Papa Francesco: testimoniare la Chiesa liberata da Gesù

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Terminando l’Angelus della festa dei santi Pietro e Paolo papa Francesco ha ricordato il 70^ anniversario del sacerdozio di papa Benedetto XVI, definendolo ‘contemplativo del Vaticano’: “A te, Benedetto, caro padre e fratello, va il nostro affetto, la nostra gratitudine e la nostra vicinanza. Lui vive nel monastero, un luogo voluto per ospitare le comunità contemplative qui in Vaticano, perché pregassero per la Chiesa.

Attualmente, è lui il contemplativo del Vaticano, che spende la sua vita pregando per la Chiesa e per la diocesi di Roma, della quale è vescovo emerito. Grazie, Benedetto, caro padre e fratello. Grazie per la tua testimonianza credibile. Grazie pe il tuo sguardo continuamente rivolto verso l’orizzonte di Dio: grazie!”

Prima della recita dell’Angelus il papa ha insistito sul bisogno della testimonianza: “Questo interessa al Signore: stare al centro dei nostri pensieri, diventare il punto di riferimento dei nostri affetti; essere, in poche parole, l’amore della nostra vita. Non le opinioni che noi abbiamo su di Lui: non interessa, a Lui. Gli interessa il nostro amore, se Lui è nel nostro cuore”.

I santi Pietro e Paolo non sono restati ‘opinionisti’: “I Santi che festeggiamo oggi hanno fatto questo passaggio e sono diventati testimoni. Il passaggio dall’opinione ad avere Gesù nel cuore: testimoni. Non sono stati ammiratori, ma imitatori di Gesù. Non sono stati spettatori, ma protagonisti del Vangelo. Non hanno creduto a parole, ma coi fatti”.

Hanno vissuto Gesù nella vita reale: “Pietro non ha parlato di missione, ha vissuto la missione, è stato pescatore di uomini; Paolo non ha scritto libri colti, ma lettere vissute, mentre viaggiava e testimoniava. Entrambi hanno speso la vita per il Signore e per i fratelli. E ci provocano. Perché noi corriamo il rischio di rimanere alla prima domanda: di dare pareri e opinioni, di avere grandi idee e dire belle parole, ma di non metterci mai in gioco”.

La testimonianza è l’annuncio del Vangelo: “E Gesù vuole che noi ci mettiamo in gioco. Quante volte, ad esempio, diciamo che vorremmo una Chiesa più fedele al Vangelo, più vicina alla gente, più profetica e missionaria, ma poi, nel concreto, non facciamo nulla!

E’ triste vedere che tanti parlano, commentano e dibattono, ma pochi testimoniano. I testimoni non si perdono in parole, ma portano frutto. I testimoni non si lamentano degli altri e del mondo, ma cominciano da sé stessi”.

Mentre nell’omelia della celebrazione eucaristica, in cui si impongono i palli, papa Francesco alla presenza di una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, ha sottolineato la libertà data da Gesù ai due apostoli di aderire:

“Pietro, il pescatore di Galilea, è stato anzitutto liberato dal senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento, e questo è avvenuto grazie all’amore incondizionato di Gesù.

Pur essendo un esperto pescatore, ha sperimentato più volte, nel cuore della notte, il gusto amaro della sconfitta per non aver pescato nulla e, davanti alle reti vuote, ha avuto la tentazione di tirare i remi in barca…

Eppure Gesù lo ha amato gratuitamente e ha scommesso su di lui. Lo ha incoraggiato a non arrendersi, a gettare ancora le reti in mare, a camminare sulle acque, a guardare con coraggio alla propria debolezza, a seguirlo sulla via della Croce, a dare la vita per i fratelli, a pascere le sue pecore.

Così lo ha liberato dalla paura, dai calcoli basati sulle sole sicurezze umane, dalle preoccupazioni mondane, infondendogli il coraggio di rischiare tutto e la gioia di sentirsi pescatore di uomini”.

Mentre san Paolo è stato liberato dal suo ‘egoismo’: “E’ stato liberato dalla schiavitù più opprimente, quella del suo io, e da Saulo, nome del primo re di Israele, è diventato Paolo, che significa ‘piccolo’.

E’ stato liberato anche dallo zelo religioso che lo aveva reso accanito nel sostenere le tradizioni ricevute e violento nel perseguitare i cristiani. E’ stato liberato.

L’osservanza formale della religione e la difesa a spada tratta della tradizione, invece che aprirlo all’amore di Dio e dei fratelli, lo avevano irrigidito: era un fondamentalista”.

Il papa ha sottolineato che ugualmente Gesù ci libera: “La Chiesa guarda a questi due giganti della fede e vede due Apostoli che hanno liberato la potenza del Vangelo nel mondo, solo perché sono stati prima liberati dall’incontro con Cristo.

Egli non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento…

Toccati dal Signore, anche noi veniamo liberati. E abbiamo sempre bisogno di venire liberati, perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile”.

La testimonianza dei due apostoli è quella di una Chiesa liberata: “Pietro e Paolo ci consegnano l’immagine di una Chiesa affidata alle nostre mani, ma condotta dal Signore con fedeltà e tenerezza, è Lui che conduce la Chiesa; di una Chiesa debole, ma forte della presenza di Dio;

l’immagine di una Chiesa liberata che può offrire al mondo quella liberazione che da solo non può darsi: la liberazione dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia, dalla perdita della speranza che abbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo”.

La santità dei due apostoli pone l’interrogativo della liberazione e della libertà: “Chiediamoci oggi, in questa celebrazione e dopo, chiediamoci: le nostre città, le nostre società, il nostro mondo, quanto hanno bisogno di liberazione?

Quante catene vanno spezzate e quante porte sbarrate devono essere aperte! Noi possiamo essere collaboratori di questa liberazione, ma solo se per primi ci lasciamo liberare dalla novità di Gesù e camminiamo nella libertà dello Spirito Santo”.

(Foto: Santa Sede)

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