Tunisia: si chiede il rispetto dei diritti umani

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Il presidente tunisino, Kais Saied, ha congelato, a fine luglio, l’attività del Parlamento, ha sospeso l’immunità di tutti i parlamentari e ha licenziato il primo ministro, Hicham Mechichi, in seguito alle forti proteste contro il governo svoltesi nelle strade del Paese. La polizia per disperdere la folla e fermare le contestazioni nel centro della capitale Tunisi ha usato gas lacrimogeni. Saied ha comunicato che assumerà la guida del potere esecutivo con la collaborazione di un nuovo premier. Le proteste sono state indette nel 64° anniversario dell’indipendenza della Tunisia da un nuovo gruppo chiamato Movimento 25 luglio.

Il contesto sociale e politico in cui è maturata l’iniziativa presidenziale è descritto all’Agenzia Fides dal  resoconto dell’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi: “La popolazione non ne poteva più della situazione e dei governanti che erano qui. Si è arrivati al punto che non c’è lavoro, il turismo è azzerato, l’unica cosa che sembra andare forte sono i contagi da Covid-19. E’ triste dirlo, ma è così: ospedali pieni, manca l’ossigeno, siamo vicini al disastro. Visitando certi ospedali, avevo l’impressione di rivedere le immagini viste negli ospedali italiani nei momenti più bui dell’inizio della pandemia”.

Adesso cresce l’attesa per le future mosse del Presidente: “Secondo le informazioni che circolano, il Presidente ha dato ordine alle forze di sicurezza di presidiare gli aeroporti per impedire che alcuni ‘pezzi grossi’ possano lasciare il Paese. Nel discorso pronunciato per annunciare le sue decisioni, ha insistito sul fatto che davanti alla legge non ci sono ricchi e poveri, potenti o deboli, e che tutti sono uguali.

Per la prima volta ho visto il Presidente accalorarsi, lui che di solito leggeva in maniera fredda. Quelli che non hanno la coscienza tranquilla saranno giudicati secondo giustizia, ha detto nel suo discorso. Lui, che è un giurista, ha partecipato anche alla stesura della nuova Costituzione, e la conosce bene. Adesso l’incognita è che possa esserci una restrizione delle libertà e che ci si avvii verso un regime autoritario.

Alcune tv sono state chiuse. Ma certo per ora la popolazione è dalla parte del Presidente. E’ passato troppo poco tempo dalle sue disposizioni, non si possono chiedere miracoli. Vediamo come procedono le cose. Lui ha promesso direttive, cambiamenti. Cose che certo farà, ma che deve ancora fare”.

Mentre Amnesty International ha sollecitato il presidente della Tunisia Kais Saied a impegnarsi pubblicamente a rispettare e proteggere i diritti umani, tra cui quelli alla libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione pacifica, dopo che egli il 25 luglio ha sospeso il parlamento e ha assunto alcuni poteri giudiziari.

I timori che i diritti umani siano in pericolo sono aumentati dopo l’allarmante raid, compiuto il 26 luglio da una ventina di uomini dotati di armi pesanti, contro gli uffici dell’emittente televisiva al-Jazeera di Tunisi, e le minacce del presidente di ricorrere al pugno di ferro contro ‘coloro che minacciano la sicurezza nazionale’, come ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord:

“Le libertà e i progressi nel campo dei diritti umani, conquistati a fatica dopo la rivolta del 2011, sono a rischio, soprattutto in assenza di una Corte costituzionale che possa proteggere i diritti dei cittadini. Il presidente Kais Saied deve assicurare che ogni azione che egli ordini sia strettamente in linea con gli obblighi di diritto internazionale della Tunisia e, in particolare, che non vi siano purghe politiche.

Nel discorso televisivo andato in onda il 25 luglio dopo una giornata di proteste, il presidente Kais Saied, che presiede anche le forze armate, ha annunciato la sospensione temporanea per 30 giorni del parlamento e l’annullamento dell’immunità per i parlamentari e ha poi dichiarato che avrebbe presieduto personalmente ai procedimenti giudiziari nei confronti dei parlamentari. Al termine del suo discorso, le forze armate hanno bloccato l’accesso al parlamento”.

Il presidente Kais Saied ha fatto dimettere il primo ministro Hichem Mechichi, sotto il cui governo la situazione dei diritti umani si era profondamente deteriorata. Nel gennaio 2021 le forze di sicurezza avevano disperso violentemente le manifestazioni, arrestando migliaia di giovani e rendendosi anche responsabili di torture. Il governo di Mechichi aveva anche preso di mira attivisti e difensori dei diritti umani che avevano partecipato alle proteste o avevano espresso opinioni critiche.

Tra i motivi che hanno spinto tantissime persone a protestare contro il governo il 25 luglio, vi sono l’inefficace risposta alla pandemia da Covid-19 e la cattiva gestione della campagna vaccinale, che hanno fatto della Tunisia il secondo paese al mondo per numero di morti da coronavirus per milione di abitanti.

Il presidente tunisino ha invocato l’articolo 80 della Costituzione del 2014 che, secondo alcune interpretazioni, gli conferirebbe il diritto di adottare misure eccezionali nel caso di ‘una imminente minaccia contro la sicurezza e l’indipendenza del paese’.

L’articolo prosegue, tuttavia, chiedendo al presidente di assicurare che dette misure ‘garantiranno appena possibile il ripristino del normale funzionamento delle istituzioni e dei servizi statali’ e dà per scontato che esista una Corte costituzionale per proteggere i diritti umani, che tuttavia da sette anni i frastagliati parlamenti tunisini non riescono a eleggere.

Mentre sul giornale online ‘Focus on Africa’ il giornalista Samy Ghorbal, esperto del Paese, ha scritto: “Kaïs Saïed è un uomo con un’idea, un’idea fissa. Diamogli credito per questa onestà: se sfrutta cinicamente le circostanze, non ha mai fatto mistero dei suoi piani. Ma non è l’uomo adatto alla situazione.

Non ha nessun progetto, nessuna visione, nessuna competenza e nessun entourage per far uscire la Tunisia dal baratro in cui si trova. Oggi è un passo avanti rispetto ai suoi avversari. Ma, supponendo che la sua conquista del potere abbia successo, questa capacità non lo aiuterà a negoziare le pericolose scadenze che lo attendono. Non ha alleati.

Il FMI, l’Europa o la Francia non gli daranno alcun credito. Gli investitori, nazionali e internazionali, non vorranno scommettere un dinaro o un euro in nuovi prestiti da uno stato in bancarotta, mentre la Tunisia avrebbe bisogno da 15 a 20 miliardi di dinari per completare il suo bilancio nel 2021!”

Mentre su Avvenire il prof. Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, ha sottolineato che tale sospensione sia solo temporanea: “L’inadeguatezza della nuova classe dirigente, quali che fossero il colore e l’orientamento, è divenuta tragicamente evidente con la terribile crisi economica e con l’emergenza pandemica, ora esplosa a livelli pressoché insostenibili, di questi anni. E’ assolutamente chiaro come la Tunisia, oggi, stia su un pericoloso crinale e come non possa essere lasciata sola a gestire queste emergenze…

Allo stesso tempo, tuttavia, è tempo di prendere atto che la mera adozione formale dei princìpi democratici (elezioni, multipartitismo, governo con fiducia del Parlamento) non garantisce la stabilità, quando (come troppo spesso avviene) le strutture formali della democrazia vengono manipolate da élite, ora tribali ora etno-religiose o espressione degli apparati militari e burocratici”.

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