Alle Olimpiadi per raccontare la bellezza

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Le Olimpiadi, dopo la cerimonia inaugurale, sono entrate nel vivo delle gare e l’Italia è salita già sul podio; in queste Olimpiadi gareggia anche una squadra di atleti rifugiati, selezionati “prima di tutto in base alle prestazioni sportive di ciascun atleta e al loro status di rifugiato, come richiesto dall’UNHCR, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati”, ha detto al sito tedesco DW la portavoce del Cio Anne-Sophie Thilo.

Gli atleti hanno lo status di ‘rifugiato delle Nazioni Unite’ mentre vivono in vari paesi ospitanti; si sono allenati negli ultimi anni con il supporto di Olympic Solidarity, il fondo Cio per gli interventi sociali. E nella cerimonia inaugurale sono entrati nello stadio in seconda posizione, sventolando la bandiera olimpica immediatamente dietro la Grecia.

Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale, ha affermato: “Questo team sarà un simbolo di speranza per tutti i rifugiati del mondo e renderà il mondo più consapevole sull’entità di questa crisi umanitaria.

E’ anche un segnale per la comunità internazionale: i rifugiati sono una ricchezza per la società. Questi atleti mostreranno al mondo che, nonostante le inimmaginabili tragedie che hanno dovuto affrontare, possono contribuire alla società attraverso il proprio talento, capacità e forza di spirito”.

Inoltre occorre sottolineare che le Olimpiadi si aprono nel segno dell’enciclica di papa Francesco, ‘Fratelli tutti’, perché il CIO ha approvato l’aggiunta della parola latina ‘Communiter’ al motto ‘Citius! Altius! Fortius!’, coniato dal domenicano francese, p. Henri Didon, e secondo mons. Melchor Sánchez de Toca, sotto-segretario del Pontificio Consiglio della cultura, lo sport è anche solidarietà e bellezza:

“Perché lo sport non è solo mercato o sistema e neppure è solo quello si vede in tv. Insomma c’è bisogno di una visione alta per ripartire insieme puntando sui valori della gratuità, della bellezza.

Con lo stile della resilienza, che cancella la tentazione del guardare al passato per ricostruire semplicemente ciò che è caduto a causa della pandemia, lo sport inizia a guardare al futuro anche con nuovi modelli.

E proprio l’aggiunta della dimensione solidale nel motto olimpico ripropone quelle relazioni fondamentali che lo sport costruisce tra le donne e gli uomini a scuola, in famiglia, nelle parrocchie, negli oratori, nelle piccole e grandi associazioni sportive”.

Il sottosegretario pontificio ha sottolineato il contributo apportato dall’associazione sportiva della Santa Sede: “E’ particolarmente significativo che il Cio si sia mosso su questa stessa linea inclusiva e solidale nella scelta delle parole per rilanciare il motto olimpico.

E’, in fondo, il diretto e pratico contributo culturale e spirituale che l’associazione sportiva della Santa Sede sta portando avanti tra la gente, nelle strade e nei luoghi sportivi.

Penso, in particolare, al privilegiato rapporto con il Team olimpico dei rifugiati per il quale, al di là delle bandiere, tutti facciamo il tifo. In conclusione, non c’è dubbio che Fratelli tutti sia la strada, anche nello sport”.

E nel primo giorno olimpico il direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale del tempo libero, turismo e sport e cappellano della squadra olimpica italiana, don Gionatan De Marco, ha scritto una lettera ai portabandiera italiani per raccontare ‘segni di speranza’:

“Elia e Jessica, sventolando il tricolore, raccontate al nostro Paese e alla sua gente la bellezza di osare la speranza, la bellezza di non rassegnarsi in un angolo di paure in cui soffocare il domani, ma di osare l’uscita allo scoperto sulla pista della condivisione.

Elia e Jessica, sventolando il tricolore, raccontate al nostro Paese e alla sua gente la bellezza di non sentirsi soli al mondo, ma traducete in parole le emozioni che state provando stasera, nel sentire l’unicità di essere italiani ma non la solitudine dello stare al mondo”.

E la bellezza della speranza contribuisce a rendere il mondo più sano: “Elia e Jessica, sventolando il tricolore, raccontate al nostro Paese e alla sua gente la bellezza dell’universalità, del toccare con mano, come voi state facendo in questi giorni, come il tricolore è ancor più bello nel vederlo sventolare con altre decine di bandiere e come il colore delle vostre divise acquista ancor più unicità nel mescolarsi con i colori delle divise delle altre nazioni.

Raccontate alla nostra gente la bellezza del sentirsi parte del mondo, di un mondo non ostile ma che sembra fatto apposta per ospitare la fraternità, come unica ‘casa’ in cui le differenze si mostrano senza opporsi, si amplificano senza insordire”.

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