Al meeting di Rimini in scena il coraggio di dire io

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Ieri si è aperta a Rimini la 42^ edizione del Meeting dell’amicizia tra i popoli, in presenza, che ha tema una frase del filosofo danese Søren Kierkegaard, ‘Il coraggio di dire io’, con l’intervento del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, come nel 2016, ringraziando gli organizzatori per il coraggio della presenza:

“E’ innanzitutto a loro che desidero rivolgere il saluto più caloroso e l’incoraggiamento a trarre da questa esperienza una spinta a raccogliere e a trasmettere passione, solidarietà, capacità di ascolto e di dialogo; valori fondamentali in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

Ringrazio la comunità degli organizzatori (la Fondazione Meeting, la Fondazione per la Sussidiarietà, la Fraternità di Comunione e Liberazione) per aver portato ancor più avanti, per un nuovo tratto di strada, il testimone che hanno ricevuto: credo che aver realizzata l’edizione di quest’anno non sia stato semplice, a fronte delle necessarie limitazioni legate alla pandemia”.

Ed ha fatto un paragone con l’edizione del 2016: “Ho colto subito l’evidente collegamento tra l’indicazione di allora e quella di oggi. Sono trascorsi cinque anni intensi. Nel tempo che viviamo i cambiamenti si fanno sempre più accelerati, e sono sempre più interdipendenti.

Il mondo ‘globale’ viene percepito, e diviene, sempre più piccolo, le distanze si accorciano, comunichiamo on line, con immediatezza, non solo parole e immagini, ma speranze e paure, modelli di vita e comportamenti sociali”.

La pandemia ha cambiato molte visioni: “Ci siamo scoperti più fragili di quanto credevamo. Abbiamo compreso con maggiore chiarezza di aver bisogno del sostegno degli altri. Abbiamo fatto esperienza del dolore, della paura, della solitudine.

Ma nella comunità abbiamo trovato risorse preziose, decisive per far sì che le nostre speranze, le nostre aspirazioni non venissero sradicate e potessero ancora trovare conferma e sviluppo. Avere il coraggio di dire io richiama la necessità di rivolgersi ad altri, a uno o a tanti tu”.

Ma ha lanciato anche una sfida: “Si tratta, anche per i credenti, della chiave del rapporto con Dio. L’io ha bisogno di avvertire la propria responsabilità e di riconoscere gli altri per comporre il noi della comunità.

L’io consapevole della propria responsabilità esclude l’egoismo che conduce al conflitto con altri; che illude della propria forza e rischia in realtà di precipitare nell’impotenza, nel rifiuto in definitiva anche di se stessi. Il futuro può essere costruito soltanto insieme.

E’ l’io che riconosce il valore della diversità, del trovarsi e ritrovarsi insieme; l’io che desidera la compagnia per diventare costruttore, di esperienze, di senso, di vita. Il richiamo all’io mette in evidenza il compito (o, per esprimerlo con maggiore intensità, la missione) verso i tanti tu che incontriamo”.

Per questo è necessario il coraggio di una piena coscienza: “Il coraggio di dire io è indispensabile per dare concretezza, realtà umana, a principi che altrimenti resterebbero inerti, o peggio verrebbero traditi dalla rinuncia o dal nascondimento. Occorre, dunque, il coraggio della responsabilità. La pandemia ci ha dimostrato quanto ci sia bisogno di responsabilità”.

Ed ha sottolineato il coraggio della responsabilità quotidiana: “La responsabilità comincia da noi. Vaccinarsi, tra i tanti esempi, è un dovere non in obbedienza a un principio astratto, ma perché nasce dalla realtà concreta che dimostra che il vaccino è lo strumento più efficace di cui disponiamo per difenderci e per tutelare i più deboli e i più esposti a gravi pericoli.

Un atto di amore nei loro confronti, come ha detto pochi giorni fa papa Francesco. Il coraggio dell’io ci rende liberi. Parliamo della libertà autentica, capace di piantare solide radici, soltanto se coltiva la vocazione all’incontro e al rispetto e che è iscritta nell’animo di ogni persona”.

Questo coraggio personale si trasforma nel coraggio comunitario:  “Il coraggio dell’io ha a che fare con il coraggio della società di tenere sempre aperte, di non chiudere mai, le strade di uno sviluppo integrale della persona, di ogni persona. A questo dovere ci richiama la nostra Costituzione la cui impronta è, appunto, ‘personalista’.

E’ una sfida, uno spazio che sta diventando ogni giorno sempre più ampio. La comunità è sempre più larga e il compito di presidiare e assicurare a tutti questo spazio diventa sempre più impegnativo e affascinante.

Nuove prospettive sono davanti a noi. Riguardano l’equilibrio tra umanità e natura, tra tecnologia e umanità, tra consumo delle risorse ambientali e futuro da consegnare ai nostri figli”.

Infine ha ricordato la necessità dei corpi sociali: “Nel mondo globalizzato il ruolo dei corpi sociali e delle formazioni intermedie diviene più impegnativo, forse più difficile, perché la persona rischia di trovarsi sola davanti a centri di influenza sempre più pervasivi e lontani, che incidono sul suo effettivo esercizio di libertà senza che possa esserne arbitra. Ma il loro significato, il loro valore non sono affievoliti e vanno preservati e, se possibile, accresciuti…

Se il destino dell’umanità è comune, il futuro che dobbiamo comporre insieme non può più essere a somma zero. In cui, cioè, a un progresso in un’area debba corrispondere, a compensazione algebrica, un arretramento in un’altra”.

Il coraggio dell’io contribuisce a formare cittadini: “Il coraggio dell’io, oggi, chiede una svolta capace di contribuire a far sì che i cittadini, le persone, siano protagonisti anche nel nuovo contesto di interlocutori globali che trascendono gli Stati e tendono a rendere, di conseguenza, debole ogni influenza e controllo democratico.

Anche da qui nasce l’esigenza di potenziare e rendere non illusorie la sovranità comunitaria che sola può integrare e rendere non illusorie le sovranità nazionali. La sovranità comunitaria è un atto di responsabilità verso i cittadini e di fronte a un mondo globale che ha bisogno della civiltà dell’Europa e del suo ruolo di cooperazione e di pace…

Possiamo farcela. Dipende anche da noi. Ciascuno viene, e deve sentirsi, interpellato: il coraggio dipende dalla capacità di ciascuno di essere responsabilmente se stesso. Del resto, è questa la condizione dell’esercizio della libertà”.

E nel messaggio inviato agli organizzatori anche papa Francesco ha ribadito che nessuna occasione deve essere sprecata, richiamando al buon esercizio della libertà: “La società ha necessità vitale di persone che siano presenze responsabili. Senza persona non c’è società, ma aggregazione casuale di esseri che non sanno perché sono insieme.

Come unico collante rimarrebbe solo l’egoismo del calcolo e dell’interesse particolare che rende indifferenti a tutto e a tutti. Del resto, le idolatrie del potere e del denaro preferiscono avere a che fare con individui piuttosto che con persone, cioè con un ‘io’ concentrato sui propri bisogni e i propri diritti soggettivi piuttosto che un ‘io’ aperto agli altri, proteso a formare il ‘noi’ della fraternità e dell’amicizia sociale”.

In fondo per il cristiano il coraggio viene da Gesù: “La ragione profonda del coraggio del cristiano è Cristo. E’ il Signore risorto la nostra sicurezza, che ci fa sperimentare una pace profonda anche in mezzo alle tempeste della vita…

La gioia del Vangelo infonde l’audacia di percorrere nuove strade: ‘Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne, … particolarmente attraenti per gli altri’. E’ il contributo che il Santo Padre si aspetta che il Meeting dia alla ripartenza, nella consapevolezza che ‘la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti’, nessuno escluso, perché l’orizzonte della fede in Cristo è il mondo intero”.

(Foto: Meeting di Rimini)

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