Lino Prenna: essere in politica da cattolici

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‘Non negare mai, raramente afferma, frequentemente distingui’ diceva Ignazio di Loyola; tale aforisma apre il libro del prof. Lino Prenna (ordinario di Filosofia dell’educazione all’Università di Perugia e coordinatore nazionale dell’associazione ‘Agire Politicamente’), ‘Dal cattolicesimo democratico al nuovo popolarismo. Sui sentieri di Francesco’ (edito dall’Istituto Luigi Sturzo in collaborazione con il Mulino), accanto alla citazione di papa Bergoglio, il quale ricorda come la ‘fraternità rimanga la promessa mancata della modernità’.

Nell’introduzione il prof. Prenna ha scritto: “L’intento è di stabilire una correlazione tra l’attitudine moderna del cattolicesimo democratico e l’antropologia teologica di papa Francesco, interprete critico ma cordiale della modernità; di rilevare la trama dottrinale sottesa al suo ministero sociale, e proporne un’iniziale declinazione politica, verificando l’ipotesi che, come per il cattolicesimo democratico, la mediazione, così, per Bergoglio, la dialettica compositiva delle opposizioni polari, costituiscono la ‘ragione ermeneutica’ congiuntiva e risolutiva delle contraddizioni che abitano la realtà e alimentano la ‘tensione politica’ del mondo”.

Il libro tocca i punti nevralgici della riflessione politica moderna (il concetto di cittadinanza, il dovere della solidarietà, l’antropologia politica, la polarità conoscenza/potere, il governo della complessità) facendosi guidare dalle encicliche di papa Francesco, non rinunciando al suo filosofo di riferimento: Antonio Rosmini.

Molto documentate sono le pagine dedicate al ‘popolarismo’, inteso come impegno politico dei cattolici nel Partito popolare, nato nel 1919, con lo scopo di ‘riconciliare i principi del cattolicesimo con le urgenze della modernità’.

A lui chiediamo di spiegarci in cosa consiste il passaggio dal cattolicesimo democratico al nuovo popolarismo: “Più che un passaggio, è un percorso, proposto dal mio libro come sviluppo e attualizzazione del cattolicesimo democratico nel nuovo popolarismo. L’intuizione di questo ‘passaggio’ mi è venuta a partire dall’ammirata lettura dell’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’, il cui tratto così personale e inedito mi ha convinto che fosse l’esito di un pensiero originato altrove e a lungo coltivato.

Così, sono andato a leggermi quasi tutto quello che Jorge Mario Bergoglio aveva detto e scritto negli ‘anni argentini’, come provinciale dei gesuiti e poi da vescovo, arcivescovo, cardinale.

In quei testi, la centralità del termine ‘popolo’ (una categoria non sociologica né logica, ma storica e mitica) e la concezione della teologia come ‘comprensione del cristianesimo popolare’ mi hanno convinto, ancor prima che papa Francesco lo dicesse nell’intervista a ‘La Stampa’ dell’agosto 2019 e poi definitivamente nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, che la sua visione antropologica e teologica potesse denominarsi ‘popolarismo’ e che fosse possibile avvicinarlo al popolarismo sturziano che, del cattolicesimo democratico, è stato la prima compiuta declinazione politica”.

Allora, cosa significa popolarismo?

“L’accenno al popolarismo sturziano ci porta alla vicenda del Partito Popolare Italiano (1919-1926), col quale storicamente si identifica. Si tratta di un articolato progetto politico, nato alla confluenza di un faticoso processo di riconoscimento della democrazia come ‘forma di governo popolare’ e di superamento della tentazione temporalista, con la conseguente distinzione del ‘trono’ dall’ ‘altare’, che permise, per la prima volta, l’autonoma partecipazione dei cattolici alla vita politica.

Al contrario, il popolarismo bergogliano, così come io ho cercato di configurarlo, non si identifica con alcun sistema politico, tanto meno con un partito. Papa Francesco, nella citata intervista a ‘La Stampa’, dice che, studiando teologia, ha approfondito il popolarismo, ‘cioè la cultura del popolo’. Dunque, è un sistema culturale integrale, di cui ho proposto una declinazione politica, con il nome di ‘nuovo popolarismo’, per distinguerlo da quello sturziano”.

​Come mettersi sui passi di papa Francesco?

“I passi di papa Francesco sono passi di un pastore che sollecita la sua Chiesa a riconoscersi come ‘popolo in cammino’, tra i popoli della terra, e ‘casa di Dio’, nella ‘casa comune’. Sono i passi di un profeta, cioè di uno che parla a nome di Dio (come suggerisce l’etimologia del termine) ed eleva antiche e pur inedite parole di speranza sull’inquieto e smarrito mondo moderno. Mettersi sui suoi passi vuol dire tradurre la suggestione   di quelle parole in esigente pratica di vita.

Ed invece, ho l’impressione che prevalga, nelle nostre comunità e anche da parte dei loro pastori, una recezione nominalistica, che si limita a ripetere, fino a ridurle a fastidiosa retorica, le espressioni divenute tipiche del linguaggio bergogliano, quali ‘chiesa in uscita’, ‘periferie esistenziali’, ‘cultura dello scarto’…  

I sentieri di papa Francesco, che il sottotitolo del mio libro suggerisce, sono altrettanti percorsi finalizzati, come aveva detto l’allora arcivescovo di Buenos Aires, a gerarchizzare e riabilitare la politica, come ‘espressione simbolica della vita in comune e rituale di riconoscimento reciproco’, nella storia di un popolo”.

Quale insegnamento può dare Antonio Rosmini?

“Il più alto insegnamento viene dalla sua singolare vicenda di pensiero e di vita, ancora da esplorare e meditare, pur trattata già da una ormai ampia letteratura.

Ma qui, limitatamente al pensiero politico, mi piace segnalare la teoria dell’antiperfettismo, che Rosmini propone come regola dell’agire umano, in genere e, in particolare, come insegnamento alla politica, giacché considera il perfettismo, cioè quel sistema che finisce per sacrificare i beni presenti ad una immaginaria futura perfezione, frutto di ignoranza della natura umana.

Ritrovo qui l’idea, cara al cattolicesimo democratico, della politica quale arte del possibile, che si esercita nella mediazione tra l’assoluto ideale e il relativo reale”.

A fine agosto ad Assisi si svolgerà il seminario di formazione dal titolo ‘Il nuovo popolarismo: una costruzione dell’essere sociale’: a quale costruzione dell’essere sociale può aiutare il nuovo popolarismo?

“Costruire l’essere sociale vuol dire costruire un popolo, cioè avviare un processo di identificazione, di partecipazione e di abitazione solidale della città. In questa prospettiva, il popolarismo non è altro che un sistema politico capace di generare socialità, concordia e amicizia sociale, in un rinnovato esercizio di cittadinanza responsabile”.

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