Le chiavi di lettura del “Giudizio Universale del Papa”

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Il processo iniziato nello Stato della Città del Vaticano il 27 luglio 2021 non sarà breve. Ne è prova che la prima udienza – nella quale sono state presentate tutte le eccezioni dei legali dei dieci imputati – è durata 7 ore, senza interruzioni, e i giudici vaticani si sono riuniti per un’ora e venti minuti in camera di consiglio.

Lo chiamano “il Giudizio Universale del Papa” e sebbene l’espressione possa tradire il suo fascino di marketing, non è affatto esagerata. In questo processo è in gioco gran parte della credibilità del pontificato, un pontificato che ha raggiunto il suo ottavo anno senza aver portato a termine nessuna delle riforme promesse. Molto è stato fatto, ma tutto è stato fatto in maniera scoordinata e disorganizzata. Non c’è riforma. Ci sono molte riforme minori. E poi c’è il Papa, un uomo solo al comando, che sta saldamente al vertice di un sistema.

In questo momento siamo di fronte a una svolta del pontificato che sembra vivere la sua fase discendente, anche a causa del recente intervento chirurgico di Papa Francesco, che per la prima volta all’età di 85 anni ci ha fatto capire la possibile mortalità del Papa.

Perché un processo civile potrebbe essere un punto di svolta? Perché il Papa ha messo molta della sua credibilità sulla trasparenza e sulle riforme finanziarie. Con scarso successo. Le riforme che hanno funzionato con Papa Francesco sono quelle che hanno proseguito sulla strada decisa che gli era stata proposta.

Oggi, però, nessuno dei protagonisti di quella stagione di riforme è in Vaticano. René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, Presidente e Direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, non sono stati rinnovati nelle loro cariche, nonostante il loro lavoro abbia salvato la Santa Sede dai giudizi negativi del comitato Moneyval del Consiglio d’Europa e abbia portato a termine il difficile lavoro di revisione e riordino dei conti correnti dello IOR, la cosiddetta “Banca Vaticana”.

Dopo che il Papa ha deciso di indagare, gli artefici della prima stagione della riforma finanziaria sono tornati in Vaticano. Riforme rivolte all’Italia, che non ha avuto nemmeno il via libera dal GAFI [1]. Queste riforme hanno rivelato la mancanza di conoscenza delle normative internazionali antiriciclaggio.

Siamo tornati alla prima stagione, caratterizzata anche da una certa vicinanza all’Italia. Ma è sbagliato leggere questo processo con lenti italiane. È quello che vogliono i giudici vaticani, che hanno o hanno avuto una carriera consolidata in Italia e che portano quel modello nella Città leonina.

Ridurre tutto all’Italia significa non capire la chiave fondamentale del processo: il riferimento, per questi delitti, non è Roma ma Strasbourg e Brussel. Perché è a Strasbourg e a Brussel che vengono redatti gli standard internazionali che fanno la norma. È lì che si stabilisce se i diritti umani sono rispettati e se si sta svolgendo un processo equo.

Sette ore di udienza sono servite per dipanare tutte le obiezioni e garantire ai giudici un lungo rinvio che servirà a sanare le loro lacune. Ma vanno prese in considerazione le obiezioni dei legali degli imputati.

È stato notato che il Papa ha firmato quattro rescripta per aiutare le procedure che hanno preceduto il processo, un’importante attività legislativa di cui gli imputati non erano stati pienamente informati. Sono state inoltre evidenziate alcune situazioni che sarebbero considerate irregolari in Italia o all’estero. È stata messa in discussione la possibilità per la Santa Sede di celebrare un processo equo, alla luce del fatto che non solo è stata costituita una giurisdizione speciale ma anche che agli imputati non è stato dato il tempo di leggere i documenti – che comunque sono arrivati incompleti agli avvocati.

In pratica, il Papa si è messo interamente nelle mani dei giudici. Tutta la sua attività favorisce i giudici e il loro lavoro. Assistiamo così a una vaticanizzazione della Santa Sede perché il Tribunale dello Stato diventa più importante della stessa istituzione che serve. È un rischio, anche a livello internazionale.

Nel nome di questa vaticanizzazione sono state messe in discussione anche attività di cooperazione, come lo scambio di informazioni di intelligence, sequestrate senza criterio dai giudici vaticani e solo successivamente oggetto di un accordo tra il Tribunale e l’Autorità di Informazione Finanziaria per evitare ulteriori incidenti.

Questo processo, tuttavia, non è una questione vaticana. Mentre i funzionari vaticani o gli ex funzionari vengono processati, sono i diritti umani e vari altri diritti ad essere processati. Diritti che la Santa Sede sostiene a livello internazionale, ma che il Papa ha permesso di calpestare. Non è un problema romano. È un problema globale.

Un’altra questione è che l’APSA e la Segreteria di Stato hanno chiesto e ottenuto la legittimazione ad agire come parti civili nel processo. Ma perché? Entrambi gli organismi sono stati coinvolti o informati delle operazioni. Perché allora chiedono i danni?

Ci sono molte stranezze nel processo. Questi sono stati notati in una sentenza da un giudice inglese, Baumgartner [2], che ha ribaltato la sentenza di congelamento dei fondi di Gianluigi Torzi che era stata voluta con successo dalla Santa Sede. Torzi è il mediatore che la Santa Sede aveva utilizzato per acquistare la proprietà londinese, di cui aveva delle quote.

Torzi è accusato di concussione. Giuseppe Milanese ha agito da mediatore tra la Santa Sede e Torzi affinché Torzi vendesse le quote dell’immobile – quote che possedeva perché così indicato nel contratto, dal quale dovette recedere. Il Tribunale vaticano dichiarò, e Milanese confermò, che il Papa era entrato nella stanza dei negoziati. Torzi ha anche aggiunto che il Papa avrebbe chiesto una risoluzione complessiva con un giusto compenso. Quindi, se parliamo di risarcimento, dov’è l’estorsione?

Inoltre, perché Monsignor Alberto Perlasca, da dieci anni a capo dell’Amministrazione della Segreteria di Stato, non è tra gli imputati? Perlasca testimoniò, generando, tra l’altro, una denuncia per calunnia da parte del Cardinal Becciu, anch’egli imputato.

Ma ogni dubbio va inquadrato in una dimensione internazionale, guardando ai fatti e alle ampie prospettive. Il rischio, alla fine del processo, è quello di una Santa Sede irrilevante dal punto di vista diplomatico perché non è in grado di onorare impegni come il rispetto del giusto processo nel suo Stato, e perché nel suo territorio sono presenti giudici di un altro Stato, che lavorano solo a tempo parziale in Tribunale vaticano.

Guardare in modo più ampio di quanto si vede, guardando attraverso il buco della serratura italiana, ci fa capire che, al di là delle scaramucce verbali, la questione dell’edificio londinese è più sfumata di quanto si pensasse e che, alla fine, non è stato così costoso l’investimento per la Santa Sede.

Diventa chiaro che c’era il desiderio di attaccare la vecchia leadership che aveva lavorato per l’internazionalizzazione. Adesso tutto sembra tornare in Italia e nel modo italiano di fare le cose. Le conseguenze non saranno lievi.

Traduzione italiana dell’articolo dell’autore originalmente pubblicato in inglese sul suo blog Monday Vatican, 2 agosto 2021 [QUI].

[1] Il Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) – Financial Action Task Force (FATF) è un organismo intergovernativo, costituito nel 1989 in occasione del G7 di Parigi, che ha per scopo l’elaborazione e lo sviluppo di strategie di lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e, dal 2001, anche di prevenzione del finanziamento al terrorismo. Nel 2008, il mandato del GAFI è stato esteso anche al contrasto del finanziamento della proliferazione di armi di distruzione di massa.
Il GAFI elabora standard riconosciuti a livello internazionale per il contrasto delle attività finanziarie illecite, analizza le tecniche e l’evoluzione di questi fenomeni, valuta e monitora i sistemi nazionali. Individua inoltre i paesi con problemi strategici nei loro sistemi di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, così da fornire al settore finanziario elementi utili per le loro analisi di rischio.
Del Gruppo fanno parte 35 membri in rappresentanza di stati e organizzazioni regionali che corrispondono ai principali centri finanziari internazionali, nonché, come osservatori, i più rilevanti organismi finanziari internazionali e del settore (tra i quali Fmi, Banca mondiale, Ecb, Nazioni Unite, Europol, Egmont).

[2] Caso 60SA. Sentenza tribunale londinese conferma: Becciu fu diffamato in modo “spaventoso”. Il Papa ingannato con il teorema accusatorio dell’Espresso depositato sulla sua scrivania – 26 marzo 2021

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