e farne un nuovo Vangelo. Non è il presunto punto vista da cui giudicare e magari condannare la storia passata della Chiesa, non è un ‘nuovo inizio’. Esso è in continuità con la tradizione e i precedenti Concili. Laddove ci sono delle discontinuità, bisogna chiarire che esse riguardano discontinuità di fatto o apparenti e non rotture. I principi rimangono, le applicazioni possono cambiare. Per poter discernere in questo senso, bisogna che il Concilio sia letto alla luce della dottrina e della tradizione. Mi soffermo però anche su un secondo livello del problema dell’interpretazione. Benedetto XV ci ha indicato alcune linee per una corretta ermeneutica. Sull’ermeneutica però esistono almeno due versioni. Se non si chiarisce questo punto si finisce sempre nel nominalismo e non ci si capisce mai. Nel libro distingue due visioni dell’ermeneutica: la prima parte da un a-priori che storicamente condiziona strutturalmente la conoscenza. E’ l’ermeneutica, se vogliamo, heideggeriana o rahneriana. La secondo vede l’ermeneutica come l’incessante lavoro di interpretazione sulla base di una vera e propria conoscenza certa iniziale”.

Esiste un problema ‘Concilio’?

“Il problema del Concilio consiste nella sua indole pastorale. Sembra un paradosso, ma è così. L’indole pastorale del Concilio doveva essere la soluzione dei problemi ed invece è diventata il problema. Elenco brevemente alcuni nodi problematici connessi con l’indole pastorale del Vaticano II. I precedenti Concili non erano anche pastorali? Erano Concili dogmatici, ma il dogma non c’entra nulla con la pastorale? E’ possibile un Concilio solo pastorale che non ripensi anche la dottrina? Paolo VI aveva chiaramente in testa che no. Quindi il Vaticano II ripensò anche la dottrina. Allora fu anche dottrinale, pur se non dogmatico. La dottrina fissata dal Vaticano II che valore ha, dato che il Concilio pretese per sé la qualifica di pastorale?

Il Vaticano II non voleva primariamente ripensare la dottrina, ma interrogarsi sulla pastorale, però le esigenze pastorali richiedevano di ripensare tutta la dottrina e in questo modo si ebbe un Concilio pastorale che ripensò tutta la dottrina, forse più dei precedenti Concili che si pronunciarono solo su singoli argomenti dottrinali. Questi sono solo alcuni esempi. Di fatto oggi la pastorale ha preso il sopravvento sulla dottrina fino a farla sparire in molti casi. In alcuni capitoli del mio libro descrivo molti comportamenti ecclesiali che lo testimoniano ampiamente. Il problema è stabilire se questo primato della pastorale fosse presente nel Vaticano II stesso o se sia dovuto a difetti di applicazione.

La tesi che espongo nel libro è che nel Vaticano II ci furono delle ‘fessure’ attraverso le quali la tesi del primato della pastorale in seguito penetrò nella Chiesa. Fessure non volute, ma fessure. Non era intenzione dei Papi né dei Padri conciliari anche se, storicamente, si può provare che alcuni Padri conciliari avrebbero voluto introdurre forme di modernismo nella dottrina della Chiesa cattolica. Ma ciò non avvenne, per la sorveglianza dottrinale e pastorale dei Pontefici e l’assistenza dello Spirito Santo”.

Nel suo libro, lei tratta il problema del linguaggio dei documenti del Vaticano II. Cosa ne scaturisce?

“Il Vaticano II non fu un Concilio dogmatico, quindi non adoperò il linguaggio definitorio, ma un linguaggio che qualcuno definisce narrativo. E’ quindi spesso difficile capire con precisione i suoi insegnamenti. Una frase di un documento bisogna per forza collegarla con altre frasi dello stesso e spesso bisogna completare il quadro con riferimento ad altri documenti del Concilio. Spesso nemmeno in questo caso si ha una completa panoramica dell’argomento. Tanto è vero che il magistero ha in seguito precisato mote cose. Se tutto fosse stato chiaro non ce ne sarebbe stato bisogno. La famosa prima frase della Gaudium et spes, sempre citata da tutti, anche da coloro che del Concilio non hanno letto altro, non trasmette nessun preciso significato teologico, ha bisogno di essere completata da altre frasi del documento e di altri documenti. Spesso, invece, il Concilio si cita per frasi ad effetto, fermandosi ad esse e facendone una definizione di fede”.

Dopo Papi che hanno partecipato al Concilio, c’è papa Francesco. Su quale linea operare?

“Il lavoro da fare è lungo. Passerà molto tempo. Benedetto XVI ha tracciato la linea. Del Concilio bisogna parlare, ma non a partire dalle proprie posizioni ideologiche incancrenite o dalle frasi fatte di cui ci si riempie la bocca. Benedetto XVI ha indicato una strada: un movimento che dal basso, e con la guida del Papa, riscopra il Concilio vedendolo dentro la tradizione della Chiesa e non in contrasto con essa. Una riscoperta non nel segno della rottura ma della riforma nella continuità, lenta e progressiva, sempre più consapevole e diffusa. A questo mi auguro possa servire anche il mio libro”.

 

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