Ma è possibile che il Parlamento vuole definire il sesso biologico per legge solo come un pensiero? E introdurre il reato di opinione per chi si oppone all’ideologia gender?

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Ormai è chiaro, che lo scoglio con il DDL S. 2005 ha due facce, come con chiarezza indicata anche da Matteo Salvini [Standing ovation per Salvini: «M5S e Pd usano, non proteggono gay». «OK a Ddl su omofobia se via ideologia gender nelle scuole e reati d’opinione». La soluzione per superare lo scoglio – 28 giugno 2021]: l’ideologia gender e reati d’opinioni, che vengono introdotti dal Ddl Zan. Non sono ricevibili, mentre non c’è problema con l’inasprimento delle pene per chi attacca, chi minaccia, chi aggredisce, chi discrimina.

Di seguito condividiamo un articolo pubblicato dal Sir, l’agenzia stampa della Conferenza Episcopale Italiana, con un appello al dialogo e la ricerca di una soluzione “che possa resistere nel tempo e non essere il semplice portato di effimere maggioranze politiche del momento o di indirizzi ideologici a breve”. Inoltre, segue un articolo pubblicato da Open, che mette in evidenza il vero scopo del Ddl Zan, a parte di altre criticità, dell’insegnamento dell’ideologia gender nelle scuole e di punire chi si oppone al costrutto della teoria del genere e del sesso fluido, che una si può scegliere come vuole. Poi, dove si fa riferimento alla situazione nel Regno Uniti, è bene tener presente quanto ricordato in un altro articolo di questa mattina [Con la Finestra di Overton il focus è spostato dalla causa delle “nozze gay” e del “transessualismo” sull’ideologia della “identità di genere”, per cui l’attivismo LGBTQI+ non cede – 28 giugno 2021].

Ddl Zan: spirito di convergenza per il bene comune
di Francesco Bonini
Sir, 28 giugno 2021


Auspicare, come è stato fatto nelle note della Cei prima e poi con autorevolezza diplomatica dalla nota verbale della Santa Sede e dal cardinale Parolin, l’uso della più grande virtù del politico e del legislatore, che è la prudenza, altro non è che un modo per aiutare una decisione che possa resistere nel tempo e non essere il semplice portato di effimere maggioranze politiche del momento o di indirizzi ideologici a breve.

Ha fatto molto discutere. Tuttavia alla fine è emerso con chiarezza il senso della nota verbale recapitata dalla Santa Sede al governo italiano a proposito del disegno di legge Zan: un contributo al dialogo. Per arrivare ad una soluzione legislativa rispettosa della libertà. In particolare di quelle libertà tutelate dalla Costituzione e sottolineate anche dagli accordi concordatari, la libertà di espressione e quella di educazione, oltre ovviamente la libertà di religione.

Nel merito dunque evidente sintonia, lo ha ricordato anche il cardinale Parolin, con quanto la Cei aveva già affermato da ultimo in termini molto chiari lo scorso 28 aprile in una Nota della Presidenza. Ma la competenza dell’interlocuzione formale su temi concordatari è della Santa Sede, la quale dunque è intervenuta al livello suo proprio.

Con buona pace non solo di chi si è stracciato le vesti gridando alla “ingerenza”, ma anche di chi ha, con più equivoco disegno, cercato di mettere in discussione da un lato il circuito interno vaticano, dall’altro quello tra Santa Sede e Cei. Come se il Papa non fosse stato informato del passo del suo “ministro degli esteri” o la Santa Sede avesse voluto delegittimare i vescovi italiani.

Il Papa non è una figurina da giocare nel dibattito ideologico e la Chiesa che Papa Francesco guida si muove nella sua interlocuzione con uno spirito costruttivo, richiedendo il dialogo apertura, sincerità, rispetto e la necessaria chiarezza di riferimenti e di principi.

Perché, tornando al merito, così come è configurato, il testo del disegno di legge è sbilanciato, oltre che ambiguo nelle definizioni che propone su una materia delicatissima di biopolitica.

Tra i molti un giurista molto equilibrato come Gabriele Carapezza, sul Giornale di Sicilia, ha ben argomentato che “la seconda parte del ddl Zan non individua un adeguato bilanciamento con quei diritti di rango costituzionale che segnano i limiti di legittimità dell’intervento legislativo”, richiamando un grande dibattito che attraversa le grandi democrazie, oggetto di chiare pronunce tanto della Corte europea dei diritti dell’uomo che della Corte suprema americana.

Auspicare, come è stato fatto nelle note della Cei prima e poi con autorevolezza diplomatica dalla nota verbale della Santa Sede e dal cardinale Parolin, l’uso della più grande virtù del politico e del legislatore, che è la prudenza, altro non è che un modo per aiutare una decisione che possa resistere nel tempo e non essere il semplice portato di effimere maggioranze politiche del momento o di indirizzi ideologici a breve.

I pronunciamenti formali, come quelli che si sono appena richiamati, sono accompagnati da forme di interlocuzione molteplici e necessariamente informali. Si può allora fare ancora molto, per una soluzione che in un inglese facile facile si possa definire win-win, in cui a vincere siano i diritti (e i doveri) di tutti e di ciascuno. È lo spirito di convergenza per il bene comune, richiamato alla base degli accordi concordatari del 1984, che si sono confermati un ottimo strumento della democrazia italiana.

Come portare i diritti Lgbtq in classe? La sfida del Ddl Zan, tra ostacoli e modelli stranieri. Le scuole cattoliche: «Il sesso non è un’idea»
Il testo prevede l’istituzione di una Giornata contro l’omotransfobia con attività da svolgere nelle scuole. L’opposizione del Vaticano, il nodo della formazione degli insegnanti, l’esempio scozzese: dentro il dibattito sull’educazione ai diritti
di Cristin Cappelletti e Valerio Berra
Open, 28 giugno 2021


Presentato per la prima volta nel 2018, e ora fermo al Senato, dopo la prima lettura alla Camera, il Ddl Zan ha dato vita a un dibattito sempre più polarizzato, specie dopo l’intervento del Vaticano che ha deciso di schierarsi in merito. La Santa Sede contesta quei passaggi che prevedono l’istituzione della Giornata dell’omotransfobia, che minerebbe l’autonomia delle scuole private cattoliche. Il Vaticano critica l’indicazione presente nel Ddl Zan secondo cui le scuole dovranno svolgere attività per sensibilizzare gli studenti sui diritti Lgbtq+.

Cosa dice il Ddl Zan

È in particolare all’Articolo 7, Punto 3, che si trova il passaggio del Disegno di Legge firmato da Alessandro Zan che ha portato allo scontro con il Vaticano. Nello specifico, in questo punto si trova il riferimento alle attività da svolgere nelle scuole in occasione del 17 maggio, quella che dovrebbe diventare la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. «Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», si legge nel testo.

L’educazione ai diritti negli altri Paesi

Il primo Paese al mondo a introdurre l’insegnamento dei diritti Lgbtq+ nelle scuole è stata la Scozia. Nel novembre 2018 il ministro dell’Istruzione scozzese John Swinney ha annunciato l’inizio nelle scuole del programma Educate To Liberate: «La Scozia è già considerata come una delle nazioni più progressiste in materia di diritti Lgbt. È dunque un piacere per noi annunciare che il nostro sarà il primo paese al mondo ad introdurre nelle scuole un programma specifico di educazione all’inclusione». Questo programma si basa su una serie di punti che vanno dall’insegnamento della storia dei diritti della comunità Lgbtq+ all’educazione all’inclusione fino alle campagne contro omofobia e transfobia.

Tutto il programma è stato preparato dal think tank «Time for Inclusive Education» che ha lavorato tre anni prima di proporre al governo scozzese delle linee guida da seguire per portare questi temi nelle scuole. Con una legge del 2019 i diritti della comunità Lgbtq+ sono diventati materia di studio anche nelle scuole dell’Inghilterra. Il progetto in questo caso si chiama «Stonewall», come il bar di New York dove nel 1969 è nato il primo Gay Pride. Qui le linee guida sono meno nette, ma l’obiettivo è chiaro per tutti, come si può leggere nei documenti: «Le scuole sono libere di scegliere come farlo, ma deve essere certo al termine del percorso che i ragazzi abbiano compreso le tematiche della sessualità umana e il rispetto per loro stessi e per gli altri».

Cosa si può fare in classe

Una missione che si è proposto di portare avanti anche GenderLens, il progetto nato dalla necessità di creare in Italia uno spazio di informazione e confronto «dove la varianza di genere nell’infanzia e nell’adolescenza non sia considerata come una patologia o un problema da risolvere, ma come una delle tante espressioni della diversità umana», spiega Open Elisabetta Ferrari, membro del coordinamento di GenderLens. Tra le attività recenti dell’associazione c’è stata una collaborazione con il Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica (SAIFIP) del Lazio per la stesura del documento «Strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere». Linee guida poi ritirate a causa delle proteste da associazioni cattoliche e da diversi partiti di destra, come la Lega e Fratelli d’Italia. In particolare, il documento presentava delle indicazioni su come introdurre una carriera Alias nella scuole. Questa permette allo studente o alla studentessa in transizione di genere di essere chiamato/a con il “nome scelto” e non con quello depositato all’anagrafe.

«Il Ddl Zan non lo prevede nello specifico, ma non vedo perché gli altri genitori dovrebbero opporsi all’identità di genere e alla scelta del singolo studente, se la scuola decide di attivare la carriera Alias», commenta Ferrari. Lei, mamma di un figlio trans, non binario, parla della difficoltà di trovare insegnanti competenti e preparati ad affrontare le tematiche Lgbtq+. Un aspetto che, se il Ddl Zan entrerà in vigore, dovrà sicuramente essere affrontato. «Come associazione abbiamo fatto formazione alle scuole che ce l’hanno richiesto. Sensibilizziamo i professori su come avvicinarsi alla varianza di genere, e soprattutto come parlarne in modo corretto, senza far sentire gli studenti trans inadeguati».

Parlare agli studenti

Al Liceo Formiggini di Sassuolo, invece, i temi Lgbtq+ e il Ddl Zan sono diventati materia di studio durante la lezione civica. Come spiega a Open la dirigente dell’Istituto, Christine Cavallari. «A un certo punto, la docente si era accorta che gli studenti non avevano mai letto il testo e quindi aveva deciso di dedicare un’intera lezione al disegno di legge», spiega Cavallari. Il materiale è stato inviato preventivamente ai genitori che hanno così potuto visionarlo. Oltre all’intervento di una dottoressa in video, la docente aveva mostrato attraverso delle slide il testo del disegno di legge: i ragazzi hanno riconosciuto al termine della lezione di aver avuto le informazioni e gli strumenti necessari per farsi un’opinione. «Come normale, all’interno della classe sono continuate a esistere opinioni diverse e contrarie. Non c’è stata nessuna forzatura o indottrinamento. Quello che la scuola, e che noi volevamo fare, era dare agli studenti gli strumenti per leggere la realtà e per formarli come futuri cittadini».

Le scuole cattoliche

A detta delle scuole cattoliche però, questo tipo di attività può costituire un problema. Secondo i dati dell’anno scolastico 2017-2018, gli ultimi disponibili, sono 582.576 le persone iscritte alle scuole cattoliche in Italia, considerando tutti i gradi di istruzione dalle scuole dell’infanzia alle superiori. Si tratta del 6,72% del totale degli studenti in Italia. Questo dato è in costante calo. Solo nell’anno scolastico 1992-1993 il numero di iscritti alle scuole cattoliche era di 876.398 alunni, il 9,14% del totale degli iscritti. Ed è proprio in questi istituti che potrebbero verificarsi gli attriti peggiori sul Ddl Zan. In particolare sulle attività previste per la Giornata contro l’omofobia. Massimo Malagoli, il responsabile dell’Ufficio Comunicazione di Agesc, l’associazione che riunisce i genitori delle scuole cattoliche, dice: «Il rischio di questa legge è che l’ideologia gender diventi un dogma anche nelle scuole. Abbiamo una legge che viene portata avanti con un’ampia pressione dell’opinione pubblica. Il testo però non è chiaro e soprattutto sta passando l’idea che serva a colmare un vuoto giuridico. Non è così».

Malagoli precisa anche cosa intende per ideologia gender: «Secondo questa ideologia il sesso non dipende dalla biologia ma da un’autodichiarazione. La campagna mediatica che si sta creando parla di un’Italia intollerante. Non è così. Basta vedere tutte le dimostrazioni di solidarietà che ci sono state con il caso di Malika, la ragazza cacciata di casa perché lesbica. Il padre era di religione musulmana. Non sono d’accordo nemmeno con il testo della legge scritto da Salvini. Ormai questa legge è diventata solo una bandiera». In caso di approvazione del Ddl Zan, però, Malagoli assicura che non si pensa a un’azione di contrasto delle scuole cattoliche: «Se la legge fosse approvata, le scuole cattoliche applicherebbero anche le parti riguardanti le attività durante la Giornata contro l’omofobia. Le scuole cattoliche sono paritarie e quindi seguono il dettato legislativo. Ma, mi chiedo, il Parlamento è sicuro di voler definire il sesso come solo un pensiero?».

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