‘Luca era gay, adesso sta con lei’: una frase da censurare (PRIMA PARTE)

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Non so se capita anche a voi, ma io in nome della ‘libertà’ sento giustificare cose di ogni genere. Un giorno una persona mi ha detto: ‘Non giudico i terroristi, perché loro ammazzano credendo di fare il bene’. Gli ho risposto: “Nemmeno io giudico la persona (a quello penserà Dio). Ma giudico sbagliato uccidere in nome di una fede. Giudico l’atto del terrorista, non la persona!” E lui ha replicato: “Io non giudico nemmeno l’atto”, come a dire che il bene e il male non esistono, esiste solo la coscienza e la percezione soggettiva del bene e del male.

Era una persona perbene, intendiamoci, non uno che ai figli insegnerebbe mai a sparare con un mitra. Ed è questo il colmo: un uomo con dei valori nella vita di tutti i giorni, non ha il coraggio di dire che per lui una data azione è sempre sbagliata, a prescindere dalle buone intenzioni con cui la si può compiere. Nemmeno se si tratta di uccidere delle persone facendosi esplodere su un aereo. Uno può sbagliare su cosa sia bene e su cosa sia male, ma non è da integralisti avere un’etica, una scala di valori  (che può sempre essere riformulata con l’esperienza, il confronto e l’approfondimento delle questioni).

Il relativismo, però, questo non lo permette e miete vittime davvero ovunque. Ci ingarbuglia in un politicamente corretto che finisce per fare acqua: perché cadiamo inevitabilmente in contraddizione. Eppure, in certi casi, questo relativismo lascia posto al cosiddetto ‘pensiero unico’: se la libertà è diventata oggi la dea più venerata in occidente, su certi temi è ‘socialmente permesso’ pensarla solo in un determinato modo (almeno in Europa, perché negli Stati Uniti, per esempio, è diverso).

Mi lascia perplessa, ad esempio, un controsenso che vedo in questo tempo, in cui si discute sulla proposta di legge Zan. A tutti – sostengono i promotori – deve essere permesso di pensare e vivere ciò che vogliono in materia sessuale: si battono per questo, per la libertà e il rispetto di ogni orientamento e scelta in quel campo.

Eppure, sembra non sia permesso – senza essere insultati da quegli stessi paladini della libertà – avere tendenze omosessuali e non volerle assecondare (scegliendo la castità, come, per fare un nome noto, Giorgio Ponte, insegnante e scrittore) o tornare eterosessuali dopo aver vissuto una vita gay. In quel caso sei un pazzo e diventi pericoloso per gli altri con il tuo esempio. (pensiamo ad esempio a Luca Di Tolve). In questi casi si è dei pazzi e si diventa pericolosi per gli altri, con il proprio esempio.

Non sono una psicologa, una terapeuta, un medico, né posso dire di conoscere a fondo la tematica dell’omosessualità (per questo cerco di mantenere l’umiltà necessaria per ascoltare tutti coloro che hanno da dire qualcosa sull’argomento senza pregiudizi, per apprendere e comprendere sempre di più la realtà).

Mi limito qui a constatare l’incoerenza che vedo in chi da un lato osanna la libertà assoluta sul proprio corpo (fino ad appoggiare la scelta di cambiare sesso con un’operazione chirurgica) dall’altro lato, invece, sputa sentenze o condanne verso chi, dopo aver convissuto con una tendenza omosessuale per molti anni, si riconosce (dopo un percorso personale e soggettivo) in un orientamento eterosessuale.

‘Luca era gay’: avete mai ascoltato questa canzone di Giuseppe Povia? Non mi ritengo una sua fan (credo di conoscere tre canzoni in totale) ma la sua vicenda mi ha incuriosito dal punto di vista giornalistico. Il cantante è stato tacciato di omofobia da moltissime associazioni gay e perfino da esponenti del mondo politico, per aver raccontato una storia vera. La storia di un uomo che aveva trovato nell’omosessualità non una via di felicità ma un rifugio.

Secondo l’Ordine degli Psicologi italiani, che hanno analizzato il testo, l’uomo in questione ‘non era neppure gay, ma credeva di esserlo”. A questa obiezione il cantante ha risposto così: il tale che gli ha raccontato la sua storia (si chiamerebbe Massimiliano, nella vita reale) è stato attratto solo ed unicamente dagli uomini per 22 anni; coi quali ha avuto relazioni sessuali; è diventato attivista e si è impegnato a difendere i diritti del mondo LGBT. (Magari non era gay, ma ci credeva parecchio, ecco).

Al di là di questa storia, al di là del fatto che Massimiliano credeva di essere gay ma non lo era, mi chiedo quale sia il problema se una persona dall’omosessualità passa all’eterosessualità, quando non troviamo nulla di male nel contrario (“Sono stato 6 anni con una ragazza, poi…”, è uno degli ultimi articoli che ho letto su un noto quotidiano nazionale).

Ricordo ancora il fervore con cui, durante un programma televisivo, Vladimir Luxuria evocava la censura per storie come quelle di Massimiliano, perché farebbero passare i gay o i trans per ‘persone sbagliate’. Ma il problema non sta forse nella coercizione, nella manipolazione o nella discriminazione, mentre la libera scelta in tema di sessualità dovrebbe essere garantita a tutti, Massimiliano, Giorgio, Luca compresi?

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