Bagnasco: la sciagura di Genova deve diventare prova della bontà della città

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L’intero Paese “di fronte a tanto dolore s’inchina, e invoca ché mai più accada”. Ha inizio così l’omelia del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, pronunciata ieri nella cattedrale di San Lorenzo durante i funerali delle otto vittime della tragedia del Porto, avvenuta la settimana scorsa. “In questa cattedrale, siamo stretti attorno alle salme dei nostri fratelli – spiritualmente anche a chi è ancora disperso – per pregare il Signore della vita affinché le loro anime immortali siano accolte nella luce senza fine”. Il sergente della Marina Gianni Jacoviello risulta infatti ancora disperso sotto le macerie della torre di controllo del porto, spinta in mare da un’errata manovra della portacontainer Jolly Nero. “La morte non è l’ultima parola su questo fragile tempo – sostiene il cardinale presidente della Cei –. La parola definitiva è la vita eterna, là dove incontreremo Dio e i nostri cari nell’abbraccio del suo amore; in Lui ritroveremo tutto il bene che abbiamo seminato nei giorni terreni”.

I legami d’amore e di amicizia, i doveri quotidiani, “gli ideali nobili e veri per i quali spendiamo intelligenza e cuore, tempo e fatica, tutto è sottratto alla morsa del nulla e rimane per sempre”. Sull’orizzonte del tempo “brilla la luce della Croce: essa ci assicura che non siamo soli nel pellegrinaggio dalla terra al cielo, ci dice che Gesù è con noi sempre, specialmente quando il dolore bussa improvviso e impietoso alla nostra porta”. La croce di Cristo “è il varco attraverso il quale l’uomo sale a Dio, e Dio scende verso gli uomini con l’abbraccio della sua misericordia”. Innanzi ai rischi cui la vita è continuamente esposta, “il Vangelo ci invita alla vigilanza cristiana: la vigilanza è il volto del bene, bene che ognuno è chiamato ad accogliere con riconoscenza e a compiere con generosità – ricorda Bagnasco –. Bene che riempie di bellezza e di gioia i nostri giorni: in casa, in famiglia, nel lavoro”. “Che cosa sarebbe la vita senza il calore della bontà che si fa dedizione e sacrificio, onestà e perdono?” si è chiesto il presule, fissando le bare avvolte nei tricolori. “Sarebbe vuota e insopportabile – ha risposto –. I nostri Amici sapevano tutto questo e lo hanno vissuto con semplicità profonda: ovunque, la bontà crea legami, crea una comunità di vita e di destino. Anche nel lavoro”.

Per questo “la sciagura che ha percosso famiglie e amici, colleghi e istituzioni, deve diventare una prova della bontà di Genova, cioè della sua capacità di far crescere il suo tessuto umano e cristiano, sociale e lavorativo; trama di accoglienza operosa che rende più vivibile la vita e sopportabile il dolore. È un dovere che sentiamo nostro. Lo dobbiamo a questi fratelli che dal cielo pregheranno per i loro cari e per noi; lo dobbiamo ai loro familiari che abbracciamo con affetto grati per l’esempio di fede e di forza; lo dobbiamo a noi stessi, e lo dobbiamo a Dio che accompagna i passi del nostro peregrinare, e che un giorno sarà la nostra felicità piena e definitiva”.

Il cardinale ha concluso l’omelia affidando le vittime “alle braccia materne della Madonna ai piedi della croce”, invocandola come “Regina di Genova”. Anche Papa Francesco ha espresso il suo cordoglio e la sua vicinanza, attraverso un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui il Pontefice esprime la piena partecipazione al dolore della città e delle famiglie, inviando la sua benedizione.

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